Questa è la storia di una donna che amava molto quello che faceva, aveva degli ideali e voleva perseguirli e fare qualcosa di buono per progettare il futuro collettivo. Spinta da questi ideali si unì ad un gruppo politico che sembrava avere tutti i presupposti per favorirne la realizzazione. Un gruppo che si definiva di sinistra, con l’ausilio di ex cattodemocristiani poi diventati molto altro e persi nella dimensione dei cambiamenti di simboli e bandiere. La sinistra non era un terreno meno misogino della destra e quando si impose di inserire nelle liste nomi di donne queste erano favorite solo se economicamente indipendenti, ricche, o se mogli di funzionari di partito. Le altre diventavano gregarie, alle quali veniva assegnato il compito di curare una sezione donne che generalmente significava cura, dedizione familiare, maternità.
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Il Bigottismo sui corpi delle donne
L*i scrive:
Il post è lungo se vi triggera nel testo vengono descritti molestie e violenza andate pure oltre. I fatti sono realmente accaduti.
Per 13 anni ho lavorato in una azienda metalmeccanica con 800 dipendenti ero arrivato a gestire due linee.
Il mio nuovo reparto era un inferno zuppo di machismo da fare schifo e le due preposte alla gestione delle linee di montaggio vessate da una parte dai maschi che facevano la performance che per 8 ore fracassavano le ovaie con frasi sessiste , misogine sin dalle 7 del mattino fino alle 16:30 e dall’altra lui soprannominato la merda umana, supervisore dell’intero reparto, un essere viscido, ripugnante molestatore e stalker la sua presenza era vista con terrore da tutt3.
Il compagnone dei cari capetti e maschietti lavoratori che vedevano in lui er playboy de noiartri.
Continua a leggere “Il Bigottismo sui corpi delle donne”Ragazze siate libere: non è mai colpa della minigonna!
Ma cosa devono leggere i miei poveri occhi. Con tutta la mia solidarietà alle studentesse in minigonna.
I pregiudizi sono duri a morire così come la cultura sessista che colpevolizza le donne per l’atteggiamento molesto di maschilisti stupratori. Il fatto è che siamo abituate a questo genere di victim blaming. E’ sempre colpa nostra. Siamo noi le tentatrici, quelle che si portano addosso il peccato originale. E se pensavate che la questione fosse chiusa in realtà i fatti dimostrano che non è così. Se nelle scuole, luogo in cui si dovrebbe insegnare una cultura diversa e antisessista, si producono gli stessi stereotipi è da lì che dovrà iniziare la nostra lotta.
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Il diritto di camminare
Maria scrive:
Sono con una mia amica. Stiamo passeggiando, chiacchieriamo instancabilmente, ci interrompiamo di continuo, talmente tante sono le cose che vogliamo dirci. Io sono di buon umore, ho appena sostenuto il mio penultimo esame della magistrale, ho deciso di prendermi una serata di pausa dallo studio, andare a bere qualcosa, divertirmi, cercare di svagarmi per allontanare le preoccupazioni di questo momento storico e di questa strana fase della mia vita, in cui mi preparo ad affrontare importanti cambiamenti. Ad un tratto una voce emerge da un gruppo di uomini e mi urla “che sei bella, ci possiamo conoscere?”. “Fottiti, testa di cazzo”, gli urlo. Ne ho subite moltissime, di molestie di questo tipo, nella mia vita, come ciascuna delle mie sorelle. E ciascuna di noi ha sviluppato i propri meccanismi di difesa. Il mio è quello dell’aggressione verbale. “Perché te la prendi così? Ma sei pazza? Ti volevo fare un complimento”.
La mia storia di violenze subite
Lei scrive:
Ciao, ho 22 anni e sono felice. La mia famiglia è fiera di me e dei traguardi che ho raggiunto, il mio compagno mi ama e mi sostiene, il mio bambino è sano e felice.. mi ritengo fortunata.
Ad oggi mi sento così, ma tempo fa era diverso.
MalaRazza e il politico molesto
Ho lavorato per qualche anno come impiegata in un gruppo politico. C’era un deputato, tutto slogan cristiani al mattino e famiglia ore pasti, che cominciò a strofinarsi su di me quasi per caso. Non avevo capito ma, poi, un giorno, mi aspettò nell’atrio, dove stava la fotocopiatrice, e approfittando del fatto che tutti fossero in pausa pranzo si avvicinò a me, mi avvinghiò e mi costrinse a sentire da vicino il suo alito di sessantenne mentre mi dava un bacio sulla fronte. Era eccitato, gioioso, io rimasi paralizzata. Non dissi nulla. Eppure ero stata in grado di difendermi in passato ma erano miei pari e non miei datori di lavoro. L’atteggiamento ambiguo e viscido di un datore di lavoro è quello che sicuramente spinge una donna molestata ad avere il terrore di denunciare. Se lo fai ti licenziano. Se non lo fai vuol dire che ci stai. Se lo fai gli altri possono dire che te la sei cercata, vestita com’eri. Se non lo fai significa che sei disponibile.
Io, molestata e denunciata per aggressione
Lei scrive:
Per salvarmi la vita mi sono beccata una denuncia per aggressione. Perché la vita va così. Lui mi umiliava, mi sfotteva davanti ai colleghi, mi molestava e io per difendermi gli ho lanciato una bottiglietta di plastica piena d’acqua addosso. Uno scatto di ira che mise fine alla mia sensazione di impotenza, perché non ne potevo più di subire il suo ricatto. Se parli ti licenzio, se dici qualcosa ti tolgo il posto di lavoro, se ti lamenti dico a tutti che vieni a letto con me. Ma io non c’ero mai andata a letto e mi facevano schifo le sue mani addosso ogni volta che ne aveva l’occasione. Restavo immobile, non riuscivo a reagire e questo mi faceva sentire sporca e in colpa, come se in fondo fossi io a volerlo.
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Non è la prima volta che vediamo la disgustosa misoginia di Carl Benjamin – vi ricordate di Gamergate?
di Keza MacDonald– giovedì 9 maggio 2019, Guardian
Articolo originale qui: https://www.theguardian.com/commentisfree/2019/may/09/gamergate-carl-benjamin-ukip-mep
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Traduzione di Marica del gruppo “Abbatto i Muri”.
Questa traduzione è stata fatta in collaborazione con “Non è l’alt right (nerd, gioco di ruolo e dintorni)”, uno spazio femminista inclusivo, pro-lgbtq+, trans-positive, antifascista e antirazzista in cui parlare di videogiochi, gioco di ruolo, gioco da tavolo, serie tv, fumetti, anime e dinamiche da fandom in generale in modo più approfondito e magari provare anche a fare insieme un lavoro di costruzione di un immaginario radicale e rivoluzionario intorno a questi temi.
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Ti ribelli alle molestie? L’uomo dice “Te meno” e una donna ti schiaffeggia!
Lei scrive:
Cara Eretica,
Ti scrivo a caldo, appena rientrata a casa dopo aver subito in quanto donna l’ennesimo episodio di violenza maschile quotidiana.
Sono una ragazza di 26 anni e per pagare le bollette faccio la dogsitter nel mio quartiere. Ogni giorno, per due o più volte, per prendere e riportare i/le can* passo in una strada dove trovi le poste, un autolavaggio, un ortofrutta, un tabaccaio, un macellaio; esattamente davanti le poste ci sono due panchine dove per tutta la mattina ci sono un gruppo di signore anziane che chiacchierano e un uomo di 52 anni (come mi ha specificato oggi) che adora fare commenti su tutto, compresa me. Da un anno mi trovo così a convivere con questa situazione quotidianamente: ci sono giorni in cui i commenti non vengono fatti, ma ce ne sono tanti altri invece in cui alle spalle sento riecheggiare frasi come “Eccola, tie’! Mamma mia che je farei..”, “Guardala, guardala!” – sguardo complice con l’amico, fino al “Madonna.. se te pio non lo sai che te farei! Te sfonno tutta, tutta!!”.
Per mia decisione ho scelto di ignorare tutti questi commenti, cercando di farmeli scivolare addosso perché non “ne valeva la pena/se dai retta a uno poi devi rispondere a tutti/etc.”. Un comportamento che mi sono consapevolmente imposta, reprimendo la persona forte e decisa che sono, per una strana (e socialmente definita) paura del giudizio negativo che una risposta diretta e arrabbiata avrebbe potuto suscitare tra coloro che vi avrebbero assistito.
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Pazienti pervertiti
Lei scrive:
Ciao Eretic* e ciao a tutti.
Mi chiamo Marta, ho 30 anni e sono un medico. Periodicamente mi reco nelle case dei pazienti per visite e prelievi e oggi è arrivata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Premetto che sono una persona poco paziente e parecchio istintiva (tanto che rispondo sempre a tono a ogni commento poco carino proveniente dal genere maschile) ma, dato il ruolo che ricopro, devo ovviamente mantenere un certo decoro quando questi commenti arrivano dai pazienti. In particolare uno (73 anni, con figli e nipoti di tutte le età) fin dalla prima volta che mi ha vista ha iniziato a fare commenti.
“Ti sborro in faccia”, una storia vera
di Inchiostro
Eravamo, io e Lisa, giunti intorno a quell’ora in cui la gente torna verso casa, quando non è più notte, ma ancora non c’è abbastanza luce da poter dire che è mattina.
Lei aveva bisogno impellente di trovare un bagno, io ponderavo l’idea di comprare un’altra birra. Era già da un po’ che camminavamo ed eravamo arrivati in Piazza Duomo, quando Lisa ha visto questo McDonald’s in procinto di chiudere e ha detto “ci provo, magari mi fanno entrare per andare in bagno”.
Perché una ragazza che fa sesso deve subire la violenza dei bulli?
Lei scrive un messaggio che è anche una richiesta di aiuto. Come spesso accade il fatto che abbia una vita sessuale diventa motivo di dileggio, persecuzione, molestia, di cyberbullismo. E se ancora oggi una ragazza non può avere una vita sessuale perché la mentalità è sessista e giudica le donne delle poco di buono se a loro piace fare sesso significa che c’è qualcosa che non va. Perché degli stronzetti pensano di poter infierire così su una ragazza? Se non sapessero che lo stigma nei confronti di una adolescente che fa sesso e ne parla è così forte evidentemente non avrebbero niente a cui appigliarsi. Invece sono intrisi di mentalità maschilista fino al midollo, per cui se loro fanno sesso è un motivo di vanto e se lo fa una ragazza è una zoccola. Manca educazione sessuale ma anche educazione antisessista nelle famiglie a partire dai genitori che dovrebbero smettere di trasmettere modelli così antiquati ai figli. Continua a leggere “Perché una ragazza che fa sesso deve subire la violenza dei bulli?”
Sulle donne che molestano il personal trainer
Lei scrive:
“Ciao amiche di abbatto i muri, (…) mi permetto di scrivervi (…) un pochino compiaciuta perchè vedo che state trattando già l’argomento delle molestie al femminile. Ecco la mia riflessione, vi abbraccio forte :
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Mio nonno abusò di me: devo o non devo parlarne con mia figlia?
Lei scrive:
L’arte di non vedere e di tacere, alcune donne, devono averla imparata da piccole. Sono Sabina, abusata dal nonno. Ho informato mia madre e lei informò mia nonna. Nessuno volle credermi. Cose da ragazzina. C’era troppo in ballo. Mio nonno ci aiutava economicamente e per mia madre fu più comodo chiudere occhi e orecchie e passare oltre. Però in realtà fecero in modo da non lasciarmi mai più sola con lui. Mia nonna era quella più attenta e mi sono sempre chiesta se lo stesso destino fosse toccato a mia madre. Non me lo disse mai, neppure quando fui più grande. Mio nonno, buon’anima, morì quando io fui adolescente. Non piansi la sua morte e decisi comunque che non ne avrei più parlato. Mamma e nonna avevano fatto di tutto per confondermi le idee. Sicuramente ero io ad aver capito male. Nonno era una gran brava persona. Non era possibile che lui fosse responsabile di così cattive azioni.
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Colonia mon amour
da AnimAliena:
Non ricordo esattamente quanti anni avessi: credo tredici, mese più, mese meno.
Lui era un compagno di scuola, non mi torna in mente il suo nome, solo vagamente il suo viso: ma aveva gli occhi di un blu quasi elettrico, e fama di essere un bullo, cosa che lo rendeva spaventoso ma al tempo stesso affascinante. Io stavo entrando nell’adolescenza, il seno mi era cresciuto nel giro di qualche mese, e questo mi rendeva felice, confusa, stranita. Ridevo di non riuscire più, guardando verso il basso, a vedermi i piedi. Mi sognavo già donna con la d maiuscola, anche se la metamorfosi era appena cominciata, ed ero più che altro una bambina che anelava disperatamente ad un reggiseno.