Lo stesso esercito che si vanta del suo atteggiamento progressista nei confronti delle donne cambia completamente tono quando si rivolge a un pubblico di lingua araba.
“La femminilità di una donna sta nella sua grazia, la sua arma è il suo spirito. Dove sono questi nella personalità di questa terrorista? “
Mi scrive una ragazza che critica il victim blaming definito in un articolo su La Stampa che parla di una sfilata di moda a cura di Prada. Non solo si tratta di pink washing, ovvero di uso della lotta contro la violenza di genere per pubblicizzare un marchio, ma dalle dichiarazioni espresse pare proprio che il victim blaming sia un po’ più che accennato. Perché non creare allora un burqa?
Da circa 5 anni la città di Torino viene invasa, in prossimità della ricorrenza dell’otto marzo, da una marea rosa magenta che attraversa il centro partendo dalla storica Piazza San Carlo, per rientrarvi dopo un percorso di sei chilometri in un tripudio di sorrisi ed estrogeni. E’ Just the Womam I am, conosciuto più prosaicamente come Torino Donna, calderone di donnismo e buoni sentimenti già dalla descrizione presente sul sito internet (www.torinodonna.it) che si definisce, testualmente “evento di sport, cultura, benessere e socialità a sostegno della ricerca universitaria organizzato in occasione dell’8 marzo. Lo sport universitario è ancora una volta in prima linea con lo scopo di comunicare i propri valori formativi, di strumento di prevenzione e salvaguardia della salute dell’individuo e soprattutto, grazie alla propria componente aggregativa, di sensibilizzare l’opinione pubblica diventando veicolo di cultura a sostegno dell’eliminazione della violenza di genere.”
Trenitalia fa una corretta manutenzione? I servizi funzionano davvero? La strage suggerisce che qualcosa non vada come dovrebbe e il punto è che sono morte delle persone che stavano andando a lavorare. Parlare di uomini o donne non cambia nulla perché anzi peggiora le cose per chi combatte contro la violenza di genere. La strage riguarda persone e non “donne”. Sono morte delle persone che casualmente sono donne. Quante sono le persone ferite? C’è qualche uomo tra queste? Ma poi seriamente: davvero dobbiamo stare qui a discutere di una cosa tanto ovvia? Questa strage non equivale ad un femminicidio e femminicidio non significa omicidio della femmina. E questa diventa in un modo o nell’altro disinformazione.
Star Wars, il risveglio della forza, secondo me non è poi tutta sta gran cosa femminista. Anzi prende il femminismo e lo normalizza, lo norma, dirigendolo in una sola, unica, chiara, traiettoria. Ci sono delle novità rispetto alle puntate precedenti ma nulla che non sia già noto agli/alle amanti delle saghe fantascientifiche. Non lo è più di quanto lo sia stata la protagonista di Mad Max Fury Road. Proverò a non spoilerare e cerco di fare solo alcune considerazioni sul perché sia stato venduto come prodotto femminista (gran bella dose di pinkwashing targata Disney) anche se in realtà non introduce chissà quali novità.
L’ “omonormatività”, un fenomeno che esiste da molto prima del termine stesso, è considerato da molte persone qualcosa di distruttivo per il movimento dei diritti queer e per la comunità queer nel suo complesso.
“Omonormatività” è un termine che riguarda i problemi legati al privilegio che vediamo nella comunità queer di oggi, e che si intersecano con il privilegio delle persone “bianche”, con il capitalismo, il sessismo, la transmisoginia e il cisessismo, tutti elementi che finiscono per escludere molte persone dal movimento per uguali diritti e una maggiore libertà sessuale.
Dalla notte degli Oscar, dalla viva voce di Patricia Arquette, al discorso di Christine Lagarde, presidente dell’Fmi (fondo monetario internazionale), è tutto un gran chiedere parità di salario tra uomini e donne. Lagarde parla addirittura di un complotto contro le donne e io mi chiedo come sia possibile che proprio chi sta in cima a così grosse strutture del potere economico mondiale, al di là della presenza rosa che garantisce un inequivocabile pinkwashing a colorare l’Fmi di bellezza e meraviglia, pronunci parole così ipocrite nei confronti delle donne.
E’ il biocapitalismo che rende i corpi delle donne succubi di un progetto utile alla natalità delle nazioni, mentre i figli delle zone povere vengono tenuti lontani a far gli schiavi nei propri territori, per conto di organizzazioni e imprese dell’Occidente ricco, e sono i soldi l’unico interesse di chi esige che le donne restino in casa ad adempiere ai ruoli di cura, perché in ogni nazione che si rispetti, dove la scelta governativa è stata quella di smantellare lo stato sociale, in favore di privatizzazioni e speculazioni selvagge sui servizi, le donne sono, oggi più che mai, l’ammortizzatore sociale per eccellenza.
L’attrice Anna Foglietta interpreta il ruolo di Stella nella miniserie Ragion di Stato
di Irina
Probabilmente sono troppo giovane, troppo illusa, troppo idealista: me lo sono sentita dire spesso. Quando, crescendo e maturando, ho capito che le scelte che riguardavano la mia vita privata avevano necessariamente anche un risvolto politico e di lotta.
Non bastavano quelli della decrescita felice ad appioppare alle donne la cura di tutto il pianeta, ci si mette pure Expo Milano 2015 a stabilire che le donne hanno l’unico impegno, in vita, di cullare il pianeta e partecipare a tutta la faccenda in quanto noi Tonne saremmo specialiste in fatto di corretta nutrizione. Dunque se devi parlare di faccende culinarie parli con le femmine. Se parli di meccanica parli con gli uomini. A scambiare i nostri presunti saperi su questa competenza attribuita per sessismo malefico e assai diffuso ci sono niente meno che artiste, scrittrici, imprenditrici, e così via e non ho capito se parteciperanno per raccontare del momento clou della loro vita, ovvero quando hanno allattato il bebè, o se osserveranno semplicemente gli scambi di competenze tra uomini inserendo, ogni tanto, quel tocco “femminile” che a certuni piace tanto. Un tenda a fiori qui, un ricamo là. Voglio dire: se parteciperanno rappresentanti istituzionali e membri di governo… alle donne presenti spetterà far attaccare alla loro tetta perfino il presidente del consiglio o potranno proferire verbo ogni tanto?
“Soldati israeliani, i residenti di Or Yehuda sono con voi! Battete/Sfondate/Scopate le loro madri e poi tornate sani e salvi dalle vostre.”
Chiara mi segnala un paio di cose. Chiarendo che, a volte, accade anche il contrario, così la lascio raccontare. La prima:
“Parlando di maschilismo. Ho trovato oggi questo articolo [QUI la traduzione in italiano] dal titolo:”La guerra di Israele contro le donne di Gaza e il loro corpo”. Dall’articolo traggo una sintesi: Il consiglio cittadino di Or Yehuda, situato nella regione costiera di Israele, ha stampato e appeso un grosso banner per supportare i soldati israeliani. L’immagine include un linguaggio che suggerisce lo stupro delle donne palestinesi.
Il testo: “Soldati israeliani, i residenti di Or Yehuda sono con voi! “Kansu” tradotto in “pound” che, può voler dire o “picchiare” o, colloquialmente (pound her ass si trova spesso come titolo dei video porno.. violenti) scopare. La frase quindi continua: Battete/Sfondate/Scopate le loro madri e poi tornate sani e salvi dalle vostre, oppure, con il significato metaforico della frase “Kansu ba-ima shelahem” secondo l’articolo di “colpiteli con grande insensibilità”.
Dopo c’è un’altra immagine e l’annessa descrizione: si tratta di un’immagine che suggerisce lo stupro a Gaza diffusa sui social network e su WhasApp dagli israeliani. Nell’immagine, una donna con su scritto Gaza, indossa il classico vestito musulmano fino però alle cosce in posizione sensuale distesa. Il testo in ebraico dice: “Bibi, (sarebbe Netanyahu) FINISCI DENTRO QUESTA VOLTA. Firmato, cittadini a favore dell’invasione terrena”.
Sull’uso di quel micidiale dispositivo di potere e di assoggettamento che è il genere e sulla retorica “donneebambini” nella narrazione della Guerra al Terrore, la traduzione di un articolo di Maya Mikdashi pubblicato da Jadaliyya.
Maya Mikdashi ha conseguito un dottorato presso il Dipartimento di antropologia della Columbia University. E’ co-direttora del film documentario About Baghdad. Attualmente svolge ricerca e dirige il Centro Studi sul Medio Oriente al NYU Kevorkian Center. Mikdashi è inoltre co-fondatrice ed editora di Jadaliyya, rivista elettronica prodotta dall’Arab Studies Institute. Tutt* i collaboratori e le collaboratrici di Jadaliyya, accademici, giornalisti, attivisti e artisti dal e sul Medio Oriente, svolgono per la ezine attività volontaria e non retribuita.
Niente paura, non sei più sola, c’è il capitalismo umanizzato che ti vende – alla modica cifra di 25 euri al pezzo – un braccialetto salvavita. Lo indossi e sei bellerrima e felice. Sorridente, in estasi, manco t’avessero venduto una droga di quelle buone. Del lancio di questo nuovo prodotto “contro la violenza sulle donne” parla Enrica che ne svela legacci e retroscena. Alla faccenda pare sia legata quest’altra impresa con foto che tentano, non riuscendoci, di imitare i volti in fase di orgasmo dell’ultimo film di Lars Von Trier (erano meglio gli orgasmi). Retorica di destra, fedele all’ideologia vittimaria, che relega le donne alla posa di soggetti deboli che pur di stare al sicuro dovranno armarsi di pozioni e amuleti magici. Se mai la stessa impresa volesse “venderci” una spillina per salvarci dalla disoccupazione sarebbe il massimo: perché il “capitalismo dal volto umano” sfrutta l’ideologia vittimaria che è di per se’ una fabbrica di stereotipi e dispositivi di potere. Ti governo in nome del tuo essere vittima, io vendo in nome del tuo essere vittima, vendo gadgets, mi faccio prestare il volto di testimonial perché “donna” e “violenza sulle donne” sono un brand che vende perfettamente e il capitalismo investe su questi temi e non da ora.
Della maniera in cui in generale i media avevano trattato la neoministra Boschi avevo parlato qui. Quella ministra, come le altre sette, fu presentata come l’esempio di paritarismo a cui tendeva il governo Renzi. Diversamente io ritengo sia l’espressione di una evidente operazione mediatica di pinkwashing. Una operazione che, tra l’altro, come era prevedibile, avrebbe offerto elementi di distrazione varie dall’operato del governo ogni qual volta una di queste ministre sarebbe stata offesa. In generale poi il solo fatto di opporre una critica politica alla maniera in cui questa pretesa “parità” assume un rilievo che non riguarda certo i diritti delle singole e dei singoli fuori dal palazzo, costituirebbe di per se’ un atto eretico, di blasfemia politica. Chi crediamo di essere noi che ci ostiniamo a non essere così giulive per il fatto che ‘ste otto donne stanno al governo? Già. Chi siamo noi? Perché vedete, la previsione era giusta. Opporre una critica alle ministre e criticare lo stesso governo, donnificato, diventa sessismo. Non solo. In un manicheismo imbarazzante diventerebbe perfino misoginia.
Se è pinkwashing (e lo è) quello adoperato per legittimare un governo con otto donne d’appartenenza politica, che possono pure essere donne ma non per questo sono mie sorelle, quanto potrà esserlo quello di chi a parte il governo legittima in un colpo solo anche la NATO?
“Per la prima volta nella storia della Nato, sono 5 le #donne presenti come Ministre della #Difesa. Vengo da una lunga storia di militanza pacifista e la prima cosa che ho pensato è stata: è questa la #parità? #Uomini e #donne uguali nell’uso delle armi, nell’#esercito, nella #guerra? La mia risposta è no. Ed è no, non perché pensi che l’immaginario della donna debba essere associato ad un’idea di pace e che le donne siano immuni dalla #violenza. Ma semplicemente per un pensiero di ideali comuni e universali che troppo spesso ci dimentichiamo. Quindi, per favore, almeno in questo caso, evitiamo di dire: “W la parità tra i #sessi!“”
Le forti tinte rosa del governo Renzi ha acceso gli occhi di coloro che, la mattina del 22 febbraio 2014, si sono svegliate dicendosi buongiorno nel primo giorno in cui l’Italia, dalla nascita della repubblica, si sveglia con un governo paritario. L’assemblea nazionale di Se non ora quando saluta così una data storica, perché vede compiuto un primo passo verso una migliore democrazia. Peccato che all’assemblea nazionale di Se non ora quando, che pur dichiara di aver perseguito sin dalla sua nascita una migliore democrazia, sfugga completamente che la democrazia si fonda su consultazioni elettorali saltate a pie’ pari ancora una volta dal 2011. Del resto, lo ha dichiarato anche Re Giorgio: parlare di elezioni è una sciocchezza in una fase della storia italiana in cui i governi si formano attraverso staffette che determinano passaggi di potere al vertice giocati fra individui che non sono in relazione con mandato elettorale alcuno. Il governo Renzi segna certamente una data storica ed un passo importante, ma, al contrario di quello che ritengono le Se non ora quando, questo passo non è verso una democrazia migliore, ma verso una repubblica oligarchica che si regge su manovre di palazzo da cui è completamente esclusa la consultazione elettorale dei e delle cittadin@ gradualmente declassat@ a suddit@.