Antiautoritarismo, Autodeterminazione, Critica femminista, La posta di Eretica, R-Esistenze, Violenza, Welfare

Il pompino libera chi lo fa e non chi lo riceve

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di Aurora & Bea

Quando vedo un film in cui si descrive la vita di una donna segregata, costretta in schiavitù personale, sessuale, da un uomo che la tiene chiusa in cantina, un po’ mi incazzo. Non perché non esistano storie di questo tipo ma perché sono quelle che solleticano una curiosità morbosa nel pubblico. La descrizione di un simile mostro è consolante perché ci fa dire che non esistono altre persone del genere. Sono solo alcuni casi. Ma chi ha voglia di indagare sulle segregazioni alla luce del sole, le sottomissioni prive di catene visibili, in case perbene, a partire da uomini perbene i quali, senza alcuna costrizione, ottengono, a volte, la schiavitù di una donna che ha anche un ruolo sociale da sostenere. Deve sembrare felice, moglie e madre assolutamente soddisfatta, perché altrimenti le sue lamentele si ripercuoterebbero sul marito.

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Antispecismo, Autodeterminazione, Critica femminista, La posta di Eretica, Personale/Politico, Precarietà, R-Esistenze, Storie, Welfare

(Bio) Lavoro: su riproduzione e cura le donne non hanno libertà di scelta!

 

Laurie Lipton, “On”
Laurie Lipton, “On”

 

di Simona R.

Quando avevo più o meno 16 anni mi convinsi che non c’era persona più abietta di me. Fu la prima volta in cui qualcuno disse che pensavo solo a me stessa. Lasciai un ragazzo, un buon partito, che già si era ripromesso di sposarmi dopo il mio diploma. Mi sembrò parecchio insistente e io non avevo alcuna voglia di metter su famiglia a 18 anni. Poi dissi no quando mio padre mi ordinò di stare alcune ore al giorno con mia nonna, malata, perché “non può fare tutto tua madre“. Risposi che ero d’accordo, ma la responsabilità era la sua, di lui. Perché gli faceva così schifo aiutarla?

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Autodeterminazione, La posta di Eretica, Personale/Politico, Storie, Violenza

E per fortuna che c’è la Marija

Il punto di incontro è sempre lo stesso. Mi chiede in cambio un pompino e poi mi consegna un po’ di marijuana. Mi basterà per un paio di giorni. Non di più. A casa rollo la canna e fumo guardando la televisione. Non c’è nulla di interessante e cerco il portatile per curiosare tra le ultime mail. Mi ha scritto quello stronzo del mio ex con la minaccia implicita che non smetterà mai di perseguitarmi. Non ho voglia di pensarci e allora cerco un video eccitante su youporn. Mi tocco già alle prime immagini e con l’altra mano cerco scene che mi facilitano l’orgasmo. C’è uno che gliela lecca e sembra un cane che sbava sulla faccia del padrone. Cerco un altro video e stavolta seleziono quello con due lesbiche. Qui la leccata è perfetta. La tizia riesce a farla venire senza problemi e godendo a occhi aperti vengo pure io.

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Che fortuna che non abbia chiesto anche un pompino

Sto guardando l’ultimo rotolo di carta igienica. Poi dovrò pulirmi il culo con la carta del giornale. Ad avercelo il giornale. Mi pulirò con le pagine di un romanzo dell’ottocento. A me sono sempre piaciuti molto poco i tardo romantici.

Mi manca anche il bagno schiuma che ho allungato all’infinito con un litro d’acqua aggiunta in varie sessioni. Oramai diciamo che mi lavo con lo sputo e con una bolla simulata che viene fuori dall’apposito contenitore. Ho saltato due bollette della luce e sto sopravvivendo immaginando che tra un po’ non avrò più neppure l’elettricità. Allora mi converrà tagliare i capelli a zero, così potrò lavarli col sapone e asciugare la testa al sole.

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Autodeterminazione, Personale/Politico, Precarietà, R-Esistenze, Sessualità, Storie

Il caldo di scirocco peggiora, senza dubbio, la precarietà

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Ho visto cose. C’è stato un periodo della mia vita che è stato caratterizzato da una grande confusione professionale. Devo questo racconto ad amici e amiche perché ho promesso e devo farlo. Dunque, dicevo, ero professionalmente un po’ disorientata. Finisce un lavoro e ne becco altri tre. Al mattino mi occupo di comunicazione e pubblicità, al pomeriggio mi occupo di telefonia erotica e alla sera faccio la cameriera. Nulla di nuovo, direte voi, e in effetti non ne ero minimamente scandalizzata. Non accusavo neppure la stanchezza perché l’adrenalina era tanta e tale che finché stavo in piedi riuscivo a tirare dritto fino a notte tarda. Gli ostacoli principali di queste mie professioni erano tre.

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Antiautoritarismo, Antisessismo, Autodeterminazione, R-Esistenze

Chissenefrega del Ruby Ter (e basta, però!)

Non si rassegnano. La Repubblica, pur di dare addosso a Berlusconi, giusto per non scrivere che è stato assolto, dà fiato ai moralismi dei vescovi. Si scrive che si ripartirà con un Ruby Ter. Nel frattempo Ruby sarà diventata nonna e dall’alto della sua posizione riderà di tutto il casino che è successo in Italia. Si continua a invadere la privacy di tante donne con intercettazioni mirate a scoprire chissà cosa. Ma a parte la questione giudiziaria, sulla quale altri, meglio di me, sapranno dire, io vorrei riflettere sul dato culturale che deriva da tutta questa faccenda.

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La posta di Eretica, Precarietà, R-Esistenze, Storie, Violenza

Buio e Luce

Sono in ufficio. Sto scrivendo qualcosa al computer. Credo si tratti di dati e cifre da sistemare in un database. Mi si avvicina il capo, e spero mi perdonerete il fatto che le immagini nella mia mente sono un po’ sfocate, come si trattasse di un brutto sogno. Lui poggia le mani sulle mie braccia, sento il calore del suo viso accanto al mio, mi sussurra piano qualcosa, poi, ad alta voce, passa in rassegna una serie di complimenti. Noto la collega, vicina di scrivania, che mi guarda visibilmente irritata. Forse quelle parole erano state dedicate a lei prima che a me. Buio.

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La posta di Eretica, Storie

Sono una donna. Acquisto servizi sessuali

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Le donne vanno a prostituti, lo vedo ogni volta che vado a Cuba per la mia sessione di turismo sessuale. Ho 56 anni, in Italia mi è capitato di conoscere uomini disponibili a farsi mantenere, ma erano cose inevitabilmente più rischiose e durature. Se accetti che un uomo entri in casa, non te lo togli più dalle scatole. Pensa di poter rivendicare diritti su di te e se tu gli dici che è sesso e basta poi ti chiama troia. Oltretutto, sinceramente, gli uomini “giovani” che ho incontrato in Italia volevano più di quelli che si accontentano di poco a Cuba. L’unico che non chiese moltissimo, a parte un paio di notti di ospitalità, fu un ragazzo senegalese che però in Italia fa tanto “povera vecchia… con l’extracomunitario mantenuto accanto“.

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Malafemmina

#Malafemmina e il convegno per le pari opportunità

Il mio primo incarico da svolgere per Raggia è quello di farle considerare l’idea di cambiare la grafica del pieghevole di cui ha già prenotato la stampa. Servirebbe a pubblicizzare il suo mega convegno che parla di pari opportunità. Ha invitato la sua amica del Quore, il pezzo di cuore che seleziona umani per consentirle di fare carriera. Poi c’è anche il solito assessore tal dei tali, anche se tutti sanno che la loro storia è già finita, e mi dovrò sorbire chilometri di occhi dolci e battutine di complicità, ché lui è una ciofeca d’uomo e ama far notare, come spesso accade in questi casi, che è riuscito a farsi una gran figa.

Un’altra volta vi parlerò del sessismo degli uomini che siedono in cattedra e discorrono di pari opportunità anche se hanno il cervello settato all’opzione “impari”. Oggi vi parlo di questo momento prioritario per l’esistenza di almeno una donna al mondo: la mia datrice di lavoro.

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Malafemmina

Malafemmina e la datrice di lavoro che fa la politica

Il mio lavoro estivo comincia ora e finisce a settembre. Mi ha assunta una tizia che mi paga con rimborsi spese e qualche compenso qui e là per fare e scrivere al posto suo quello che lei non sa scrivere e fare. La tizia si occupa di politica, è di centro sinistra, si occupa anche di storie di donne e pensa che io sia quella giusta per scriverle programmi e discorsi che lei non saprebbe neppure immaginare. D’altronde le persone come lei campano anche di questo. Scippano contenuti dove quei contenuti vengono prodotti e poi su quelli costruiscono una carriera.

Si chiama Raggia e alle sue dipendenze sono sempre io, Malafemmina, dopo mille lavori precari e mille situazioni complicate eccomi qui a iniziare una nuova avventura con una tizia che sa di falso lontano un miglio. Vanesia, con l’aria un po’ svagata, di quelle che fingono di ascoltarti ma non gliene frega un cazzo, ha sicuramente molto da insegnare in quanto a pubbliche relazioni, d’altronde la sua postazione l’ha ottenuta un po’ per fascino e un po’ perché si è scopata, con tanto di coinvolgimento sentimentale, un assessore. Perché anche gli uomini politici di centro sinistra, alla fin fine, amano avere attorno belle donne, incluse quelle che dicono di occuparsi di donne e poi denunciano lo stato di precarietà profonda che riguarda quelle come me.

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“Processo pubblico” in difesa delle vittime di violenza!

immagine07Il mio programma ebbe un calo di share. Fu a quel punto che io capii che dovevo cambiare strategia. Così decisi di cambiare anche il mio personaggio. Non più la conturbante e avvenente conduttrice di un programma che mostrava carne femminile, giacché quel che avrebbe venduto meglio, fuori da un mercato di nicchia, in orari accessibili alle grandi masse, sarebbe stato ora il modello della donna/vittima.

Qual è la donna che tra una faccenda o l’altra non ama farsi i cazzi dell’altra e non desidera dire la propria opinione su ogni cosa? Qual è l’uomo che non desidera vedere la donna fragile e da salvare svolgendo anche in pubblico il ruolo di tutore?

Decisi di chiamare il nuovo programma “Processo Pubblico”, da un lato la vittima e dall’altro l’accusato. Un piccolo spazio per svolgere interviste a specialisti del settore, preti, madonne, psichiatri e criminologhe, l’angolo per la libera opinione del pubblico con due fazioni avverse, tifoseria per la difesa e quella per l’accusa, due pseudo avvocati, una parecchio conturbante che parla facendo le veci del diavolo e l’altro santificato con desiderio di salvare la povera fanciulla indifesa, infine l’angolo per lo svolgimento della pena la quale dovrebbe comunque essere inflitta solo dopo aver ottenuto il voto del pubblico. Bisogna telefonare pigiando il tasto uno se siete d’accordo con lei e il tasto due se siete d’accordo con lui.

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C’era una presentatrice che strumentalizzava la violenza per ottenere audience

Una volta fui invitata in una trasmissione televisiva, tempo fa. Mi dissero che si parlava di argomenti vari e che la mia presenza era utile perché sapevo cose, avevo fatto cose, avevo scritto cose. In camerino chiedono come sto, e io già non capisco, poi la presentatrice spara il fatto che voci di corridoio dicono che io avrei subito una violenza, però non ne parleremo, no no, è solo per fare due chiacchiere tra noi e darti la mia solidarietà, così dice la conduttrice. Invece arrivo alla postazione, mi siedo, e come avrei dovuto prevedere viene svenduto il mio privato al pubblico che attende dettagli morbosi sulla mia esistenza.

In camerino mi dicevi di aver sofferto tanto – esortava la presentatrice – e il pubblico puntava lo sguardo nella mia direzione sicché già la sola attesa di una mia risposta portò la trasmissione a punte altissime di share. So che non ti piace parlarne perché deve essere parecchio doloroso ma qui siamo tutti con te, guardate pubblico, diteglielo che siamo tutte con lei, fate sentire il vostro calore e affetto. E parte un applauso che avrebbe stuzzicato la vanità di chiunque. Chiunque meno che la mia. Sapete: ho studiato comunicazione, so esattamente quando e come viene usato un fenomeno da baraccone nelle trasmissioni televisive e so quando la persona invitata viene spogliata di dignità e perfino della facoltà di scegliere cosa dire perché quello che importa è fare audience e non c’è altro.

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Precarity Show: il reality più reale che ci sia!

L’idea venne al più audace del gruppo: costituire una cooperativa, aprire un sito internet, piazzarci un po’ di pubblicità e trasmettere in streaming video la vita della gente del condominio 24 ore su 24. Serviva un investimento iniziale di un po’ di soldi ma quando ne parlarono alla riunione condominiale furono tutti d’accordo. Che altro possiamo fare se non questo? Invogliava Piero. E tutti rispondevano che effettivamente era una grande idea e se avesse reso qualcosa sarebbero stati tutti un po’ più contenti.

Piero in realtà aveva preso l’idea da una amica che faceva la webcam girl a pagamento, così gli venne in mente che se invece avessero seguito l’esempio di qualunque altro reality, senza plagiare il format originale ma inventando qualcosa di completamente nuovo, la questione avrebbe attirato molte più persone. Tanta gente sarebbe rimasta lì a seguire le storie di Caterina, quelle della famiglia Pucci, i bisticci tra Cristina e Giovanni, la vita dell’anziana Signora Roberta. Il condominio aveva storie a sufficienza per intrattenere tantissime persone e il sito avrebbe dato accesso a tutte queste vite e queste case con selezione interattiva delle stanze preferite.

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Storie di schiavitù del badantaggio: la figlia “zitella”!

Raccogliendo il mio appello a raccontare e raccontarsi sulle tante forme di schiavitù del badantaggio mi scrive Simona. Proverò a rendere la sua mail (lunga) un po’ più scorrevole perciò la riscrivo e la sintetizzo. Simona sostanzialmente dice:

Col cazzo che io mi prendo tutte le responsabilità in sostituzione di fratelli e sorelle perché sono l’unica a non essere sposata. Ho due fratelli e una sorella. Fratelli a fare le proprie cose e una sorella sposata e con bambini. Dato che non sono sposata devo sorbirmi non solo gli sguardi di compatimento perché c’è chi mi considera sfortunata. Sfigata perché non avrei trovato uno che mi si pigliava. Sfigata perché non ho un figlio. Sfigata in generale perché per compensare queste mancanze se non prendi almeno un Nobel praticamente puoi suicidarti il giorno dopo. Dunque c’è tutta la famiglia prodiga che per “aiutarmi” a stare meglio con me stessa mi dona le gioie dell’essere madre, figlia, moglie, sorella, badante, babysitter ogni volta che gli gira.

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Le donne sono sempre buone e caritatevoli…

La mia amica Monica mette su uno status in cui semplicemente racconta un punto di vista a proposito della fine delle relazioni a causa di problemi economici. Si formano due gruppi in reazione: quello che approfitta per spargere pregiudizio contro tutte le donne sulla faccia della terra e quello che sostiene che invece no, le donne, non sono solite lasciare una persona bisognosa di aiuto. Sono crocerossine per natura, empatiche, materne, bla bla bla, dunque forse c’è un’altra ragione per cui le persone di cui parla Monica hanno lasciato i mariti.

Della promessa “nella buona o nella cattiva sorte” a me non importa niente né sto lì a raccontare che sia malvagio il fatto che alcune donne lasciano i mariti perché poveri, perché non tollerano le difficoltà, perché alla fine è molto più semplice tornare alla vecchia vita di figlie di famiglia ovvero provare a ricominciare scrollandosi di dosso quell’orpello. Ma che le relazioni sono messe a dura prova dai problemi economici non c’è alcun dubbio. Nella mentalità comune, poi, almeno qui nel sud, un uomo deve fare il suo dovere e mantenere la famiglia. Se lui non riesce, non ce la fa, se non ha lavoro, viene considerato meno che niente. Non c’è la stessa percezione rispetto alle donne, tantissime, senza lavoro. Non che sia meglio, anzi, ma alle donne è concesso bonariamente e senza purghe sociali lo status della disoccupata perché in realtà alle donne viene destinato il ruolo di riproduzione e cura. Il fatto che una donna debba lavorare invece che fare la moglie/madre/casalinga nel caso in cui fosse necessario dare una mano al coniuge viene visto in alcuni contesti, non in quelli che frequento io, come un disonore. Non per lei ma ancora per lui.

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