Antisessismo, Comunicazione, Critica femminista, Recensioni

L’invenzione di Dracula e altri miti misogini e sessisti

Una delle storie che viene citata sul libro Mostruoso Femminile è quella di Mercy Brown, ragazza morta in New England, a Exeter nel Rhode Island. L’ultima di una serie di vittime morte nella sua famiglia per tubercolosi fu ritenuta responsabile del contagio del fratello che per esorcizzare il male bevve una pozione fatta di organi della sorella. Mercy fu trafitta, da ciò che si narra, con un paletto e poi ridotta in cenere. L’ignoranza in materia di contagio sulla consunzione (ingerire organi di una malata non era il massimo per evitare la tubercolosi) e quella sui gradi di decomposizione di un cadavere fece ritenere che i gas esalati dal corpo fossero giudicati un “gemito” e che la crescita di capelli e unghie (al ritrarsi della carne continuano a crescere dopo la morte per un breve periodo) rappresentassero la prova che la ragazza fosse in realtà una non-morta, una vampira contagiosa e dispettosa che dopo essere crepata per malattia doveva perfino essere impalata e punita al suono di molti Amen.

Ci sono vari casi della cronaca ottocentesca tardo europea che sono contrassegnati da simili pregiudizi, alcuni risalenti ad epoche lontane e territori orientali in cui si davano i morti in sacrificio a vari Dei per evitare che la loro sfortuna si abbattesse sui parenti in vita. Nelle nostre zone puritane invece capitava di seppellire vive alcune persone in coma. Cosa che creò l’abitudine di collegare un campanellino alla bara, nel caso il morto volesse segnalare la propria vitalità. Per i vampiri invece, responsabili di tutti i mali del mondo, si preferiva fissarli al terreno con il paletto, per evitare che andassero in giro indisturbati, poi si poneva la lapide in fondo per bloccare corpo e testa della persona deceduta.

Il pregiudizio sul vampirismo, come per ogni altra mostruosità, riguardò spesso le donne. Non potendo più crocifiggerle, perseguitarle, torturarle e bruciarle, finita la felice era inquisitoria che rese i sadici patriarchi sessuofobici appagati e legittimati per le loro azioni misogine, si pensò bene di trovare altri modi per screditare le donne descrivendole se non come facili da manipolare e possedere per il diavolo (l’esorcista, il film, apre un altro capitolo misogino sulla questione) almeno involontariamente possedute e convertite da un vampiro. Se la leggenda del vampirismo fu disprezzata dagli illuministi divenne invece oggetto di interesse per scrittori gotici di quart’ordine come Bram Stoker. Non meglio fece Francis Ford Coppola nel film al libro dedicato, accentuando l’erotismo sfrenato delle vampirizzate e inventando un legame tra dracula e la angelica figura di Mina. Il libro viene scritto a fine ottocento, pochi anni dopo la vicenda di Mercy Brown, e prende in prestito una figura storica che in realtà aveva poco a che fare con il vampirismo e molto di più con la chiesa. Vlad Tepes Dracul terzo, dell’ordine del Dragone (dracul vuol dire questo), ordine insignito di onorificenze per incarichi nelle crociate contro gli ottomani, era famoso per non scendere a patti con nobili o feudatari. Governò la Valacchia, inizialmente con l’aiuto degli ottomani e poi cercando di guadagnare indipendenza per non pagare tasse che gli venivano richieste. Qualcuno scrive che fosse molto amato dal popolo e altri lo descrivono come un impalatore crudele e sanguinario esistito a fine 1400. Impalare non era diverso da crocifiggere. Diciamo che tra i romani e altri facevano a gara a chi esponeva i cadaveri di persone giudicate criminali o traditori nel modo più creativo.

Ma accettiamo come verosimile che lui fosse un folle repellente e sanguinario e che tentò di scardinare un equilibrio che lo voleva accenchiato dalla cattolica, papale, Ungheria e dall’impero ottomano. Non vi riuscì e le cronache lo descrivono come un uomo astuto che riusciva a sconfiggere intere truppe con pochi uomini, un abile guerriero e uno specialista del fare terra bruciata all’arrivo degli invasori (bruciava provviste, campi e avvelenava pozzi e corsi d’acqua per rendere difficile l’invasione). La sua crudeltà fu usata volentieri dal papa dell’epoca sebbene lui fosse malvisto dai nobili e dai mercanti arricchiti che poi aiutarono la sua detronizzazione e posero sul trono il fratello minore fedele all’impero ottomano. Contro di lui furono inviati eserciti, messaggeri, la prima moglie fu oggetto di inganno, le fu notificata la falsa notizia della morte del marito e lei si suicidò lanciandosi sul fiume.

Stoker prese un po’ di cavolate e miti e mise insieme un romanzo epistolare e diaristico i cui toni paternalisti e patriarcali, per chi ha la pazienza di leggerlo, fanno torcere le budella. L’irlandese puritano colmò il romanzo di pruriti morbosamente sessuofobici e sessisti. Quale donna poteva abbandonarsi al sesso con piacere se non quella posseduta da una specie di demonio? Quale uomo non osava esimersi dal ruolo di protettore della purezza e dell’onore della angelica donna posseduta?

Così il romanzo si dipana in una lotta tra patriarchi: il vampiro lascivo che voleva sfruttare le donne e nutrirsi del loro sangue e i coraggiosi cavalieri che si precipitano prima nella decapitazione e nell’impalamento dell’ormai perduta Lucy e poi nella rituale operazione salvifica di Mina con crocifissi, ostie consacrate e acqua santa. In tutto il romanzo si procede per psicologia inversa. Non più streghe e puttane di satana per scelta, e dunque meritevoli di essere bruciate, ma possedute malgrado la propria indole pura e impalate e decapitate per la salvezza della loro anima. Siamo nel tardo ottocento, quando la psicoanalisi freudiana denominò faccende sessuofobiche attribuendo complessi incestuosi con comprensione paternalista per le donne affette da chissà quali disturbi.

Se non puoi dominare le donne terrorizzandole, criminalizzandole, bruciandole, puoi facilmente farlo affermando che pur se innocenti saranno comunque preda di cattivi e feroci criminali o vampiri. Se non puoi bruciare una donna puoi sempre controllarne la sessualità e la riproduttività dicendo che le proteggi. L’epoca puritana e vittoriana – con l’invenzione di Jack lo squartatore e l’insulto misogino per tutte le sue vittime – è anche quella di manicomi dalla lobotomia facile per le donne e di sante monache alle quali veniva affidata la femmina perduta. Facile che in un contesto del genere l’immaginario collettivo stimolato dalle scriteriate esibizioni copia e incolla di Stoker, attingendo a miti, leggende, figure storiche, fatti di cronaca, fosse perfettamente preparato ad accoglierle e farle proprie.

Come e perché la figura del vampiro ha resistito nella letteratura gotica che va dal romanzo di Stoker ai vampiretti da film hollywoodiani resta un mistero. D’altronde alcune donne pensano di meritare il vampiro così come un Van Helsing a proteggerle o un dominatore sadico da cinquanta sfumature arcobaleno e l’uomo che ne rispetta i tempi e giura sull’anello della verginità di non toccarle fino al matrimonio.

Volete un romanzo fantastico/gotico degno di questo nome? Leggete Mary Shelley e il suo Frankenstein. Un libro attuale, meraviglioso, in cui con destrezza si mette in discussione la decenza dei “creatori” e si umanizza quello che si ritiene mostro. Il vero mostro è colui che crea e distrugge, senza curarsi dei sentimenti, delle emozioni, del bene degli esseri che non definisce neanche umani. Il mostro è quello che vanta scoperte magistrali e poi schiavizza qualcuno per l’aspetto, il colore della pelle, perché lo ritiene inferiore. Il vero mostro è colui che ritiene di possedere – unico- l’anima perché dalla cattedra può esercitare il diritto a sperimentare sui corpi altrui. Nella sua semplicità è un’opera magnifica che per fortuna ha colpito l’immaginario tanto quanto Dracula. Attendo il recupero delle donne vampirizzate affidando loro autodeterminazione. E se non vogliono un succhiasangue intorno potranno difendersi da sole.

Un abbraccio

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