Pubblicazioni, Scrittura

La vita delle altre – un libro a cui tengo

Vi anticipo qui qualche pagina, e spero lo amerete quanto lo amo io.

Prologo

Quando ero piccola osavo chiedermi perché io ero solo io e non fossi qualcun’altra. Avrei voluto indossare i corpi altrui per saggiarne le vite, i privilegi, talvolta i dolori. Non si trattava della ricerca di una fuga, perché sapevo di dover fare i conti con me stessa, ma la vita altrui mi incuriosiva, per il bagaglio di conoscenze che possedeva, per l’esperienza da devolvere, per esercitare una mimesi umana che mi lasciasse informe, senza genere, obblighi e ruoli sociali. Così cominciai a pensare ad un modo per proiettare la mia coscienza nei corpi delle altre. Infine vi riuscii, non senza sofferenza e sacrificio, perché ogni viaggio aveva effetti collaterali. Riportavo indietro pensieri non miei, abitudini mai avute prima, con le conoscenze delle altre raccattavo anche la loro immondizia, i segreti celati, le violenze subite. Pensavo che le vite altrui fossero migliori della mia. Mi resi conto che non era affatto così. Per arrivare a questa conclusione però dovetti osare molto e sacrificare parte di me stessa. L’ultimo viaggio mi impediva di tornare indietro, perciò dovetti uccidere colei che mi tratteneva. L’esercizio di dominazione tra una coscienza e un’altra poteva avvenire in modo involontario. In quel caso lei voleva intrappolarmi, dunque mi liberai. 

La vita delle altre è disponibile ora in ebook. Potete trovarla Qui.

Disponibile anche in cartaceo QUI

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Le Pazze, R-Esistenze, Scrittura

Le Pazze – ottavo capitolo

Scrittura per la libertà. Continua da QUI. Se vi piace una donazione mi fa sempre comodo. Ed ecco che inizia. Ogni riferimento a cose, città, fatti e persone è puramente casuale. Buona lettura!


8

Ci ritrovammo in piedi, a Piazza Marina, tra Corso Vittorio Emanuele e Porta Felice, a Palermo. Non c’erano carrozze, quindi potevamo escludere di essere nel passato. Non c’erano neppure automobili né la normale ressa attorno al negozio che vendeva pane con la milza. Tutto era chiuso. Forse era troppo presto per fare il conto con un possibile futuro palermitano, ma era il mio ambiente. Finalmente ero nel mio elemento naturale. Un luogo di cui conoscevo quasi tutto, incluse le follie sparse un tanto al grammo, per ogni singolo abitante. Noi non avremmo fatto eccezione. Saremmo state un po’ com’erano tutti. Bastava solo adeguarsi e tentare di non apparire troppo strane. Le altre, fiorentine, assieme a Cecco, guardavano i dintorni con meraviglia. Non sapevano nulla della mia città natìa. Se Firenze era stata costretta a tornare agli orti e alla pesca, Palermo sarebbe stata in preda alla siccità e agli acquazzoni di ottobre. Non sapevo come potevamo cavarcela. Quello che riuscivo a vedere erano strade vuote e suggerii di avviarci per percorrere il centro storico. Salendo per la Vuccirìa, poi Ballarò, poi a destra per andare verso il teatro dell’Opera e continuando per Piazza Politeama.

Deviammo verso il quartiere del porto, a Borgo Vecchio, passando per il mercato ancora chiuso e tentando di raggiungere il mare. Restammo fermi vicino ad un chiosco che da quel che ricordavo vendeva angurie a fette. Era difficile stabilire in che modo il futuro di Palermo si fosse sviluppato. Sembrava una città abbandonata, il sole alto, era mattina o l’ora della pennichella. Non riuscivo a capire. Consigliai di tornare indietro, vicino al Teatro Massimo. Forse si sarebbero fatti vivi i turisti e i carretti siciliani in bella mostra. Potevamo incontrare il tizio che vendeva la grattatella, ghiaccio e limone. Pensare alle cose buone di Palermo mi faceva veniva l’acquolina in bocca. Poi un tale si avvicinò e osservando le nostre divise da lavoro fiorentino condensò il suo parere in un “minchia” di benvenuto. Si chiamava Totò e disse che per dei turisti come noi avrebbe fatto volentieri da guida. Risposi che non eravamo turisti e che ero palermitana anch’io. Voleva spillarci dei quattrini ma quando udì il mio accento si tirò indietro e provò a consigliarci.

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Comunicazione, Critica femminista, Culture, La scrittura delle donne, Pubblicazioni

La scrittura delle donne è ora un libro

Eccomi: Ho deciso di aggiungere un bel po’ di capitoli, con note a pie’ di pagina e farne un libro. Lo trovate QUI in versione ebook e QUI in cartaceo. Spero vi piacerà. Nel frattempo continuo a scrivere di Pazze e corpi colonizzati.

Un abbraccio a tutti e tutte 

Eretica Antonella

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Antisessismo, Autodeterminazione, Personale/Politico, Precarietà, R-Esistenze, Salute Mentale

Alla moglie dello scrittore: Ti prego, scappa!

Ho sognato uno scrittore conosciuto a Palermo, che mi invitava in casa a prendere un caffè. Una casa antica, di quelle che raggiungi attraverso scale di pietra e marmo, con le volte in corrispondenza dei pianerottoli. La casa aveva tetti alti, si trovava nei pressi di Ballarò, a servirci il caffè però non fu lui ma una donna. Lui mi parlava della sua maniera moderna di vedere le cose e poi si faceva servire da una donna che allontanò come se non fosse all’altezza di assistere alle nostre conversazioni. Lei aveva da fare, si giustificò lui, deve rassettare. Lui evidentemente non l’aiutava. Quella grande casa, vanto per lui e prigione per lei, la quale uscì in fretta e poi tornò con i cannoli freschi comprati chissà dove. Le dissi di sedersi, volevo parlare con lei, e lui ne fu offeso, come se il suo prestigio ne fosse offuscato, uno scrittore che mi concede di incontrarlo e io presto attenzione alla sua cameriera. Le chiesi se era felice e cosa pensava delle cose scritte dal marito e lei con dovizia di particolari tratteggiò un’opinione frutto di una complessa osservazione del lavoro che veniva svolto mentre lei serviva caffè e cannoli.

Lui l’artista e lei la serva che gli permetteva di poter scrivere senza pensieri di sorta. Le dissi che scrivevo anch’io e mi sarebbe piaciuto ascoltare la sua storia e lei con modestia disse che non era nulla di importante, la sua fortuna era stata quella di conoscere un uomo d’arte, il petto dell’artista si gonfiò con orgoglio, la moglie stava ricucendo un abito proporzionato alle nuove misure, sapeva come mercanteggiare e vendere il prodotto del marito. La venditrice era lei, lui solo un innocuo manutentore con la divisa d’ordinanza da intellettuale che indossava per averla ereditata dai genitori. La donna si comportava come si comporta ogni madre di famiglia siciliana che io abbia conosciuto. Non ne avevo mai vista una che solleticava tanto l’ego del marito, nonostante lui non facesse un cazzo in casa. La vera artista era lei e lui colse il mio pensiero sebbene io continuassi a discutere dei suoi progetti e di come egli aveva tratto spunto da fatti storici per determinare una narrazione sconclusionata sui fatti siciliani. Gli dissi che non mi intendevo di storicità, preferivo la fantascienza, ad esempio quella in cui un uomo portava il caffè alla donna intenta a scrivere un libro e mi chiedevo se mai mi sarebbe stato permesso di immaginare una visione simile, fuorché in situazioni nobiliari, come spesso accadeva alle scrittrici conosciute siciliane.

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Culture, Recensioni, Satira, Scrittura

Il rombo di Gunter Grass

Dopo aver letto un sacco di libri di fantascienza ho deciso di riprendere in mano dei libri che avevo letto quando ero adolescente. Non erano libri semplici ma mi piacevano e probabilmente non ne compresi il senso appieno ma leggevo di tutto e quindi mi era capitato anche di leggere di Gunther Grass. Oggi ho finito di leggere anzi di rileggere La ratta che parla di un futuro post apocalittico in cui solo i ratti sopravviveranno agli uomini che faranno di tutto per autodistruggersi. Nel romanzo c’è questo dialogo ipotetico tra un uomo che rimane intrappolato nello spazio e assiste alla fine della terra ma è in comunicazione con un ratto che gli spiega esattamente come sono andate le cose. Io non so se conoscete questo autore che peraltro è anche un premio Nobel ma il suo modo di scrivere è complesso e lui utilizza un sarcasmo che è veramente micidiale e che gli è costato parecchio perfino l’emigrazione quando pubblicava testi che contestavano tutto quello che aveva fatto la Germania e i modi autoassolutori che i tedeschi impiegavano culturalmente per rimuovere tutto ciò che avevano fatto di sbagliato. Una delle basi culturali della Germania che lui prende perennemente per il culo e quella fondata sulle favole dei fratelli Grimm che secondo lui sono assolutamente antifemministi, misogini, continuando a proclamare l’idea dell’esistenza di una vecchia strega la cui fine è quella che piaceva tanto a certi nazisti: ovvero bruciarla nel forno. Sto rileggendo adesso Il rombo che è una satira feroce delle faccende relative allo sviluppo storico e culturale del patriarcato e con sarcasmo narra di un pesce che dal neolitico in poi usava dare consigli ad un pescatore per portare avanti la causa della virilità maschile. In epoca più moderna il pesce si rende conto che questi uomini continuano ad essere dei frignoni e a portare alla rovina ogni loro piano e decide di schierarsi dalla parte opposta facendosi catturare da tre femministe che non accettano i suoi consigli paternalistici per un presunto ritorno in auge del matriarcato ma lo sottopongono, assieme ad una enorme schiera di gruppi femministi, ad un processo esilarante in cui si ripercorre la storia di uomini dipendenti dalla prima donna descritta con tre seni e la storia successiva in cui le varie fazioni femministe tentano di capire se solo la trisenita’ potrà dare valore al matriarcato. Non si riduce ovviamente tutto a questo ma c’è una descrizione veramente divertente sul mondo variegato femminista e sul paternalismo bieco di certi consiglieri che per l’appunto meriterebbero un processo invece che l’ascolto. Non posso descrivervi tutto perché l’uso delle parole così come la descrizione di ogni cosa per questo scrittore è veramente unica ma posso dirvi che rido da stamattina e ancor di più rido leggendo questo ulteriore libro che vi consiglio augurandovi una buona serata.

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Comunicazione, Culture, Personale/Politico, Pubblicazioni, R-Esistenze, Scrittura

Fantascienza e malattia mentale

Immagino saprete che la maggior parte degli scrittori che scrivono di fantascienza abbiano problemi mentali. Alcuni tentarono il suicidio altri prendevano pasticche e alcol ed altri ancora si consumarono nella depressione trovando in essa una sorta di risorsa che forniva immagini che venivano poi descritte talvolta in maniera ossessiva, ripetute da un libro all’altro, talvolta diventavano reali intuizioni su ciò che sarebbe avvenuto nel futuro. In tempi nei quali lo stigma sulla malattia mentale obbligava questi autori a restarsene per conto proprio, mietendo vittime nelle loro relazioni, una donna dopo l’altra, essi sviluppavano una visione che diventava la traccia sulla quale avrebbero sviluppato le trame di un romanzo. Anche autrici o autori che scrivevano generi differenti soffrivano talvolta di malattie mentali e la scrittura diventava per loro il modo di osservare il mondo attraverso una lente diversa. Riuscivano a percepire ciò che altri non vedevano. Le donne soprattutto raccontavano la propria realtà o quella dei propri personaggi riuscendo a favorire una reale evoluzione culturale che solo in seguito poi sarebbe stata riconosciuta e premiata. La loro lungimiranza veniva considerata una stranezza, il disagio di vivere il presente diventava il modo di proiettarsi nel futuro. Non serve effettivamente avere una malattia mentale per riuscire a scrivere la trama di un romanzo ma per gli scrittori che sono stati i miei riferimenti per tanti anni evidentemente aiutava. Li aiutava a interferire in una realtà normalizzata con spunti visionari e inimmaginabili.

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Culture, Pensieri Liberi

Cosa succede dopo che hai finito di scrivere il tuo libro?

Mi è stato chiesto di parlarne e vi dico quello che so sulla materia. Non sono una professionista ma vi spiego quel che so sul mondo editoriale. Su quello che si intende per correzione bozze e per l’editing, sull’impaginazione, la grafica e la copertina.

Se hai scritto il tuo bel libro, dopo aver fatto le correzioni che ti suggerisce il tuo programma di videoscrittura, hai alcune possibili opzioni. La prima: componi due cartelle con una sinossi e descrivi in alcune pagine la trama del libro e perché dovrebbe interessare quella tale casa editrice, se conosci un indirizzo mail cui postare e se la casa editrice è aperta ad accettare manoscritti. Non spedire il manoscritto per posta tradizionale perché cestineranno tutto. Il cartaceo non funziona. Invia e attendi. Se dopo sei mesi non ti rispondono significa che non gli piace e devi considerarlo un no. Ci sono case editrici che ti chiedono dei soldi per editing o analisi del testo. Non è detto che lo apprezzeranno ma ad un determinato costo ti diranno cosa c’è di giusto o sbagliato nel testo che hai scritto. Mi raccomando di analizzare sempre i cataloghi delle case editrici e di capire se il tuo testo è compatibile con le loro pubblicazioni.

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Comunicazione, Personale/Politico

Come scrivere un libro

Mi hanno chiesto come faccio a scrivere un libro e non avendo alcuna presunzione in materia posso solo dirvi come faccio io. Quello che faccio è cominciare a ragionare sulla storia che prima di scriverla conosco dal principio alla fine. Andare avanti inventando e senza conoscere la conclusione in genere mi ha portato a scrivere contenuti dispersivi che volgevano verso finali che non riuscivo più ad immaginare. Perciò devo conoscere la storia nel dettaglio, immaginando di averla vissuta, come se mi appartenesse e quando scrivo diventa un resoconto di memorie che va arricchita a seconda dello stile che scegli. Puoi scrivere in prima persona, al presente o al passato o in terza persona. Ho sperimentato diversi stili, perché fin da bambina dopo aver letto un autore riuscivo ad imitarli fino a quando non ho trovato il mio, caratteristico del mio modo di essere e sentire. Uno stile non è solo una faccenda di punteggiatura e di sintassi ma è la maniera in cui tu offri a chi legge l’argomento che hai scelto di trattare e per me è fondamentale giacché la mia scrittura non è scissa dall’interesse politico, personale e sociale. Non è arte per l’arte ma un modo per raccogliere un filo e offrirlo ad altre persone che potranno poi condividerlo ancora, per tessere una trama di esperienze vissute.

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Pensieri Liberi, Personale/Politico, R-Esistenze

Cronache postpsichiatriche: la scrittura come terapia

Appunti per la mia autobiografia.

Per offrirvi una sintesi cito l’immagine che ha dato di me la psicologa con cui ho sostenuto il colloquio prima che mi assegnasse un terapeuta adeguato ai miei disturbi.

L’immagine che la psicologa ha descritto di me è di una bambina che in mezzo alla guerra (metaforico) se ne resta in un cantuccio protetta nel proprio mondo fatto di libri e di scrittura. Ha detto che seppur nelle mie condizioni sono in grado di elaborare autoanalisi e che se non avessi usato la scrittura come mezzo terapeutico il mio cervello ora sarebbe rotto, in frantumi. La scrittura mi ha permesso di mantenerlo in qualche modo intero con crepe che la psicoterapia mi aiuterà a rimarginare.

Che la scrittura sia un mezzo terapeutico per chi soffre di disturbi mentali è stato detto e scritto molte volte. Non solo perché grandi scrittrici hanno arricchito la cultura con le proprie opere pur soffrendo di forme depressive, talvolta trattate con noncuranza o con metodi violenti come l’elettroshock. La scrittura è un mezzo di espressione artistica, se vogliamo, che permette a chi ne fa uso di produrre una sintesi dei propri stati d’animo. Questa sintesi può diventare poesia, racconto, romanzo, autobiografia. Lo sforzo di sintesi implica anche una elaborazione del vissuto traumatico. Un trauma elaborato può allora essere affrontato.

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Personale/Politico, Precarietà, R-Esistenze

Cronache postpsichiatriche: la solitudine della suicida

Voglio raccontarvi come è andata per filo e per segno perché mi pare terapeutico, per me. Avevo programmato di prendere una riserva di pillole che tenevo di scorta per le belle occasioni e quella era una ottima occasione. Ne ho fatto un frappè al cioccolato ma il gusto di amaro non si toglieva neppure se aggiungevo chili di zucchero. Alla fine ho rischiato di crepare di diabete e non per il resto. In ogni caso scopo raggiunto. Avevo preso la dose intermedia per dormire per sempre.

Mi piazzo a letto e non mi ricordo nient’altro. Mi sono svegliata con il catetere, su un lettino mobile, mentre qualcuno diceva libera libera a cavalcioni e mi schiacciava dappertutto. E io urlavo “sa che sono una giornalista indipendente?”. E Dio sa che cazzo significava quella frase buttata lì per caso. A che mi servivano le credenziali con una che mi spremeva le costole. Comunque sia poi ho ridimensionato il mio ego perché mi hanno detto di avermi raccattata per terra piena di vomito e piscio e non deve essere stato un bello spettacolo, proprio no. Sappiatelo: se si tenta il suicidio non ci si fa mai una gran figura. Si finisce per apparire una chiavica di donna, lo schifo dello schifo. Perché anche l’occhio vuole la sua parte, giusto?

Mi trasferiscono, dopo la rianimazione, in un letto con le sbarre ma non so come io riesco a superarle e continuo a dire che sono una giornalista indipendente, lo affermo in presenza di quello che mi aveva appena tolto il catetere. Pare che ragiona, dicono tra loro, e io sento voci, non LE voci, ma voci di persone che parlano attorno a me e mi prendono in giro. A ragione direi. Dovevo essere buffa. Sono seminuda, il passo deciso e mi reco in quello che penso sia il bagno ma non centro la tazza. Quando mi abbasso cado di schianto massacrandomi il coccige sul bidet. E sento l’infermiera che fa “mi sembrava sveglia…non pensavo che sbagliasse buco“. Quindi mi porto dietro questo livido dolorante per una settimana senza ricordare bene perché. Ma voi dovete sapere una cosa di me ed è che io anche se dormo parlo e dico frasi di senso compiuto, faccio proprio un discorso. Tante volte ho lasciato le amiche con domande in sospeso perché sembrava stessimo parlando e invece ad un certo punto la mia voce si incartava su se stessa e non c’era più niente da dire. Non fidatevi di quello che dico mentre dormo perché non sono io ma la me che sogna di dire delle cose.

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Contributi Critici, Culture, Eretica, R-Esistenze, Recensioni

Ereticamente: botta e risposta con la scrittrice Irene Chias

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Qualche giorno fa scrivevo dell’ultimo romanzo di Irene Chias, Non Cercare l’Uomo Capra, e oggi pubblico questo botta e risposta tra me e lei, riassumendo gli umori delle sue precedenti fatiche letterarie, Sono Ateo e Ti Amo e Esercizi di Sevizia e Seduzione, recuperando i toni goliardici e comunque mai privi di contenuto, che hanno caratterizzato il nostro primo incontro – molti anni fa – e tante nostre comunicazioni successive. Irene non è solo una scrittrice, giornalista, eclettica e brillante donna siciliana, ma, per me, è anche una tenace e intelligente amica che resiste nonostante il tempo e le distanze – geografiche – perché se due cervelli si incontrano e la dialettica, condita di personal/politico, non è mai scontata né spenta, è difficile che si perdano. Di Irene vi passo anche un video – lo vedete sotto – con una brevissima, ma bella, presentazione del suo ultimo libro su SkySport. Buona lettura!

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– Se tu avessi incontrato un uomo pronto a dirti “non sono ateo e ti amo” lo avresti sottoposto ad un ciclo di decristianizzazione?

Non è detto che il non ateo sarebbe un cristiano. In ogni caso ho imparato che, come molte altre invenzioni umane, la religione non è un male in sé. È potenzialmente qualcosa di personale che ognuno può declinare in pratiche e credenze assolutamente compatibili con il rispetto dell’altra persona. La religione è quello che ciascuno ne fa, anche se è innegabile che spesso presta il fianco alle azioni peggiori. In ogni caso, l’ateismo cui facevo riferimento in Sono ateo e ti amo era relativo a quell’aspetto patriarcale delle religioni – ma anche di credenze sociali apparentemente laiche – che ricorrono a rigidi ruoli predefiniti, che mischiano sentimenti e controllo sociale, fragilità personali e violenza.

– Quelle torture del tuo secondo libro, inflitte a uomini, diciamolo, un po’ di merda, le pianificavi da tanto tempo? Continua a leggere “Ereticamente: botta e risposta con la scrittrice Irene Chias”

Comunicazione, L'Inchiostrato, Pensieri Liberi, R-Esistenze

Post-moderno: storia di problemi, sintassi e puntini di sospensione

di Inchiostro

Notizie dall’oltremondo [tip-tip tip tip-tip]:

  • Il fatto che la gente rompa i coglioni è, ahimè, un fatto endemico, un concetto aprioristico, che avviene sempre e comunque (fonte: Focus di giugno)
  • Il caps lock è una malattia sociale ampiamente diffusa, che in internet provoca solo un fastidio visivo, nella realtà aggiunge anche un disturbo uditivo, visto che rappresenta la malsana tendenza che la gente ha di urlare, come se urlare rafforzasse le tesi propugnate (Fonte: Don Mazzi)
  • E’ diffusa anche… soprattutto su facebook… questa cosa dei puntini… di sos… pen… sione………………………… che sembra quasi che le persone vogliano creare una continua suspense, come se stessero sceneggiando Profondo Rosso e non scrivendo dei pensieri. Alcuni scrivono, ad esempio, cose come “E’ molto vero… (puntini di sospensione)” e tu leggi, e leggi anche la sospensione – e, perdìo, anche la punteggiatura fa parte della lettura e viene interpretata, sissignore – e rimani lì e pensi “E poi?! Come continua?! Cosa volevi dire-cristo-illuminato-tradito-e-martoriato?!?!?!?!?” Ma niente, non lo saprai mai, perché non c’è una continuazione. Questa cosa, giuro, è ben fastidiosa (Fonte: Federico Moccia)

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Antiautoritarismo, Autodeterminazione, Personale/Politico, R-Esistenze, Storie, Violenza

Le parole uccise

Stasera Loredana Lipperini ha postato sulla sua bacheca facebook una poesia di Diane Lockward. Parla di un marito che non leggeva le sue poesie e giusto quella volta che l’ha letta successe il finimondo.

Mi ha ricordato un episodio, ormai passato, elaborato e capito, a proposito di un mio ex che ad un certo punto, giacché pensava che io parlassi più con il mio quaderno che con lui, allora un giorno prese, lo strappò e gli diede fuoco. C’erano racconti scritti fin dalla prima adolescenza. Tante parole che mi ricordavano chi ero. Ritratti che invece dei pixel usavano le lettere dell’alfabeto.

Mi chiesi fin da subito com’era possibile avere così paura delle parole. Perché sentire l’esigenza di cancellarle. Perché farmi questo. Era il timore, in quel caso, di perdermi, di non riuscire mai a raggiungermi, di non riuscire mai a restare sulla mia stessa lunghezza d’onda, così come capita per chi intende isolarti e toglierti gli amici e le amiche per farti stare male, perché cancellarti, per il gusto di farlo o perché di te si ha paura, non è mica una prova di coraggio. Sentire l’esigenza di eliminare tracce di quel che sei stata o sei, per riscriverti, reinterpretarti, in qualche modo sovradeterminarti, è segno di grande insicurezza e di paura.

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Beatriz Preciado: “se la scrittura non diventa un’arma, siamo perduti!”

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Dalla generosità (e grazie a chiunque traduca un po’ di ossigeno per le nostre menti altrimenti obbligate ai deprimenti dibattiti sulle donne, soggetti deboli, che si svolgono qui in Italia) delle compagne di CollettivaXXX:

Da El Espectador 6 febbraio 2014.

Intervista a Beatriz Preciado

di Sara Malagón Llano

 La filosofa spagnola Beatriz Preciado parla di transfemminismo, teoria queer e della sua esperienza con il testosterone che si è tradotta in un “saggio corporeo” dal titolo Testo Yonqui.

Lei ha studiato filosofia e successivamente ha concluso un dottorato in teoria dell’architettura. Si è dedicata prima all’uno poi all’altro per piacere o crede che ci sia una connessione tra i due?

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