
Una delle storie che viene citata sul libro Mostruoso Femminile è quella di Mercy Brown, ragazza morta in New England, a Exeter nel Rhode Island. L’ultima di una serie di vittime morte nella sua famiglia per tubercolosi fu ritenuta responsabile del contagio del fratello che per esorcizzare il male bevve una pozione fatta di organi della sorella. Mercy fu trafitta, da ciò che si narra, con un paletto e poi ridotta in cenere. L’ignoranza in materia di contagio sulla consunzione (ingerire organi di una malata non era il massimo per evitare la tubercolosi) e quella sui gradi di decomposizione di un cadavere fece ritenere che i gas esalati dal corpo fossero giudicati un “gemito” e che la crescita di capelli e unghie (al ritrarsi della carne continuano a crescere dopo la morte per un breve periodo) rappresentassero la prova che la ragazza fosse in realtà una non-morta, una vampira contagiosa e dispettosa che dopo essere crepata per malattia doveva perfino essere impalata e punita al suono di molti Amen.
Ci sono vari casi della cronaca ottocentesca tardo europea che sono contrassegnati da simili pregiudizi, alcuni risalenti ad epoche lontane e territori orientali in cui si davano i morti in sacrificio a vari Dei per evitare che la loro sfortuna si abbattesse sui parenti in vita. Nelle nostre zone puritane invece capitava di seppellire vive alcune persone in coma. Cosa che creò l’abitudine di collegare un campanellino alla bara, nel caso il morto volesse segnalare la propria vitalità. Per i vampiri invece, responsabili di tutti i mali del mondo, si preferiva fissarli al terreno con il paletto, per evitare che andassero in giro indisturbati, poi si poneva la lapide in fondo per bloccare corpo e testa della persona deceduta.
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