Qui comincia una nuova vicenda, che ha per protagonista una donna che si è macchiata del peggior crimine nella storia ed è stata reclusa in una stanza dalla quale poteva a malapena guardare uno spicchio di mondo, una porzione di prato, qualche albero, automobili parcheggiate, finestre del condominio di fronte. Udiva però con chiarezza le voci dell’inquilina del piano di sopra e di quello dell’appartamento confinante. Voci alterate, persone che usavano toni litigiosi per un nonnulla. La donna che per battesimo fu denominata Strega, rifletteva spesso su come gli uomini adorassero concentrarsi sulle guerre in altri mondi ignorando la battaglia che si svolgeva ogni giorno dinanzi ai loro occhi. La concentrazione si sa, ha il difetto di volgersi dove fa meno male. Le guerre lontane impediscono di pensare alle responsabilità del qui e ora. Ci sono uomini che usano parole con toni piene di enfasi dedicate alle ferite altrui e nel frattempo svolgevano il proprio lavoro di parlamentari o giornalisti al soldo dei partiti di cui non davano notizia a nessuno. Strega dal suo angolo di reclusione non trovava notizie su quel che il governo stava facendo, su quali provvedimenti stava adottando. Quel che sapeva è che se voleva trarre la verità da fonti certe doveva imparare ad ascoltare il vento. Con esso giungevano lamenti di persone innamorate e deluse o povere in canna, prive di sostentamento, disinformate e senza cognizione dei diritti cui avrebbero dovuto godere. Il vento lasciava viaggiare voci di storie di donne stuprate, picchiate, malate, recluse, un po’ come lei, per aver disobbedito all’ordine dei padri fondatori. Così venivano definiti quelli che ritenevano di aver posto la prima pietra di questa o quella città. Ignorando il fatto che quei padri avevano avuto una madre che li aveva generati e nutriti finché i figli non le avevano rinnegate.
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