Piani di recupero. Più contatto con la pelle. Sposto il culo dal divano alla mia stanza per scrivere. Con l’aiuto del mio compagno proverò a mettere il naso fuori dalla porta. Forse per prendere il sole su uno scalino o riuscire a raggiungere il giardino a un paio di centinaia di metri di distanza. Lavare i capelli, quello mi viene difficile, perché se mi piego in avanti sulla doccia temo di scivolare e non saprei come risollevarmi. Mi farò aiutare? Tento di misurare i farmaci per capire quale sia il dosaggio giusto, incontrerò la psichiatra e proverò a ragionare di terapia di coppia con il mio compagno per capire dove stiamo andando e cosa è accaduto nel frattempo.
Nel frattempo sono stati archiviati vari lutti, persone che mancano. di cui non posso parlare, per non indispettire il resto della mia famiglia e perché non mi sento in diritto di farlo. Come se mi fosse negato accesso al dolore perché ho rifiutato la cura per loro negli ultimi tempi. Ciò che mi ha liberata mi ha anche imprigionata. Le famiglie sanno essere crudeli e disfunzionali ma da lì partiamo e lì torniamo. Sola al mondo, con un compagno come unica fonte di affetto. Via lui non so come farei. Il timore di perderlo, il terrore di passar sopra ai miei desideri per tenermelo.
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