
Articolo di Victoria Gallardo.
[In lingua originale QUI. Traduzione di Camilla del gruppo Abbatto i Muri]
Storicamente legata al genere maschile, la scena urbana è una tela attraverso cui reclamare il lavoro della figura femminile
Verso la fine della guerra fredda (e pure calda) tra i sessi
Articolo di Victoria Gallardo.
[In lingua originale QUI. Traduzione di Camilla del gruppo Abbatto i Muri]
Storicamente legata al genere maschile, la scena urbana è una tela attraverso cui reclamare il lavoro della figura femminile
Qualche giorno fa scrivevo dell’ultimo romanzo di Irene Chias, Non Cercare l’Uomo Capra, e oggi pubblico questo botta e risposta tra me e lei, riassumendo gli umori delle sue precedenti fatiche letterarie, Sono Ateo e Ti Amo e Esercizi di Sevizia e Seduzione, recuperando i toni goliardici e comunque mai privi di contenuto, che hanno caratterizzato il nostro primo incontro – molti anni fa – e tante nostre comunicazioni successive. Irene non è solo una scrittrice, giornalista, eclettica e brillante donna siciliana, ma, per me, è anche una tenace e intelligente amica che resiste nonostante il tempo e le distanze – geografiche – perché se due cervelli si incontrano e la dialettica, condita di personal/politico, non è mai scontata né spenta, è difficile che si perdano. Di Irene vi passo anche un video – lo vedete sotto – con una brevissima, ma bella, presentazione del suo ultimo libro su SkySport. Buona lettura!
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– Se tu avessi incontrato un uomo pronto a dirti “non sono ateo e ti amo” lo avresti sottoposto ad un ciclo di decristianizzazione?
Non è detto che il non ateo sarebbe un cristiano. In ogni caso ho imparato che, come molte altre invenzioni umane, la religione non è un male in sé. È potenzialmente qualcosa di personale che ognuno può declinare in pratiche e credenze assolutamente compatibili con il rispetto dell’altra persona. La religione è quello che ciascuno ne fa, anche se è innegabile che spesso presta il fianco alle azioni peggiori. In ogni caso, l’ateismo cui facevo riferimento in Sono ateo e ti amo era relativo a quell’aspetto patriarcale delle religioni – ma anche di credenze sociali apparentemente laiche – che ricorrono a rigidi ruoli predefiniti, che mischiano sentimenti e controllo sociale, fragilità personali e violenza.
– Quelle torture del tuo secondo libro, inflitte a uomini, diciamolo, un po’ di merda, le pianificavi da tanto tempo? Continua a leggere “Ereticamente: botta e risposta con la scrittrice Irene Chias”
Ci sono cose che dovrebbero essere ben stigmatizzate perché rientrano in una mentalità piuttosto comune, fin troppo comune, e se dici in una canzone che lo stalking e il femminicidio è ok direi che non puoi aspettarti che chi ti ascolta e ti canticchia sappia distinguere. Non so chi sia, questo cantante di cui sento parlare solo ora, ma so che le parole:
“Ennesimo messaggio, dopo il “bip”
Ho provato a contattarti mercoledì
Perchè ho un amico che ti ha visto in centro
Che parlavi con uno e io non ci sto dentro
E no che non è mica detto che sia come penso
Ma da una settimana hai il cellulare spento
Lo so sono egoista
Un bastardo
Ma preferisco saperti morta che con un altro
(…)
Io che intaso di messaggi la tua segreteria
O che tu fai la scema in giro ma in segreto sei mia Continua a leggere “Emis Killa e la canzone che legittima stalking e femminicidio”
di Kristen Sollee (pezzo in lingua originale QUI – traduzione di Antonella)
Uno degli obiettivi centrali del femminismo è quello di combattere la rappresentazione della sessualità femminile per portarla lontano dalle grinfie del controllo patriarcale e spesso l’arte delle femministe sex-positive persegue questo obiettivo in maniera visiva, arrivando là dove la parola scritta o parlata spesso fallisce. Questo tipo di attivismo estetico è perfettamente rappresentato da una nuova mostra alla Dallas Contemporary, Black Sheep Feminism: The Art of Sexual Politics, (Il Femminismo della Pecora Nera: l’Arte della Politica del Sesso), che allestisce il lavoro di quattro artiste che sfidarono lo status quo sessuale negli anni ’70. Joan Semmel, Anita Steckel, Betty Tompkins e Cosey Fanni Tutti: ognuna di loro ha esplorato una esplicita sessualità femminile attraverso diversi percorsi artistici e come risultato tutte incontrarono un certo livello di esclusione dalla comunità artistico/femminista.
Continua a leggere “Cinque artiste femministe sex-positive da conoscere”
da animaliena
La regista britannica parla del suo acclamato capolavoro dell’orrore a tema vegfemminista LA MANDRIA.
Traduzione di questo articolo di feminoska, revisione di michela.
Una delle caratteristiche uniche del genere horror è la grande libertà che offre a* regist*, grazie ai suoi peculiari elementi fantastici, di affrontare questioni scottanti in maniera non per forza totalmente esplicita. Questo aspetto è balzato all’occhio recentemente in Babadook di Jennifer Kent, nel quale la regista è stata in grado di affrontare i tabù della maternità attraverso l’entità che dà il titolo al film, questioni che avrebbero potuto essere liquidate come crudeli o, peggio ancora, ignorate in un film realistico. Utilizzare metafore per porre questioni difficili, ha dunque, a sua volta, il potere di concedere al pubblico la facoltà di affrontare argomenti che in passato aveva rifiutato o lo avevano fatto sentire a disagio. Si tratta di una forma di rimozione che va a vantaggio di entrambe le parti.
Per l’esordiente Melanie Light, il genere horror si è rivelato la cornice ideale del suo ultimo lavoro. Un cortometraggio intitolato THE HERD (LA MANDRIA), dichiaratamente vegfemminista, si sarebbe di certo scontrato contro tali pregiudizi. Stranamente, nonostante sia sufficiente menzionare il femminismo o il veganismo per causare in alcune persone spasmi di rifiuto, esiste un diffuso scollamento tra i due movimenti. THE HERD, un film che trasferisce gli orrori quotidiani dell’allevamento intensivo e dell’industria lattiero-casearia alla realtà umana, cerca di colmare questo divario.
Scritto da Ed Pope, il film narra le vicende di un gruppo di donne rapite e imprigionate in una struttura al solo scopo di mungere latte dai loro corpi. Indipendentemente dalle idee personali degli spettatori, il film è innegabilmente efficace nel raggiungere il proprio obiettivo, ovvero raffigurare un’esperienza di orrore cruento. Nei titoli di coda, tuttavia, Light sottolinea ulteriormente il tema in questione attraverso l’inserimento di immagini disturbanti di macelli e allevamenti. La giustapposizione equipara il trattamento delle donne in questo film di finzione al trattamento degli animali nella vita reale, dando vita a un’atmosfera angosciante con la quale il pubblico dovrà per forza fare i conti.
THE HERD sarà, ci auguriamo, il trampolino di lancio di una carriera fiorente per la regista britannica. In venti brevi minuti, Light sviluppa una storia straziante abilmente condotta dal suo forte senso visivo. L’intenzione della stessa Light, la quale ha affermato di aver “trattato il film come un lungometraggio”, è evidente: non c’è un briciolo di trascuratezza. Grazie agli studi in scenografia, il film beneficia di un’ambientazione volutamente squallida. Le immagini sono profondamente efficaci e aiutano a sottolineare il concetto centrale del film. Se non altro, THE HERD vi costringerà a pensare, cosa che non avviene di frequente nel cinema moderno.
In seguito alle numerose proiezioni accolte con estremo favore nel circuito dei festival, SHOCK ha incontrato Melanie per parlare del film, delle sue istanze politiche e delle ragioni per cui a volte può essere difficile anche solo cercare di spiegare a qualcuno il veganismo.
SHOCK: Quindi, qual è stato il tuo percorso? Sei sempre stata attratta dal cinema?
LIGHT: Mah, ho studiato scultura in modo molto approssimativo – all’Università di Brighton, in Inghilterra. Sai, sono sempre stata attratta dalle arti – pittura, disegno, fotografia. Verso la fine del mio percorso universitario ho cominciato ad appassionarsi seriamente al campo cinematografico, ai film horror per lo più. Ero anche ossessionata da rotten.com e della rivista Bizarre, da tutte queste cose strane e assurde, e il mio lavoro le rispecchiava. Alla fine, sono dovuta tornare a casa e trovare un noiosissimo lavoro di merda, in un ufficio, per pagare una parte dei dei miei debiti mentre realizzavo protesi e oggetti di scena horror nel tempo libero. Non sapevo cosa fare di me stessa.
SHOCK: Quando hai cominciato a lavorare davvero sui film, quindi?
LIGHT: Alla fine, mi sono ritrovata ad una convention horror alla quale erano presenti solo 50 persone. Si trattava della Chiller Fest Convention. In realtà è li che ho incontrato Ed [Pope], lo sceneggiatore di THE HERD. C’erano anche alcune persone che avevano lavorato in Harry Potter e parlavano di cercare lavoro in campo artistico; io non riuscivo a far altro che pensare “Com’è possibile?” A quei tempi credevo che fosse possibile lavorare nel cinema solo attraverso le grandi produzioni cinematografiche. Pensavo, ”Come cavolo faccio, non conosco nessuno”. Così ho iniziato a realizzare dei diabolici coniglietti zombie e ho cazzeggiato un po’ con vari progettini. Alla fine ho trovato questo sito, mandy.com, che offriva l’opportunità di lavorare a un film horror chiamato “La sedia del diavolo”, come assistente nel dipartimento direzione artistica. Si è trattato di tre settimane di riprese notturne passate a dipingere pareti, coprire le mura di sangue finto, senza chiudere occhio. Ho pensato che fosse la cosa più bella del mondo. Mi ricordo che, verso la fine – ci si scopre molto emotivi al termine di un lavoro impegnativo, perché si diventa come una piccola famiglia – erano le quattro del mattino e ho pensato, ”Credo di aver trovato la mia strada”.
SHOCK: Qual è stato il passo successivo?
LIGHT: Mi sono trasferita a Londra e ho fatto un sacco di roba a basso costo. Sono stata responsabile di produzione e direttrice artistica di film horror dal budget ridicolo, serie web e roba così. Dopo aver lavorato ad alcuni progetti con un budget quasi inesistente, ho pensato che se questi ragazzi ci riuscivano, allora onestamente ero convinta di poterlo fare anche io. Così ho realizzato il mio primo cortometraggio con un gruppo di amici, una sciocchezza della durata di cinque minuti. Poi, ho fatto un paio di piccoli video musicali, chiedendo a tutti i miei amici musicisti di farmi fare video per loro. Mi sono fatta più ambiziosa e ho girato il corto successivo in Nevada, perché volevo dimostrare che potevo essere una regista. Dopo quell’esperienza ho capito che dovevo fare un altro cortometraggio, ed è stato a quel punto che Ed mi ha proposto la sceneggiatura di THE HERD.
SHOCK: Sono molte le tematiche affrontate dal film, a partire dalla premessa centrale. Quando Ed ti ha proposto l’idea di THE HERD, fino a che punto era già definita?
LIGHT: C’erano un sacco di bozze. Dopo avermi proposto il film, è rimasto nel dimenticatoio per un po’, finché ad un certo punto ci siamo concentrati e abbiamo lavorato insieme con grande impegno per dare forma allo script. Doveva essere semplice da girare ed era molto importante che fosse chiaro il motivo per il quale queste cose accadevano; era un punto fondamentale per assicurarsi che non si trattasse esclusivamente di una storia di oppressione animale, ma fosse allo stesso tempo una storia horror. Avevamo bisogno di qualcosa che potesse soddisfare chiunque e in ogni caso trasmettere il messaggio.
SHOCK: Dunque, dall’inizio, il punto essenziale era rendere evidente il collegamento tra la condizione umana e il trattamento degli animali?
LIGHT: Sì, sicuramente. Questo è stato lo scopo della storia fin dal primo giorno. Ed ha tirato fuori la frustrazione che prova quando è costretto a spiegare alla gente perché non beve latte, perché non mangia formaggio. Lo scopo era proprio quello di mostrare le donne in gabbia mentre venivano munte e ingravidate, per rappresentare le vacche da latte e l’industria lattiero-casearia.
SHOCK: E gli spettatori spesso vedono la connessione tra il femminismo e il veganismo, anche se è innegabile che esista uno scollamento tra i movimenti.
LIGHT: È davvero frustrante, una volta che si comprende il legame esistente tra il femminismo e il veganismo. Non molto tempo fa ho inviato una mail al Vegan Feminist Network sul tema, e mi è stato risposto che “purtroppo molte femministe non vogliono vedere questo collegamento”. È deprimente imbattersi in persone che sono convintamente femministe, che mangiano carne o sono ancora vegetariane, e cercare di spiegar loro il nesso esistente, che questa è una questione che riguarda tutte noi. E quando si prova a spiegarlo, si ricevono sguardi straniti o bisogna fare attenzione a non trovarsi coinvolt* in interminabili discussioni, perché sono sempre le/i tu* amic* e in fondo le/i rispetti comunque (anche se una parte di te è morta dentro) [ride]. Un sacco di gente non vuole affrontare il semplice fatto che essere femmina non è una caratteristica esclusiva degli esseri umani, e che queste mucche, scrofe e pecore sono sfruttate per via e attraverso i propri apparati riproduttivi. Non umani e umani: per la gente non siamo uguali, no? Di recente ci hanno accusato di aver realizzato un film misogino e bacchettone, cosa che per noi è stata molto difficile da capire, perché la persona che lo ha definito così, ovviamente, non ha colto il punto centrale del film. Gli esseri umani pensano di essere al di sopra di altre specie. È così demoralizzante.
SHOCK: È davvero strano sentir definire il film misogino, perché anche tenendo separate le questioni relative ai diritti animali (cosa assolutamente possibile, almeno fino ai titoli di coda), in ogni caso mette in scena una rappresentazione del trattamento che molte donne subiscono nella società. Le immagini presenti sullo schermo non possono provocare alcun piacere.
LIGHT: Ti imbatti continuamente in persone che, il minuto che scoprono che sei vegan, ti buttano addosso il proprio senso di colpa e iniziano ad attaccarti per il solo fatto di esserlo. È per questo che ho scelto di mettere il montaggio [dell’industria lattiero-casearia e del macello] alla fine, perché, se si fosse trattato del solo film senza titoli di coda, la gente non avrebbe capito il messaggio preciso. E quando cominciano a capire, stanno tutt* zitt* – a volte senti risatine nervose – ma poi cominciano a fare i collegamenti. Sono così assorbita dal tentativo di spiegare il punto principale del film, l’analogia con l’oppressione animale, che rischio facilmente di trascurare le analogie con il trattamento delle donne nella società, le pressioni che subisce chi è di sesso femminile, chi vive l’oppressione religiosa, o come cittadina di seconda classe nelle comunità, nei luoghi di lavoro. Nessuna parità di retribuzione, l’obbligo di apparire in un determinato modo, di raggiungere questi ideali impossibili. In molti casi, non poter essere null’altro che madri. Non c’è uguaglianza all’interno della nostra stessa specie, figuriamoci con le altre.
SHOCK: Se avessi messo quelle immagini all’inizio del film, la gente sarebbe scappata via prima ancora di sentirsi emotivamente coinvolta. Era questa l’idea, ovvero prendersi gioco de* spettator* facendo loro capire qualcosa che, altrimenti, potrebbe essere spiacevole da affrontare?
LIGHT: Sì, ma era più una strategia per mostrare agli spettatori il vero significato del film, perché ho l’impressione che forse, se non ci fossero state, molte persone non avrebbero capito il senso di tutto questo. Infatti, nonostante qualche critico ci abbia accusato di voler imporre la nostra agenda, altri sono ancora completamente fuori strada. Si tratta di un film politico, alcuni possono non essere d’accordo o sentirsi offesi, ma sono convinta che quando si ha l’intenzione di fare un film capace di trasmettere un messaggio, sia meglio che questo messaggio sia chiaro.
SHOCK: Qual’ è stata la reazione del pubblico?
LIGHT: Molte persone ci hanno inviato messaggi molto positivi sulla pagina Facebook, del tipo: “Sono così felice che abbiate realizzato questo film”, o ”Ho sempre pensato che questo argomento dovesse diventare un film”. Dal punto di vista dei diritti animali, i risultati positivi che abbiamo testimoniato sono stati davvero travolgenti. Uno degli attori, Dylan [Barnes] – che interpreta il personaggio più cattivo – era carnivoro e, dal momento in cui ha cominciato a lavorare al film, ha imboccato a poco a poco la strada del veganismo. E uno dei nostri produttori è diventato vegano subito dopo aver visto il film. Dunque funziona, ed era appunto questo che stavamo cercando di fare. È snervante, perché sai che la maggior parte del pubblico non investirà così tanto delle loro convinzioni personali nella storia, come abbiamo fatto noi. Quindi è bello costringere “con l’inganno” queste persone a fare i conti con cose alle quali non hanno mai nemmeno pensato. Per via di una scarsa informazione, le persone non pensano mai veramente a queste cose, come al fatto che le mucche debbano essere incinte per produrre latte – esattamente come le donne devono partorire per allattare; è proprio la stessa cosa. Quando potremo finalmente mettere il film online, dopo tutti i vari festival, sarà grandioso. Soprattutto con quello che sta succedendo al settore lattiero-caseario nel Regno Unito. E’ di questo periodo la notizia di come le aziende lattiero-casearie si sentano messe sotto pressione. Ovviamente, la gente è spesso egoista e pensa “ho intenzione di smettere di bere il latte, perché ho sentito che contiene sostanze chimiche e che mi fa male“ il che, se non altro, è un cambiamento. Ma penso che la gente abbia ulteriormente bisogno di rendersi conto che, in realtà, è diverso dal pensare “Aspetta un secondo, guarda come le mucche sono state ridotte in schiavitù, per tutta la vita” e che non dovremmo controllarle e trattarle come se fossero solo beni e prodotti.
SHOCK: Quali sono i tuoi progetti futuri? Arriverai a realizzare un lungometraggio?
LIGHT: Stiamo facendo uscire una musicassetta in edizione limitata della musica del film, quindi ora sono in attesa di finire questo. Credo che la musica sia in sé davvero eccezionale, e amo i brani di genere punk rock: abbiamo realizzato una cassetta in edizione limitata come se fosse realizzata da un gruppo punk o simili [ride]. Ho scritto un lungometraggio ma essendo il primo, ovviamente, nessuno vuole investirci molti soldi. Così ho pensato ad un film a budget bassissimo che voglio girare nella mia città natale. A meno che qualcuno non mi proponga una buona sceneggiatura, disponga di tutti i soldi necessari e faccia anche da produttore, dicendomi: “Voglio che sia tu a dirigere questo cortometraggio”! Allora lo farei [ride], ma in questo momento è tutto molto difficile e impegnativo. Ho investito così tanto denaro e impegno nel realizzare THE HERD, perché l’ho trattato come se fosse un lungometraggio. Ad un anno da oggi, vorrei davvero essere occupata nella realizzazione di un film. Al momento, non vedo l’ora di pubblicare THE HERD online [il film è oggi disponibile online su vimeo, n.d.t.]. Sto cercando una piattaforma dove metterlo in rete e sulla quale la gente possa pagare tipo due sterline, una per coprire i costi della piattaforma, l’altra da donare ad un rifugio per animali situato da qualche parte nel Regno Unito…
di Donatella
All’epoca di #escile e dei porn selfie, le foto di Marilyn Minter ci potrebbero apparire senza arte né parte. Eppure mentre le scorriamo sul suo sito o abbiamo la possibilità di ammirarle al Museum of Contemporary Art di Denver nella sua retrospettiva Pretty/Dirty, subiamo una sensazione di disturbo.
Continua a leggere “L’insolenza trasgressiva di Marilyn Minter”
di Ina Macina
I ritratti della fotografa Victoria Sorochinski rompono la retorica della maternità, restituendola in una forma non convenzionale e meditata.
Continua a leggere “Inquietanti ritratti di madre e figlia per Victoria Sorochinski”
Il film è The hateful eight, ultimo lavoro di Quentin Tarantino che si è guadagnato il titolo di misogino per il ruolo riservato all’attrice Jennifer Jason Leight che invece afferma tutto il contrario.
Continua a leggere “The hateful eight: Quentin Tarantino non è un misogino”
Da Intersezioni:
Pubblichiamo la traduzione di un articolo apparso su la-critica.org che tratta di rapper e cantautrici che si dichiarano apertamente femministe, sono artiste in lingua spagnola che mescolano senza timore ma, anzi, con fierezza e poesia, musica e militanza.
Traduzione di Serbilla.
Le cantanti apertamente femministe sono di tendenza
Di L Herrera
Continua a leggere “Le cantanti apertamente femministe sono di tendenza”
E’ un pezzo liberamente tradotto da Distractify. Grazie ad Antonella per la traduzione. Buona lettura!
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Mollare gli assorbenti tradizionali (tamponi inclusi) per la coppetta mestruale. Lo fanno in tante, ma per Jen Lewis questo passaggio ha significato intraprendere un nuovo, singolare, provocatorio percorso artistico, che ha preso il nome di Beauty in Blood.
Continua a leggere “Beauty in Blood: fare arte con il sangue mestruale”
E’ un articolo pubblicato su counterpunch.org. Tradotto da Marco. Buona lettura!
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una conversazione con la regista Femminista Lizzie Borden
Sex Work, Femminismo, e Rivoluzione
di JORDAN FLAHERTY
Lizzie Borden ha realizzato due dei più importanti film degli anni ’80. Il suo primo film, Born in Flames, uscito nel 1983, è ambientato in un immaginario futuro non remoto dove avveniva una rivoluzione socialdemocratica negli Stati Uniti.
Nel Film alcuni gruppi di donne radicali, perlopiù lesbiche e donne di colore, si rendono conto che il nuovo governo socialista non ha risolto i problemi del Patriarcato e del Razzismo, e decidono di creare una “armata delle donne” per combattere una rivoluzione nella rivoluzione. Continua a leggere “Lizzie Borden e Sex Work, Femminismo, Rivoluzione”
Ritratto in piedi di Ms Ruby May, di Leena McCall.
Esposto all’annuale mostra dedicata a 153 donne artiste, è stato definito “pornografico e disgustoso” e a causa delle numerose proteste i galleristi londinesi organizzatori dell’esposizione sono stati costretti a ritirarlo. Evidentemente gli offesi frequentatori delle Mall Galleries non hanno mai fatto un giro alla National Gallery!
E’ stato chiesto all’Associazione delle Donne Artiste di sostituire il quadro e loro l’hanno fatto, con un altro nudo femminile, stavolta integrale, ma senza pipa e tatuaggi e con una postura più classica e rilassata – e stavolta nessuno ha avuto niente da dire.
Ennesima dimostrazione che è questo a spaventare tanto i bigotti: la pericolosissima sessualità attiva delle donne. Tutta la storia e altri link interessanti in questo articolo su The Guardian. E io provo a farne una sintesi.
Come si fa a distinguere un dipinto da qualcosa che viene definito “disgustoso” e “pornografico”? Come si fa a definire l’arte qualcosa di censurabile? Il ritratto che vedete nell’immagine è stato rimosso perché ritenuto pornografia. Perché il pelo pubico provoca enorme indignazione.
Continua a leggere “#Londra: le Mall Galleries censurano l’arte con pelo pubico”
La risposta al porno di cattiva qualità non è vietare il porno, ma fare dei porno migliori!” – scriveva la porno post modernista Annie Sprinkle nel 2001. Lo raccontava al termine di una lunga guerra, tra oscurantiste antiporno (vedi Andrea Dworkin commentata da Judith Butler o da Nadine Strossen) e femministe free sex, che negli stati Uniti si celebrava negli anni ’80 e ’90. Molti anni dopo l’Europa tinge le sue politiche movimentiste dello stesso grado di puritanesimo e parrebbe d’essere nel villaggio calvinista descritto da Lars Von Trier ne Le onde del destino o in quello protestante de Il Pranzo di Babette di Karen Blixen mentre leggiamo delle imprese colonialiste di donne che vorrebbero imporre il modello nordico a tutte noi dell’incivile sud.
Arriva dal nord Europa l’ossessione volta a purificare le città dalle sempre più inascoltate e calunniate sex workers e dallo stesso nord arriva il regresso oscurantista contro il porno. Si tinge perfino di socialdemocrazia, finge d’essere un intento in favore delle donne ma alle donne toglie parola e le riduce a semplici oggetti che possono soltanto essere vittime o tacere. Le sex workers però non tacciono ed esigono di essere ascoltate mentre propongono visioni giuridiche non repressive e che restituiscano loro diritti e garanzie. Non tacciono neppure le donne che guardano, godono, vivono, fanno porno, ciascuna alla loro maniera, per quanto la legge italiana sia oltremodo punitiva e limitante in questo.
Francesco Chiacchio è un artista secondo me parecchio bravo. Un sovversivo a modo suo. Come lo è ogni bravo artista che non censura, non demonizza, semplicemente sovverte raccontando un altro modo di vedere il mondo, un’altra prospettiva.
Me lo ha fatto incontrare virtualmente un’altra bella artista della quale nel tempo ho apprezzato le meravigliose foto con quei volti interi, espressivi, fatti di storie che si leggono attraverso, Laura Albano, che meriterebbe un altro post tutto per se’.
Continua a leggere “Le Donne di Francesco Chiacchio (perché l’arte è sovversiva)”