Qualcuno dice che “partorire è la cosa più naturale del mondo”. Chi lo dice generalmente non ha mai avuto neppure una doglia. Chi lo dice generalmente è un uomo che si attiva per assicurare la continuità della sua poco nobile stirpe e che delle donne pensa ne più e ne meno che siano delle macchine senz’anima per fare figli.
Categoria: Antispecismo
Ecco la vera natura della famiglia detta “tradizionale”
La famiglia tradizionale? Ma certo, è un incanto. Ve la racconto.
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- è patriarcale, prima c’è il patriarca e poi tutti gli altri.
- è maschilista perché i ruoli di genere sono ben separati. la moglie pensa alla casa e al ruolo di cura e il marito lavora, fa carriera e quando torna a casa esige di essere servito perché si sa che la funzione di serva è cosa da donne.
- è sessista perché si educa la figlia femmina a prepararsi alla riproduzione e a fare la moglie e se per caso è lesbica ci sta che viene accoltellata (successo davvero, che credete!). poi educa il figlio maschio a sperare in una sposa altrettanto sottomessa che possibilmente abbia letto tutta la trilogia masochista della Miriano.
- è autoritaria perché decide come deve comportarsi e vestirsi una figlia femmina, come dovrà sedersi, comportarsi e quali scuole dovrà frequentare e quali invece no. al maschio saranno riservate raccomandazione su come egli dovrà godere di molti privilegi proprio in quanto maschio. potrà girare per strada a tutte le ore del giorno e della notte senza temere di essere stuprato, potrà descriversi come individuo virile al quale il padre padrone ordinerà di farsi più femmine che può. se non vuole farsene nessuna, se è gentile, se è gay, il padre dirà “meglio morto che frocio” (già successo anche questo). nel caso in cui egli stupri una ragazza la famiglia lo appoggerà e dirà che ella era la zoccola che l’ha provocato. lo dirà il padre e pure la madre.
- è totalitaria perché attribuisce alla figlia femmina il coprifuoco, e di non attirare l’attenzione, di non vestirsi come una “zoccola”, di non uscire con quelle amiche libertine là, di non frequentare un uomo giacché è al marito che ella dovrà donare la verginità.
- è femminicida perché nel caso in cui alle femmine di famiglia non piaccia la sottomissione e rivendichino il diritto alla libera scelta, quella di fare quel che vogliono e di lasciare il marito, per esempio, lui sarà legittimato ad ucciderle in quanto donne.
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Il #metoo non è abbastanza: ci hanno educate a non percepire la violenza!

Tieni le gambe chiuse. Comportati da femmina. Tratta bene tuo fratello. Non rispondere male a tuo padre. Copriti e non vestirti da puttana. Non ti puoi truccare per uscire. La donna ne sa una più del diavolo. L’uomo che si fa comandare da una moglie non è uomo. Sviluppa l’abilità della crocerossina. Fai la protagonista della bella e la bestia. E’ la donna che fa l’uomo. Dietro un grande uomo c’è una grande donna. Ma dietro, però. La donna ha l’abilità di fare uscire il peggio dell’uomo. Se ti picchia è colpa tua. Lei deve salvare lui. Se è violento intrinsecamente è perché tu non hai saputo curarlo.
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#metoo: se anche i compagni di lotta sminuiscono le violenze
Lei scrive:
Ci sono stati i #metoo – tanti, non tutti probabilmente. Qualcun* l’ha postato per denunciare una violenza subita, qualche altr* senza credere che possa servire più di tanto. Qualcun* per dire che ci sono tanti modi di abusare e che tutti sono parte di un problema sistemico che ci rende oggetti, da possedere e su cui rivendicare diritti di proprietà.
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#MascolinitàFragile: cosa vuol dire l’espressione “sii uomo” e qual è l’errata lettura del femminismo della differenza
Articolo originale pubblicato su Medical Daily.
Traduzione e note di Manu.
“Sii uomo”, “non piangere”, “non fare la femminuccia” sono solo alcune frasi scelte dal vasto repertorio di concetti ego-distruttori insiti nella società odierna.
Rinforzare la retorica che femminilizza l’espressione dell’emotività e mascolinizza la violenza ha il potere di inibire l’empatia, esalta la cultura della dominazione, e mette in correlazione il rispetto con la paura. I ragazzi nascono come creature fatte per amare, ma fin da piccolissimi vengono loro insegnati quei tratti, quei linguaggi sminuenti, quella mentalità che li allinea al concetto socialmente accettabile di cosa sia un uomo.
Gli Stati Uniti hanno dato forma ad una definizione irrealistica di mascolinità. Ogni giorno, tutti i giorni, c’è un ragazzino che si sente inferiore perchè non riesce ad adattarsi agli standard. Chi invece riesce a rientrare negli standard, in realtà è solo in grado di costruire una facciata a tutto tondo che nasconda ciò che realmente gli piace o non gli piace, le sue emozioni, priorità e passioni – recita uno show ad uso e consumo della società che lo circonda. Continua a leggere “#MascolinitàFragile: cosa vuol dire l’espressione “sii uomo” e qual è l’errata lettura del femminismo della differenza”
Fertility Day: come le vacche
di Marco Reggio
Il “Fertility Day” sembra essersene andato con la rapidità con cui è venuto. Una meteora, forse un’eiaculazione precoce, forse un aborto. In ogni caso, non è rassicurante pensare che sia stato concepito dal governo in carica, che, evidentemente, incassa il consenso “pink” ottenuto con la legge al ribasso sulle unioni civili e lo spende in una campagna che fa impallidire quelle di Benito Mussolini. “La bellezza non ha età. La fertilità sì”; “Datti una mossa, non aspettare la cicogna”; “La fertilità è un bene comune”; “Genitori giovani. Il modo migliore per essere creativi”. Questi alcuni degli slogan che invitano, in buona sostanza, a fare figli per la patria, come dice esplicitamente – le immagini valgono più di mille parole – la grafica della cartolina “La costituzione tutela la procreazione cosciente e responsabile”: un paio di scarpine avvolte in un nastro tricolore (la costituzione antifascista funge, acrobaticamente, da legante fra le soggettività, il senso di comunità-cittadinanza e uno Stato in perenne fascistizzazione). E non si tratta di un errore di comunicazione, purtroppo. I maldestri tentativi di rendere in forma pubblicitaria l’idea che sta dietro al Fertility Day rendono solo più evidente la logica ministeriale, che è quella della pressione alla maternità irresponsabile. La fertilità e la maternità diventano appunto un bene comune: l’utero è mio, ma è la Patria a dirmi come gestirlo.
Il seme dei disturbi alimentari
Lei scrive:
Ciao Eretica,
ti scrivo per raccontarti una situazione familiare che sto vivendo e che mi sta infastidendo molto. Ho 26 anni e l’anno scorso ho avuto una bambina. Non era stata una gravidanza programmata, ma sia io che il mio compagno abbiamo preso coraggio e ci siamo dati da fare, spesso sbagliando, ma sempre cercando di fare il meglio per tutti e tre.
Tutto è in vendita, anche la maternità
da AnimAliena:
Di tutti gli articoli scritti nell’ultimo periodo intorno al tema della gestazione per altr*, quello di Muraro intitolato “La maternità non è in vendita” rappresenta la summa delle contraddizioni espresse dagli argomenti di chi si definisce contrari* ad essa – a maggior ragione quando, come in questo caso, le critiche prendono le mosse da una posizione femminista.
Intervista a Melanie Light, regista del film horror vegfemminista LA MANDRIA
da animaliena
La regista britannica parla del suo acclamato capolavoro dell’orrore a tema vegfemminista LA MANDRIA.
Traduzione di questo articolo di feminoska, revisione di michela.
Una delle caratteristiche uniche del genere horror è la grande libertà che offre a* regist*, grazie ai suoi peculiari elementi fantastici, di affrontare questioni scottanti in maniera non per forza totalmente esplicita. Questo aspetto è balzato all’occhio recentemente in Babadook di Jennifer Kent, nel quale la regista è stata in grado di affrontare i tabù della maternità attraverso l’entità che dà il titolo al film, questioni che avrebbero potuto essere liquidate come crudeli o, peggio ancora, ignorate in un film realistico. Utilizzare metafore per porre questioni difficili, ha dunque, a sua volta, il potere di concedere al pubblico la facoltà di affrontare argomenti che in passato aveva rifiutato o lo avevano fatto sentire a disagio. Si tratta di una forma di rimozione che va a vantaggio di entrambe le parti.
Per l’esordiente Melanie Light, il genere horror si è rivelato la cornice ideale del suo ultimo lavoro. Un cortometraggio intitolato THE HERD (LA MANDRIA), dichiaratamente vegfemminista, si sarebbe di certo scontrato contro tali pregiudizi. Stranamente, nonostante sia sufficiente menzionare il femminismo o il veganismo per causare in alcune persone spasmi di rifiuto, esiste un diffuso scollamento tra i due movimenti. THE HERD, un film che trasferisce gli orrori quotidiani dell’allevamento intensivo e dell’industria lattiero-casearia alla realtà umana, cerca di colmare questo divario.
Scritto da Ed Pope, il film narra le vicende di un gruppo di donne rapite e imprigionate in una struttura al solo scopo di mungere latte dai loro corpi. Indipendentemente dalle idee personali degli spettatori, il film è innegabilmente efficace nel raggiungere il proprio obiettivo, ovvero raffigurare un’esperienza di orrore cruento. Nei titoli di coda, tuttavia, Light sottolinea ulteriormente il tema in questione attraverso l’inserimento di immagini disturbanti di macelli e allevamenti. La giustapposizione equipara il trattamento delle donne in questo film di finzione al trattamento degli animali nella vita reale, dando vita a un’atmosfera angosciante con la quale il pubblico dovrà per forza fare i conti.
THE HERD sarà, ci auguriamo, il trampolino di lancio di una carriera fiorente per la regista britannica. In venti brevi minuti, Light sviluppa una storia straziante abilmente condotta dal suo forte senso visivo. L’intenzione della stessa Light, la quale ha affermato di aver “trattato il film come un lungometraggio”, è evidente: non c’è un briciolo di trascuratezza. Grazie agli studi in scenografia, il film beneficia di un’ambientazione volutamente squallida. Le immagini sono profondamente efficaci e aiutano a sottolineare il concetto centrale del film. Se non altro, THE HERD vi costringerà a pensare, cosa che non avviene di frequente nel cinema moderno.
In seguito alle numerose proiezioni accolte con estremo favore nel circuito dei festival, SHOCK ha incontrato Melanie per parlare del film, delle sue istanze politiche e delle ragioni per cui a volte può essere difficile anche solo cercare di spiegare a qualcuno il veganismo.
SHOCK: Quindi, qual è stato il tuo percorso? Sei sempre stata attratta dal cinema?
LIGHT: Mah, ho studiato scultura in modo molto approssimativo – all’Università di Brighton, in Inghilterra. Sai, sono sempre stata attratta dalle arti – pittura, disegno, fotografia. Verso la fine del mio percorso universitario ho cominciato ad appassionarsi seriamente al campo cinematografico, ai film horror per lo più. Ero anche ossessionata da rotten.com e della rivista Bizarre, da tutte queste cose strane e assurde, e il mio lavoro le rispecchiava. Alla fine, sono dovuta tornare a casa e trovare un noiosissimo lavoro di merda, in un ufficio, per pagare una parte dei dei miei debiti mentre realizzavo protesi e oggetti di scena horror nel tempo libero. Non sapevo cosa fare di me stessa.
SHOCK: Quando hai cominciato a lavorare davvero sui film, quindi?
LIGHT: Alla fine, mi sono ritrovata ad una convention horror alla quale erano presenti solo 50 persone. Si trattava della Chiller Fest Convention. In realtà è li che ho incontrato Ed [Pope], lo sceneggiatore di THE HERD. C’erano anche alcune persone che avevano lavorato in Harry Potter e parlavano di cercare lavoro in campo artistico; io non riuscivo a far altro che pensare “Com’è possibile?” A quei tempi credevo che fosse possibile lavorare nel cinema solo attraverso le grandi produzioni cinematografiche. Pensavo, ”Come cavolo faccio, non conosco nessuno”. Così ho iniziato a realizzare dei diabolici coniglietti zombie e ho cazzeggiato un po’ con vari progettini. Alla fine ho trovato questo sito, mandy.com, che offriva l’opportunità di lavorare a un film horror chiamato “La sedia del diavolo”, come assistente nel dipartimento direzione artistica. Si è trattato di tre settimane di riprese notturne passate a dipingere pareti, coprire le mura di sangue finto, senza chiudere occhio. Ho pensato che fosse la cosa più bella del mondo. Mi ricordo che, verso la fine – ci si scopre molto emotivi al termine di un lavoro impegnativo, perché si diventa come una piccola famiglia – erano le quattro del mattino e ho pensato, ”Credo di aver trovato la mia strada”.
SHOCK: Qual è stato il passo successivo?
LIGHT: Mi sono trasferita a Londra e ho fatto un sacco di roba a basso costo. Sono stata responsabile di produzione e direttrice artistica di film horror dal budget ridicolo, serie web e roba così. Dopo aver lavorato ad alcuni progetti con un budget quasi inesistente, ho pensato che se questi ragazzi ci riuscivano, allora onestamente ero convinta di poterlo fare anche io. Così ho realizzato il mio primo cortometraggio con un gruppo di amici, una sciocchezza della durata di cinque minuti. Poi, ho fatto un paio di piccoli video musicali, chiedendo a tutti i miei amici musicisti di farmi fare video per loro. Mi sono fatta più ambiziosa e ho girato il corto successivo in Nevada, perché volevo dimostrare che potevo essere una regista. Dopo quell’esperienza ho capito che dovevo fare un altro cortometraggio, ed è stato a quel punto che Ed mi ha proposto la sceneggiatura di THE HERD.
SHOCK: Sono molte le tematiche affrontate dal film, a partire dalla premessa centrale. Quando Ed ti ha proposto l’idea di THE HERD, fino a che punto era già definita?
LIGHT: C’erano un sacco di bozze. Dopo avermi proposto il film, è rimasto nel dimenticatoio per un po’, finché ad un certo punto ci siamo concentrati e abbiamo lavorato insieme con grande impegno per dare forma allo script. Doveva essere semplice da girare ed era molto importante che fosse chiaro il motivo per il quale queste cose accadevano; era un punto fondamentale per assicurarsi che non si trattasse esclusivamente di una storia di oppressione animale, ma fosse allo stesso tempo una storia horror. Avevamo bisogno di qualcosa che potesse soddisfare chiunque e in ogni caso trasmettere il messaggio.
SHOCK: Dunque, dall’inizio, il punto essenziale era rendere evidente il collegamento tra la condizione umana e il trattamento degli animali?
LIGHT: Sì, sicuramente. Questo è stato lo scopo della storia fin dal primo giorno. Ed ha tirato fuori la frustrazione che prova quando è costretto a spiegare alla gente perché non beve latte, perché non mangia formaggio. Lo scopo era proprio quello di mostrare le donne in gabbia mentre venivano munte e ingravidate, per rappresentare le vacche da latte e l’industria lattiero-casearia.
SHOCK: E gli spettatori spesso vedono la connessione tra il femminismo e il veganismo, anche se è innegabile che esista uno scollamento tra i movimenti.
LIGHT: È davvero frustrante, una volta che si comprende il legame esistente tra il femminismo e il veganismo. Non molto tempo fa ho inviato una mail al Vegan Feminist Network sul tema, e mi è stato risposto che “purtroppo molte femministe non vogliono vedere questo collegamento”. È deprimente imbattersi in persone che sono convintamente femministe, che mangiano carne o sono ancora vegetariane, e cercare di spiegar loro il nesso esistente, che questa è una questione che riguarda tutte noi. E quando si prova a spiegarlo, si ricevono sguardi straniti o bisogna fare attenzione a non trovarsi coinvolt* in interminabili discussioni, perché sono sempre le/i tu* amic* e in fondo le/i rispetti comunque (anche se una parte di te è morta dentro) [ride]. Un sacco di gente non vuole affrontare il semplice fatto che essere femmina non è una caratteristica esclusiva degli esseri umani, e che queste mucche, scrofe e pecore sono sfruttate per via e attraverso i propri apparati riproduttivi. Non umani e umani: per la gente non siamo uguali, no? Di recente ci hanno accusato di aver realizzato un film misogino e bacchettone, cosa che per noi è stata molto difficile da capire, perché la persona che lo ha definito così, ovviamente, non ha colto il punto centrale del film. Gli esseri umani pensano di essere al di sopra di altre specie. È così demoralizzante.
SHOCK: È davvero strano sentir definire il film misogino, perché anche tenendo separate le questioni relative ai diritti animali (cosa assolutamente possibile, almeno fino ai titoli di coda), in ogni caso mette in scena una rappresentazione del trattamento che molte donne subiscono nella società. Le immagini presenti sullo schermo non possono provocare alcun piacere.
LIGHT: Ti imbatti continuamente in persone che, il minuto che scoprono che sei vegan, ti buttano addosso il proprio senso di colpa e iniziano ad attaccarti per il solo fatto di esserlo. È per questo che ho scelto di mettere il montaggio [dell’industria lattiero-casearia e del macello] alla fine, perché, se si fosse trattato del solo film senza titoli di coda, la gente non avrebbe capito il messaggio preciso. E quando cominciano a capire, stanno tutt* zitt* – a volte senti risatine nervose – ma poi cominciano a fare i collegamenti. Sono così assorbita dal tentativo di spiegare il punto principale del film, l’analogia con l’oppressione animale, che rischio facilmente di trascurare le analogie con il trattamento delle donne nella società, le pressioni che subisce chi è di sesso femminile, chi vive l’oppressione religiosa, o come cittadina di seconda classe nelle comunità, nei luoghi di lavoro. Nessuna parità di retribuzione, l’obbligo di apparire in un determinato modo, di raggiungere questi ideali impossibili. In molti casi, non poter essere null’altro che madri. Non c’è uguaglianza all’interno della nostra stessa specie, figuriamoci con le altre.
SHOCK: Se avessi messo quelle immagini all’inizio del film, la gente sarebbe scappata via prima ancora di sentirsi emotivamente coinvolta. Era questa l’idea, ovvero prendersi gioco de* spettator* facendo loro capire qualcosa che, altrimenti, potrebbe essere spiacevole da affrontare?
LIGHT: Sì, ma era più una strategia per mostrare agli spettatori il vero significato del film, perché ho l’impressione che forse, se non ci fossero state, molte persone non avrebbero capito il senso di tutto questo. Infatti, nonostante qualche critico ci abbia accusato di voler imporre la nostra agenda, altri sono ancora completamente fuori strada. Si tratta di un film politico, alcuni possono non essere d’accordo o sentirsi offesi, ma sono convinta che quando si ha l’intenzione di fare un film capace di trasmettere un messaggio, sia meglio che questo messaggio sia chiaro.
SHOCK: Qual’ è stata la reazione del pubblico?
LIGHT: Molte persone ci hanno inviato messaggi molto positivi sulla pagina Facebook, del tipo: “Sono così felice che abbiate realizzato questo film”, o ”Ho sempre pensato che questo argomento dovesse diventare un film”. Dal punto di vista dei diritti animali, i risultati positivi che abbiamo testimoniato sono stati davvero travolgenti. Uno degli attori, Dylan [Barnes] – che interpreta il personaggio più cattivo – era carnivoro e, dal momento in cui ha cominciato a lavorare al film, ha imboccato a poco a poco la strada del veganismo. E uno dei nostri produttori è diventato vegano subito dopo aver visto il film. Dunque funziona, ed era appunto questo che stavamo cercando di fare. È snervante, perché sai che la maggior parte del pubblico non investirà così tanto delle loro convinzioni personali nella storia, come abbiamo fatto noi. Quindi è bello costringere “con l’inganno” queste persone a fare i conti con cose alle quali non hanno mai nemmeno pensato. Per via di una scarsa informazione, le persone non pensano mai veramente a queste cose, come al fatto che le mucche debbano essere incinte per produrre latte – esattamente come le donne devono partorire per allattare; è proprio la stessa cosa. Quando potremo finalmente mettere il film online, dopo tutti i vari festival, sarà grandioso. Soprattutto con quello che sta succedendo al settore lattiero-caseario nel Regno Unito. E’ di questo periodo la notizia di come le aziende lattiero-casearie si sentano messe sotto pressione. Ovviamente, la gente è spesso egoista e pensa “ho intenzione di smettere di bere il latte, perché ho sentito che contiene sostanze chimiche e che mi fa male“ il che, se non altro, è un cambiamento. Ma penso che la gente abbia ulteriormente bisogno di rendersi conto che, in realtà, è diverso dal pensare “Aspetta un secondo, guarda come le mucche sono state ridotte in schiavitù, per tutta la vita” e che non dovremmo controllarle e trattarle come se fossero solo beni e prodotti.
SHOCK: Quali sono i tuoi progetti futuri? Arriverai a realizzare un lungometraggio?
LIGHT: Stiamo facendo uscire una musicassetta in edizione limitata della musica del film, quindi ora sono in attesa di finire questo. Credo che la musica sia in sé davvero eccezionale, e amo i brani di genere punk rock: abbiamo realizzato una cassetta in edizione limitata come se fosse realizzata da un gruppo punk o simili [ride]. Ho scritto un lungometraggio ma essendo il primo, ovviamente, nessuno vuole investirci molti soldi. Così ho pensato ad un film a budget bassissimo che voglio girare nella mia città natale. A meno che qualcuno non mi proponga una buona sceneggiatura, disponga di tutti i soldi necessari e faccia anche da produttore, dicendomi: “Voglio che sia tu a dirigere questo cortometraggio”! Allora lo farei [ride], ma in questo momento è tutto molto difficile e impegnativo. Ho investito così tanto denaro e impegno nel realizzare THE HERD, perché l’ho trattato come se fosse un lungometraggio. Ad un anno da oggi, vorrei davvero essere occupata nella realizzazione di un film. Al momento, non vedo l’ora di pubblicare THE HERD online [il film è oggi disponibile online su vimeo, n.d.t.]. Sto cercando una piattaforma dove metterlo in rete e sulla quale la gente possa pagare tipo due sterline, una per coprire i costi della piattaforma, l’altra da donare ad un rifugio per animali situato da qualche parte nel Regno Unito…
Se anche tra i vegani c’è chi disprezza le persone grasse
Lei scrive:
Ciao Eretica,
Oggi durante il viaggio che portava dalla Toscana alla Lombardia, mi sono soffermata a leggere la tua pagina. Non potevo crederci, i grassofobici che si nascondono dietro al salutismo, quando probabilmente in pochi sanno realmente cosa significhi nutrizione. Sono sempre stata una bambina sovrappeso, dopodiché un’adulta obesa.Continua a leggere “Se anche tra i vegani c’è chi disprezza le persone grasse”
Specismo: anche l’ambiente si libera da solo!
Lei scrive:
Cara Eretica,
in merito al post sullo specismo di ieri ho visto che il dibattito è stato infuocato! non voglio mettermi ora a giudicare le abitudini alimentari della gente, ho letto tutti i 188 commenti. Quello che più mi ha colpito in realtà nei commenti è che molte persone sono convinte che l’uomo abbia veramente
Continua a leggere “Specismo: anche l’ambiente si libera da solo!”
L’errore logico dell’antispecismo e il paragone pericoloso con antirazzismo e antisessismo
Ieri abbiamo pubblicato un post che parlava dell’esigenza di inserire, nella relazione intersezionale tra antisessismo, antifascismo, antirazzismo, anche l’antispecismo. Per quel che mi riguarda, inutile dirlo, arrivo da un lungo confronto, durato anni, con una cara amica che mi ha insegnato tanto anche a proposito del controllo in chiave riproduttiva del corpo delle donne esattamente come avviene per gli esseri viventi non umani. Ci sono delle analogie impossibili da ignorare e tuttavia per me è importante ragionarne con calma, senza chiudersi a riccio e offrendo anche a chi non la pensa allo stesso modo lo spazio per raccontare i propri dubbi. Così ospito questo intervento, che immagino non sarà l’ultimo, che arriva proprio in risposta al post di cui parlavo. Se avete voglia di dire la vostra, tenendo conto del fatto che né qui, e neppure sulla pagina, c’è posto per toni esasperati e divisione in integraliste tifoserie, potete scrivere a abbattoimuri@grrlz.net. Buona lettura!
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Cara Eretica,
ti scrivo in merito al post che hai pubblicato sull’antispecismo.Il punto in questione è secondo me un errore logico che fanno gli antispecisti e che manda all’aria il paragone con antirazzismo e antisessismo.
(Bio) Lavoro: su riproduzione e cura le donne non hanno libertà di scelta!

di Simona R.
Quando avevo più o meno 16 anni mi convinsi che non c’era persona più abietta di me. Fu la prima volta in cui qualcuno disse che pensavo solo a me stessa. Lasciai un ragazzo, un buon partito, che già si era ripromesso di sposarmi dopo il mio diploma. Mi sembrò parecchio insistente e io non avevo alcuna voglia di metter su famiglia a 18 anni. Poi dissi no quando mio padre mi ordinò di stare alcune ore al giorno con mia nonna, malata, perché “non può fare tutto tua madre“. Risposi che ero d’accordo, ma la responsabilità era la sua, di lui. Perché gli faceva così schifo aiutarla?
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#Vegetariani: complotto ortofrutticolo e la lobby del carciofo
Leggo l’Huffington Post e trovo che essere vegetariani porterebbe alla muerte. Si tratterebbe del risultato di uno studio scientifico della cui manipolazione parla in maniera dettagliata QUESTO articolo. In generale però vorrei raccontare di uno scambio avuto stamane in una zona xy della città con un conoscente.
Chiacchierava con un altro tale e raccontava come in effetti il vegetarianesimo sia pericoloso soprattutto per i bambini. Non entro nel merito della faccenda perché non sono molto preparata, io sono cresciuta a carnazza e affini e mia figlia non poteva fare a meno degli omogeneizzati di cui poi, da grande, mi ha detto tutto il male possibile. La prima a diventare vegetariana è stata lei e dopo essermi sorbita le puzze della soya a pallini cucinata per farci i sughi e aver partecipato per anni a discussioni con persone animaliste e antispeciste, dopo aver acquisito una precisa consapevolezza sulla questione e aver preso posizione, giusto in un momento della mia vita in cui avevo un cocuzzolo sulla faccia che, tipo herpes o psoriasi, non so, appariva e spariva a fasi alterne, mi convertii al vegetarianesimo pure io. Tendenzialmente vegana se non fosse che non riesco a rinunciare a certi formaggi e alle frittate alla ricotta, però ci provo.
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Il paradosso del paragone tra animalist* e pro-life: una riflessione
Andy Warhol era un profeta.
Da Intersezioni:
Davvero molto interessante osservare lo tsunami di commenti che si sono avvicendati sui social, a velocità frenetica, in seguito alla mediatizzazione del caso di Caterina (la nostra riflessione in merito è qui). Quello che colpisce è la quantità di preconcetti, frasi fatte, inesattezze ripetute come mantra a qualsiasi interlocutore, possibilmente farcite di aperto disprezzo, dileggio, ostilità e violenza verbale. Mantenere toni pacati quando qualcun* ti grida in faccia di essere “estremista” – peraltro ignorando qualsiasi tuo tentativo di stabilire una connessione, un dialogo che ristabilisca la possibilità di una riflessione pacata – è davvero un’impresa ardua. Riflettere dunque è quello che cerchiamo di fare qui, e riflettere costa certo più tempo e fatica che insultare e pontificare in 150 parole, ma dal nostro punto di vista, è sicuramente più interessante e produttivo.
Continua a leggere “Il paradosso del paragone tra animalist* e pro-life: una riflessione”