Da questo nuovo, meraviglioso, progetto che si chiama Intersezioni, la mia amica Feminoska scrive e illustra questa cosa che io dedico anche a #ParaGiulia:
Rivendicando lo sguardo: Jes Sachse e il potenziale trasformativo dell’osservare.
Tutti amiamo guardare. Mentre l’atto di fissare è generalmente percepito come un atto da evitare o di cui vergognarsi, Rosemarie Garland-Thomson, studiosa di disabilità e women studies, afferma che lo sguardo, nella sua accezione migliore, ha in realtà il potenziale di creare nuovi significati e società più aperte. Lo sguardo, nell’accezione di Thomson, ha il potenziale per aiutarci a ridefinire il linguaggio che usiamo per descrivere noi stessi e gli altri, creare spazio per coloro che si trovano più spesso esclusi dalle comunità, e forgiare le nostre identità. Lo sguardo è più dinamico e produttivo quando il soggetto dello sguardo, la persona che viene guardata, è in grado di esercitare un certo controllo sull’interazione, e così facendo presentare la propria storia alla persona che guarda.
Jes Sachse è un’artista canadese venticinquenne, con un disordine genetico chiamato Sindrome di Freeman Sheldon. In questo articolo saranno presi in considerazione due progetti distinti nei quali sono state utilizzate fotografie di Sachse, al fine di illustrare come “l’atto di guardare” sia in grado di modificare la nostra percezione delle categorie sociali, nel momento in cui, ad individui palesemente ‘differenti’, sia concesso di presentare le proprie storie. Questo tipo di narrazione ha il potenziale di creare un discorso sociale e categorie più fluide. Il modo in cui Thomson considera lo sguardo fornisce un mezzo per raggiungere il tipo di dialogo sociale che Wilchins e Clare hanno identificato come la chiave per stabilire concetti inclusivi di genere, sessualità e identità in generale.
Continua a leggere “Vi presento Jes”