Antisessismo, Comunicazione, Culture, R-Esistenze

Spot Audi: liberarsi dei ruoli di genere normativi è rivoluzionario

A Natale, in Spagna, Audi ha diffuso questo spot contro gli stereotipi di genere. Parla del mondo diviso a metà, rosa per le femmine, azzurro per i maschi, alcuni giochi per le femmine ed altri per i maschi. In un racconto fiabesco nel video prende corpo una contro narrazione con un sovvertimento dei ruoli senza che a chi sovverta sia consegnato uno stigma negativo. Ricordate che la normatività è reazionaria e che ribellarsi per appropriarsi del diritto a vivere come ci pare è rivoluzionario. Grazie ad Audi, e chissà se mai vedremo in Italia un simile spot.

Comunicazione, Culture, R-Esistenze

Spot su sex toys: eccovi la parodia

Questo dovrebbe essere uno spot per pubblicizzare un sito che vende (?) sex toys. Lo fa con descrizione e porta tutto a domicilio. Lo spot in se’ a me sembra divertente, allegro ed è uno dei pochi spot in cui è giustificata la seduttività delle donne che in realtà sono piacevolmente attratte dall’idea di usare strumenti per il proprio piacere.  Continua a leggere “Spot su sex toys: eccovi la parodia”

Comunicazione, Critica femminista, Recensioni

Star Wars VII: come il marketing normalizzò il femminismo

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Star Wars, il risveglio della forza, secondo me non è poi tutta sta gran cosa femminista. Anzi prende il femminismo e lo normalizza, lo norma, dirigendolo in una sola, unica, chiara, traiettoria. Ci sono delle novità rispetto alle puntate precedenti ma nulla che non sia già noto agli/alle amanti delle saghe fantascientifiche. Non lo è più di quanto lo sia stata la protagonista di Mad Max Fury Road. Proverò a non spoilerare e cerco di fare solo alcune considerazioni sul perché sia stato venduto come prodotto femminista (gran bella dose di pinkwashing targata Disney) anche se in realtà non introduce chissà quali novità.

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Antisessismo, Comunicazione, Critica femminista, R-Esistenze

Cominciare dalle parole

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di Ina Macina

Dopo le recenti ‘polemiche’, la parola ‘gender’ pare essere stata risemantizzata. Cos’era prima e a cosa rimanda ora?
Se si digita la parola su Google, il primo risultato riguarda non tanto un’esplicazione del gender come vox media, per così dire, ma rimanda immediatamente a delle precisazioni che è stato necessario avanzare proprio a seguito del clima teso che la sola parola ha impropriamente sollevato.

La seconda voce, che si riferisce a Wikipedia, invece, è come una luce nell’oscurità e rimanda con più appropriatezza agli studi di genere, recitando: ‘Gli studi di genere o gender studies, come vengono chiamati nel mondo anglosassone, rappresentano un approccio multidisciplinare e interdisciplinare allo studio dei significati socio-culturali della sessualità e dell’identità di genere. A questo, per me, ha sempre rimandato la parola ‘gender’, una questione dinamica che ha fatto fiorire intorno a sé non tanto teorie (…) ma una corrente di studi interdisciplinari, portatori di saperi integrati, che tentano di problematizzare la discussione circa sessualità ed identità su un piano culturale e sociale.

Prima di scatenare un clima da caccia alle streghe (inesistenti), avendo avuto la curiosità di capire meglio a cosa si riferisse la sola parola ‘gender’ – con strumenti molto democratici e poco accademici come Wikipedia – si sarebbe evitato forse finanche di scomodare il Ministero dell’Istruzione che è giustamente dovuto intervenire per sentenziare che ‘la teoria del gender’ non esiste; esistono però, per esempio, gli studi di genere (tanto per rimanere molto in superficie).

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Per rimanere in tema di parole, ne tiro in ballo adesso una che spesso collima, altre volte collide, con ‘gender’, ovvero ‘femminismo’ (che a sua volte si divide, genera contrapposizioni – anche violente – al suo stesso interno, storicamente si muove a ondate, etc). Seguendo questa traccia verbale, nei giorni scorsi, ho trovato una strana parola: ‘FemiNazi’. Fermi tutti. Cos’è?
Sulla pagina della UNU – Institute on Globalization, Culture and Mobility – si trova un post scritto con molta perizia e serietà, con tanto di fonti citate e consultabili, circa queste due (brutte) parole:

‘I termini FemiNazi e Gal-Quaeda (G sta per gender; le successive ‘@’ sono una mia soluzione di traduzione, ndt) stanno guadagnando visibilità nel gergo corrente per indicare femminist@ che denunciano il sessismo quotidiano, la stereotipizzazione di genere e la discriminazione di genere. Cercano di sfuggire e zittire femminist@, delegittimando le loro rivendicazioni, molestandol@ verbalmente, in pubblico e in privato. Promuovono anche una fuorviante interpretazione del femminismo(i) e del progetto collettivo di parità di genere, che vengono visti come un attacco verso i diritti e la giustizia universali e oltre il genere di ciò che Michael Kimmel chiama ‘Uomini Bianchi Arrabbiati’.

Con un impressionante parallelismo con i discorsi di estrema destra, la diffusione a livello sociale di questa terminologia attraverso i media e le conversazioni quotidiane sono un chiaro esempio di un vocabolario di odio contro le donne, e più precisamente, di una violenza di genere contro donne e ragazze.

Data la precisa definizione del post della UNU a riguardo dei due termini, rimandiamo alle fonti citate per approfondimenti. È da notare come, a livello globale, esistano, per fortuna, dei dispositivi molto sensibili nel captare la diffusione di un linguaggio di violenza annidato nei due canali comunicativi (media e quotidianità), che fomenta una germinazione linguistica estremamente pericolosa e disonesta come l’associare a due fenomeni storici (Nazismo e Al Quaeda) il femminismo e ‘il progetto collettivo di parità di genere’ (splendida definizione dell’attivismo di genere, a cui si riconosce non solo il valore positivo di promotore della parità, ma anche la cifra ‘sociale’ ovvero collettiva).

Infine, interessante l’identificazione dell’ ‘Uomo Bianco Arrabbiato’, il cui identikit si profila in controluce anche osservando attentamente i dati di analisi come quella di Vox, basata sullo scrutinio di termini offensivi via Twitter, da cui emerge che la violenza digitale in Italia si organizza intorno a cinque gruppi ‘privilegiati’: donne, omosessuali, immigrati, diversamente abili ed ebrei.

Basta seguire le parole, ascoltarne il suono, capirle, farle riecheggiare nella memoria. Contestarle, anche. Magari, incuriosirsene e non crearne delle nuove solo per allontanare le parole dalla realtà; partecipare a una discussione che sia foriera di parole nuove, sempre più abili nel delineare l’identità di un fenomeno, o di segnarne l’infinita dinamicità.
In questo senso, è da segnalare l’iniziativa della sezione online dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, (OK, Open Knowledge, appunto), che ha appena inaugurato il corso ‘Linguaggio, identità di genere e lingua italiana’. Aperto e gratuito.

PS: il post UNU, come si legge sulla pagina stessa dell’Istituto, si inserisce all’interno della campagna di 16 giorni contro la violenza di genere, promossa attraverso i social media con l’intento di richiamare attenzione su varie tematiche legate alla violenza di genere. Iniziata il 25 novembre (giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne), si conclude oggi, Giornata Internazionale dei Diritti umani, a connettere simbolicamente le due iniziative.

 

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L’otto marzo secondo Vodafone e le favole sovvertite

Pubblicità Vodafone. Sembra la descrizione del mondo secondo chi asserisce che la teoria giender sta rovinando il mondo. Perciò è meglio ribadire che le differenze di sesso sarebbero indispensabili. Come farebbe d’altronde una bambina a crescere bene se non sapesse, un giorno, di poter indossare una scarpina di vetro per poi auspicare uno sponsalizio con un bel principe? E come fa un bambino a sopravvivere all’idea che le favole parlino di una eroina invece che di un eroe?

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Antiautoritarismo, Autodeterminazione, R-Esistenze, Sessualità, Violenza

E se gli etero fossero considerati “contronatura”?

E se vivessimo in un mondo dove i gay sono etero e gli etero sono gay? Dove le persone “normali” fossero considerate “contronatura” e quelle “contronatura” fossero considerate “normali”? Avete una vaga idea di come di sente un ragazzino, una bambina, una adolescente, un ragazzo, che cresce tra sfottò, azioni di bullismo, esclusione sociale, marginalizzazione e tutto il mondo che è lì a dirti che tu sei sbagliat@? Ecco, questo video, in effetti, rende abbastanza quell’idea. Buona visione.

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Il porno è mio e lo gestisco io!

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La risposta al porno di cattiva qualità non è vietare il porno, ma fare dei porno migliori!” – scriveva la porno post modernista Annie Sprinkle nel 2001. Lo raccontava al termine di una lunga guerra, tra oscurantiste antiporno (vedi Andrea Dworkin commentata da Judith Butler o da Nadine Strossen) e femministe free sex, che negli stati Uniti si celebrava negli anni ’80 e ’90. Molti anni dopo l’Europa tinge le sue politiche movimentiste dello stesso grado di puritanesimo e parrebbe d’essere nel villaggio calvinista descritto da Lars Von Trier ne Le onde del destino o in quello protestante de Il Pranzo di Babette di Karen Blixen mentre leggiamo delle imprese colonialiste di donne che vorrebbero imporre il modello nordico a tutte noi dell’incivile sud.

Arriva dal nord Europa l’ossessione volta a purificare le città dalle sempre più inascoltate e calunniate sex workers e dallo stesso nord arriva il regresso oscurantista contro il porno. Si tinge perfino di socialdemocrazia, finge d’essere un intento in favore delle donne ma alle donne toglie parola e le riduce a semplici oggetti che possono soltanto essere vittime o tacere. Le sex workers però non tacciono ed esigono di essere ascoltate mentre propongono visioni giuridiche non repressive e che restituiscano loro diritti e garanzie. Non tacciono neppure le donne che guardano, godono, vivono, fanno porno, ciascuna alla loro maniera, per quanto la legge italiana sia oltremodo punitiva e limitante in questo.

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Antiautoritarismo, Attivismo, Autodeterminazione, Comunicazione, R-Esistenze, Sessualità

Inspiration // Il corpo come strumento sonoro post-genere

Un progetto postporno. Se ne parla in questo articolo. Grazie ad Antonio per la traduzione. Buona lettura e buon approfondimento!

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Il corpo come strumento sonoro post-genere è un workshop proposto da Quimera Rosa che sperimenta con il corpo e il rumore. I partecipanti vengono guidati nella creazione di semplici amplificatori dei rumori del corpo che generano suono con il contatto del corpo. Durante il workshop, i partecipanti creeranno anche delle protesi da utilizzare come amplificatori attaccate al corpo.

http://vimeo.com/85441560

I dispositivi sonori utilizzati, sono basati su tecnologie a basso costo, open e gratuite, modificabili, hackerabili con infinite possibilità di copiare, riciclare, mixare. Alla fine del corso, ci sarà una “jam di rumori e corpi” aperta al pubblico, un modo per giocare con la linea che separa pubblico e privato, contatto corporeo, corpo collettivo e interazione sonora negli spazi aperti.

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Antiautoritarismo, Antirazzismo, Antisessismo, Autodeterminazione, Comunicazione, Critica femminista, Femministese, R-Esistenze

Subvertising: failed (Note su “La majorité opprimée” di Eléonore Pourriat)

Di Agnes Nutter

Il subvertising è una pratica che, in teoria della comunicazione, viene impiegata per diversi scopi. La Professoressa Giovanna Cosenza, per esempio, suggerisce di impiegarla per verificare se una pubblicità ha un’impostazione sessista oppure no. Invertendo i ruoli di genere, cioè mettendo la donna al posto dell’uomo e viceversa, se il risultato suona improbabile allora la pubblicità è sessista.

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In questi giorni è diventato virale, in seguito all’uscita del video su youtube con sottotitoli in inglese, il cortometraggio, prodotto nel 2010, di Eléonore Pourriat “La majorité opprimée” (The Oppressed Majority, tradotto in inglese, “La maggioranza oppressa” in italiano). Si tratta appunto di un subvertising: Pourriat ha voluto dimostrare in 10 minuti come le donne, in Francia, siano oppresse capovolgendo radicalmente i ruoli. La storia è semplice: Pierre, un padre presumibilmente casalingo, durante una giornata qualsiasi viene violentato in un vicolo da una banda di ragazze; alla stazione di polizia dove si reca per la denuncia viene creduto con grandi riserve, e anche Marion, sua moglie, non gli riserva un trattamento migliore incolpandolo di essersela cercata per il modo in cui veste.

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Antisessismo, Critica femminista, R-Esistenze, Satira

Anche la “zoccola” ha i suoi diritti!

1467305_259196420900904_1467060_nDecostruendo questa cosa qui.

Sessismo è quella cosa che intrappolandoti in ruoli, con generalizzazioni e stereotipi, finisce per diventare ragione di disprezzo, risentimento, odio nei confronti di un genere. In tante ci portiamo dietro stigmi che in definitiva servono a giustificare offese, pestaggi, reali o virtuali, violenze. Allora è da quegli stigmi che vorrei partire, per raccontarvi qualcosa di diverso. Buona lettura!

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Porto una gonna, se me la vedi corta si vedono due cosce, cammino, vivo, parlo, sorrido, ma questo non significa che io non abbia diritti.

Ho bocca, carne, pelle, lingua, sensi e questo non vuol dire che io non abbia alcun diritto.

Seduco, scopo, trombo, faccio pompini, dilla come vuoi, ma pensarmi a fare cose che ti sembrano innocue solo se le fa tua madre, tua moglie o tua sorella, non significa che puoi sottrarmi dei diritti.

Mi chiami zoccola, puttana, troia, tutto quel che vuoi ma, ancora, io ho dei diritti.

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Antisessismo, Antispecismo, Comunicazione, Critica femminista, La posta di Eretica

#Firenze: faccia da porka al manichino nella vetrina in centro!

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Una amica mi manda questa foto e scrive:

…volevo segnalare questa nuova bella trovata. Nel centro di firenze, in un negozio di abbigliamento hanno avuto la esilarante idea di mettere al posto della testa di alcuni manichini delle facce da maiale.
Dunque mi chiedo, è un tentativo di catturare l’attenzione delle persone cercando di inscenare qualcosa di ‘divertente’? e se il gioco è sull’antropomorfismo perché allora le teste sono solo di maiali, e non… di giraffe, cavalli, elefanti? Non ci sarà forse un tocco del classico umorismo tutto italiano di basso livello? Non ci sarà forse il sottinteso che, quella faccia di porcello su un manichino (passivo, statico, utilizzabile, manovrabile) donna voglia dire che le donne sono porcelle, maiale, scrofe? Perché infatti non ci sono anche manichini uomo con le medesime facce? Insomma, non so cosa ne pensi tu, ma a me la cosa fa incazzare parecchio.

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Antiautoritarismo, Antisessismo, Autodeterminazione, Comunicazione, Critica femminista, Femministese, R-Esistenze

#Milano: manifesti sessisti, tribunali inquisitori e autodeterminazione!

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[Era la pubblicità di un marchio di capi di abbigliamento, doverosamente sovvertita da un collettivo femminista]

Tribunali dell’inquisizione. Quelli in cui qualcun@ decide cosa sia indecente e offensivo per le donne e cosa no. Parlo di apposite commissioni elette nei vari comuni e tra questa quella meno libertaria di tutte che è a Milano.

Bisogna avere davvero tanta stima di se’ per poter pensare di essere in grado di decidere per il bene di tutte, interpretare le immagini in nome di tutte e addirittura stabilire cosa potrebbe offenderci oppure no.

Cosa è indecente? Cosa è offensivo per le donne? Da quando io ho bisogno di un tribunale dell’inquisizione e della congrega delle madri superiore per essere protetta da un manifesto?

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Antisessismo, Attivismo, Critica femminista, R-Esistenze

Mettici il culo e sovverti le pubblicità sessiste!

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Una delle cose che ti fanno per istigare consumi, a te donna a te uomo a te chiunque tu sia, è importi un modello estetico dominante perché tu risponda a parametri di un modello unico di perfezione nazista.

I corpi che vedi nelle pubblicità sono perfetti, senza smagliature, ciccia, cellulite. Anzi ti mostrano una pelle perfetta e levigata e ti dicono che la cellulite è una malattia e che se tu sfuggi a quei parametri sei malatissima pure tu.

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Antisessismo, Attivismo, Comunicazione, Culture

Stereotipi sessisti: come sovvertire le pubblicità!

Segnalato da Martina e Ivana (grazie!) Pubblicità sessiste, ove per sessiste non si intende che si stereotipizzano solo i ruoli femminili ma anche quelli maschili. La questione è da intendersi come viene perfettamente spiegata qui. Censure, autoritarismi e leggi speciali non sono una soluzione. Puntare a moralismi che reprimono solo ciò che riguarda la sfera dell’erotismo e della sessualità nemmeno. Avevo già proposto una diversa risposta culturale in cui si sovverte il significato stesso delle immagini sostituendo il sesso dei protagonisti. Si fa con i fumetti, le locandine che pubblicizzano i film, le immagini pubblicitarie. L’esempio che vedete nel video e nelle immagini in basso è proprio di questa categoria. Se avete tempo e voglia prendete un po’ di amici e amiche e allenatevi a sovvertire l’immaginario imitando le pose che vengono proposte nelle pubblicità. E’ assai più divertente, non richiede l’uso di tutori, ed è sicuramente molto più efficace. L’impatto è notevole. Basta guardare.

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Autodeterminazione, Comunicazione, R-Esistenze

Vi presento Jes

Da questo nuovo, meraviglioso, progetto che si chiama Intersezioni, la mia amica Feminoska scrive e illustra questa cosa che io dedico anche a #ParaGiulia:

Rivendicando lo sguardo: Jes Sachse e il potenziale trasformativo dell’osservare.

495americanable1Tutti amiamo guardare. Mentre l’atto di fissare è generalmente percepito come un atto da evitare o di cui vergognarsi, Rosemarie Garland-Thomson, studiosa di disabilità e women studies, afferma che lo sguardo, nella sua accezione migliore, ha in realtà il potenziale di creare nuovi significati e società più aperte. Lo sguardo, nell’accezione di Thomson, ha il potenziale per aiutarci a ridefinire il linguaggio che usiamo per descrivere noi stessi e gli altri, creare spazio per coloro che si trovano più spesso esclusi dalle comunità, e forgiare le nostre identità. Lo sguardo è più dinamico e produttivo quando il soggetto dello sguardo, la persona che viene guardata, è in grado di esercitare un certo controllo sull’interazione, e così facendo presentare la propria storia alla persona che guarda.

Jes Sachse è un’artista canadese venticinquenne, con un disordine genetico chiamato Sindrome di Freeman Sheldon. In questo articolo saranno presi in considerazione due progetti distinti nei quali sono state utilizzate fotografie di Sachse, al fine di illustrare come “l’atto di guardare” sia in grado di modificare la nostra percezione delle categorie sociali, nel momento in cui, ad individui palesemente ‘differenti’, sia concesso di presentare le proprie storie. Questo tipo di narrazione ha il potenziale di creare un discorso sociale e categorie più fluide. Il modo in cui Thomson considera lo sguardo fornisce un mezzo per raggiungere il tipo di dialogo sociale che Wilchins e Clare hanno identificato come la chiave per stabilire concetti inclusivi di genere, sessualità e identità in generale.

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