Antiautoritarismo, Antifascismo, Antisessismo, R-Esistenze

Quando l’infiltrato poliziotto compie uno stupro di Stato

Una delle forme di strategia della tensione riguardava, in epoche da guerra fredda o di preteso controllo da parte del governo di movimenti e sindacati, la tecnica di infiltrare poliziotti non già per spiare pericoli come il terrorismo o criminali di ogni tipo ma per provocare tensioni e smantellare movimenti di opposizione politica. I fatti più noti sono stati svelati quando – sui trent’anni di documentazione dell’epoca britannica in cui governava la Tatcher – fu tolto il segreto di Stato. Così fu possibile sapere che per favorire la deregulation e i licenziamenti in settori come quello delle miniere di carbone furono infiltrati poliziotti sotto falso nome che si insinuarono nelle vite di varie comunità interessate e in molti casi dopo aver completato il loro incarico lasciarono donne incinta o donne e figli totalmente ignari del fatto di aver avuto una relazione con un nemico di classe. In molti casi lo stupro era un metodo coordinato, come rivelano anche varie testate inglesi inclusa la BBC. Perciò alcune associazioni che si sono occupate di svelare questi metodi hanno raccolto le denunce di varie donne che hanno dichiarato di aver subito uno stupro di Stato.

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Se hai bevuto e non chiudi la porta non è stupro

Continuano a chiedere alle donne di denunciare ma il problema è evidente. Le donne non denunciano perché sentenze come questa dicono che se subisci uno stupro è colpa tua. Se hai usato alcol non sei in grado di dare consenso e se tieni la porta aperta non hai invitato nessuno ad entrare e a stuprarti. Dovrebbe essere chiaro a tutti eppure c’è chi ancora immagina che ci siano donne che lancino segnali ambigui senza tenere conto del fatto che se diamo un consenso diciamo di sì e altrimenti è no.

Non chiedeteci di denunciare. Non chiedeteci di parlare. Non diteci che è colpa nostra. La responsabilità è di chi continua ad assolvere la cultura dello stupro e la diffonde attraverso sentenze e titoli scandalistici sui quotidiani.

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Rivittimizzare una vittima di stupro in un processo per stupro

Finalmente gli stupratori sono stati condannati e ci sono voluti anni e una serie infinita di umiliazioni per la vittima (definita nella prima sentenza troppo mascolina, quindi non abbastanza attraente da meritare lo stupro) prima che si arrivasse ad una sentenza che non spalleggiasse la cultura dello stupro e non divulgasse inutili e sessisti stereotipi sull’estetica preferita dagli stupratori. Come se lo stupratore fosse un uomo che cercasse donne di bell’aspetto e dunque meritevoli di stupro. Come se fosse necessario ribadire che quando uno stupro avviene è sempre colpa della vittima, perché troppo bella, desiderabile, provocante e via di questo passo.

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Stupro virtuale: come punire gli stupratori?

Una ricercatrice denuncia di aver subito uno stupro nella piattaforma virtuale di MetaVerso, Horizon World di Zuckerberg e molte altre hanno denunciato di aver subito perfino stupri di gruppo. Raccontano dell’esistenza di gruppi di sessisti e misogini che non fanno che praticare cyberbullismo a sfondo sessuale e si chiedono se ci sia un limite ai comportamenti negativi che gli uomini possono mostrare in quei luoghi. Il mondo virtuale, come ho sempre scritto, non è che la replica del mondo reale e ciò che vale nel nostro mondo dovrebbe valere anche in quell’altro. Non dovrebbe essere consentito di praticare fantasie di stupro in un luogo che appartiene alla stessa azienda che poi ci rompe le ovaie perché su facebook parliamo in modo esplicito di violenza sessuale giudicando la faccenda con un unico termine: “porno”.

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Colpevolizzazione della vittima

La colpevolizzazione della vittima si realizza nel momento in cui non si riconosce innanzitutto che la vittima sia tale e si dice invece che si è posta nelle condizioni di diventare oggetto di aggressione di qualunque tipo inclusa quella sessuale. La colpevolizzazione può insorgere come elemento derivante da fenomeni razzisti, omofobi e sessisti. Si parla di victim blaming quando per esempio una donna stuprata viene giudicata per il suo comportamento, per il suo abbigliamento, per il trucco, i tatuaggi, e qualunque altro elemento che la pone come individuo fuori norma. La colpevolizzazione interviene anche quando una vittima di violenza sessuale denuncia di aver subito abuso mentre lei era in condizioni di incoscienza, ubriaca, drogata. Forme di colpevolizzazione comprendono anche una sorta di interrogatorio della vittima che secondo l’avvocato difensore dell’imputato presunto stupratore non avrebbe reagito abbastanza o avrebbe potuto porre fine all’aggressione. Quando lei denuncia uno stupro qualcuno può dire che i suoi jeans erano troppo stretti perché qualcun altro potesse toglierglieli.

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Quel che succede dopo lo stupro: narrato da una vittima

Lo stupro non è sesso, non c’entra col piacere. Non riguarda lo straniero. Non riguarda nessuno stereotipo che viene diffuso solo per proteggere la maggior parte degli uomini educati attraverso la cultura dello stupro. Dopo che fui stuprata, cominciai a fare le mie indagini, raccolsi articoli di cronaca, lessi materiale inerente all’argomento, ascoltai conferenze in cui se ne parlava, cercai di seguire il più possibile processi in cui gli stupratori venivano accusati e condannati. La cosa che più di tutte mi colpiva era lo sguardo degli stupratori, diverso in qualche modo, indifferente, non metteva in mostra nessun segno di empatia. La vittima invece stava seduta in prima fila, colma di vergogna, protetta dagli abbracci dei parenti o delle amiche, mentre i parenti del colpevole la insultavano e la chiamavano puttana. Il fatto che persino in quei processi una vittima potesse essere aggredita in quel modo mi fece pensare. Quegli uomini e le loro famiglie non capivano, non erano in grado, pensavano che lei, la vittima, fosse la vera colpevole e non cercasse giustizia ma vendetta per ragioni insite in chissà quale trauma precedente. Come se la vittima nell’accusare lo stupratore volesse in qualche modo vendicarsi di tutti gli uomini. Ed è una cosa che è stata detta anche a me. Mentre narravo del mio stupro le amiche mi dicevano che in fondo mi era andata bene. Non era stato poi così violento. Era stato quasi dolce. Si può definire uno stupro dolce? Mi dicevano che il fatto che io non avessi reagito poteva essere interpretato come un consenso. Mi dicevano anche che sembravo arrabbiata nei confronti di tutti gli uomini. E questa tiritera ho dovuto ascoltarla in ogni situazione in cui si parlava di stupratori. 

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In Italia lo stealthing non è reato: serve una legge!

Tra le altre storie pubblicate sulla pagina facebook di Abbatto i Muri per la Campagna #TuttaColpaMia oggi ce n’è stata una che ha suscitato abbastanza clamore ed è questa:

Sostanzialmente c’è un tale che si è tolto il preservativo all’insaputa della ragazza che quando se ne è accorta ha cacciato via a pedate il tizio e ha dovuto affrontare anche l’ostruzionismo del farmacista obiettore di coscienza che le ha dato la pillola del giorno dopo solo perché lei ha minacciato di denunciarlo. Togliere il preservativo senza il consenso della ragazza in altri Stati si chiama “stealthing” ed è un reato pari allo stupro. In qualche caso si parla di sanzione in altri di reato penale vero e proprio.

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Il maschilismo dei fluidi corporei

Il sudore di un uomo è segno di grande virilità, perfino il suo moccio ha un alto significato intrinseco nella cultura popolare. Ma quel che più di tutto occupa l’alto grado di valore è lo spermatozoo, singolo o in comitiva va bene lo stesso, perché l’uomo che tende a offuscare il talento intellettivo di una donna farebbe di tutto per vendertelo. Lo commercia per estorcere consenso, lo brandisce tra le dita unte, al bisogno, per riaffermarne le proprietà artistiche. Con esso puoi dipingerci un murales alto tre metri per tre, senza dubbio. Deve esserci una enorme agenzia di marketing che ha pensato e ripensato alla maniera in cui si può convincere una donna a ingoiarlo. Migliora la pelle, ammorbidisce il palato, scaccia i batteri dal tratto esofageo? Non ci è dato saperlo. Tutto ciò che sappiamo è che tanta scienza sconsiglia l’introduzione del medesimo in luoghi altrimenti destinati, salvo la vagina. Ogni obiettore di coscienza che si rispetti dovrà per forza insegnare ai propri figli e ai figli dei figli che quel delicato e proficuo seme non può essere sprecato in tale modo. La direzione è quella, mira lì, spara veloce e avrai il concepimento assicurato. Non dovrebbe essere così?

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Sono stata violentata. La lotta di una è la lotta di tutte

Lei scrive:

Cara eretica e car* tutt*,
vorrei raccontare la mia storia in forma anonima. È la prima volta che lo faccio. Prima dell’altro giorno non l’avevo mai raccontata neanche a me stessa. Grazie all’intervento della mia terapeuta sono riuscita a riconoscere il mio trauma e sto iniziando a processarlo.
Sono passati dieci anni. Avevo 14 anni. Con alcun* amic* avevamo deciso di festeggiare il capodanno a casa, con tanto alcool e poca pochissima conoscenza dei nostri corpi, dei nostri limiti. Abbiamo cominciato a bere da subito ed alla mezzanotte ero già ubriaca. Abbiamo passato la notte nella stessa casa e abbiamo continuato a bere.

Molt* se ne erano andat*, ero rimasta tra intim*: pochi maschi e poche femmine, tutt* coetane*. Continuammo a bere. Da un certo istante in poi andai in totale blackout. La mattina dopo mi svegliai con una bacinella piena di vomito accanto, la mia migliore amica ai piedi. Sveglia anche lei mi raccontò della sera prima, erano tutt* così divertit* da quello che era successo: tre amici avevano deciso di approfittare del mio stato di totale incoscienza (seppur a tratti fossi sveglia e urlante nonsense a quanto pare) per giocare con me come fossi la bambola dei loro sogni. Il porno, d’altronde, gliel’aveva promessa.

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La mia storia di violenze subite

Lei scrive:

Ciao, ho 22 anni e sono felice. La mia famiglia è fiera di me e dei traguardi che ho raggiunto, il mio compagno mi ama e mi sostiene, il mio bambino è sano e felice.. mi ritengo fortunata.
Ad oggi mi sento così, ma tempo fa era diverso.

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Anch’io sono stata violentata da un “amico”

Lei scrive:

“Ciao Eretica,
ho letto la storia della ragazza che racconta dello stupro subito da un suo amico, nonostante il suo iniziale rifiuto. Anche a me è successa una cosa simile diversi anni fa e volevo condividere con voi la mia storia.

Avevo 18 anni, e all’epoca ero fidanzata con una ragazza da qualche anno (sono omosessuale e quella era la mia prima relazione in assoluto). Quello che credevo essere un caro amico mio e della mia ragazza mi aveva invitata a passare il Capodanno con lui e alcuni suoi amici in un albergo di proprietà di suo zio: dato che la mia ragazza doveva andare a trovare dei parenti, e pur di non passare Capodanno coi miei genitori avrei fatto qualsiasi cosa, ho accettato.

Lui aveva fatto qualche apprezzamento nei miei confronti in precedenza, ma mi pareva chiaro che io non fossi interessata. Al mio arrivo nella località di vacanza, mi racconta che tutti i suoi amici avevano disdetto all’ultimo, saremmo stati solo noi due e la sua famiglia, e per giunta io dovevo stare in camera con lui; se mi fosse successo adesso mi sarei arrabbiata, ma all’epoca ero ingenua, e ho creduto davvero che non l’avesse fatto apposta. In ogni caso non volevo sembrare scortese per cui non ho detto nulla.

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Mi ha violentata, io non ho fatto nulla e mi sento in colpa

Lei scrive:

Mi sono trovata in una situazione molto difficile recentemente. Ho dovuto far passare un po’ di tempo per poterne parlare, non dico apertamente, ma almeno con qualche amico senza sentire che mi si spezzasse qualcosa dentro. Vorrei spiegarvi cos’è successo, vorrei che sappiate: se mai vi è successa una cosa del genere o minimamente simile, non siete sole.

Lui mi ha accompagnata a casa, ed essendo un amico, non ho neanche messo in dubbio le sue intenzioni: “Figurati se si comporta male, lo conosciamo tutti! Impossibile che ci provi, siamo nella stessa compagnia”.
 All’arrivo mi chiede se può salire, giusto per un drink e aggiornarci sul più e il meno. Io completamente ingenua e con la guardia abbassata accetto entusiasta, dopotutto mi sta simpatico.

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Roll Red Roll: cultura dello stupro e victim blaming sui social. Come la città protegge gli stupratori!

Appena visto su Netflix questo documentario, molto ben fatto, che ricostruisce i fatti avvenuti nel 2012 a Steubenville, Ohio. Lo scenario, che abbiamo più volte, purtroppo, riscontrato in casi italici che conosciamo bene, è sempre lo stesso. Una ragazza si fida di uno del gruppo, pensa che lei gli piaccia, lo segue, beve, viene ridotta all’incoscienza senza che nessuno si chieda se non sia il momento di assisterla e accompagnarla a casa, viene portata in un luogo in cui è possibile darsi alla pazza gioia e poi viene stuprata da un branco di esecutori, di reporter che fanno foto per documentare l’evento e videomaker che si assicurino che ci sia un video che testimoni la faccenda.

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