Antisessismo, La posta di Eretica, Personale/Politico, Storie

Il machismo che fa male agli uomini

Lui scrive:

“Voglio restare anonimo, e raccontare la mia storia come fanno tante persone su questo blog che seguo giornalmente da almeno due anni. Sono un uomo di 26 anni (si, mi definisco ‘uomo’ anche se a 26 noi tutt* siamo considerati ragazzini) e ho modellato la mia vita cercando di essere qualcun altro, facendo fuggire persone che a me tenevano, ma anche persone che non mi amavano affatto.

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Antisessismo, La posta di Eretica, Personale/Politico, R-Esistenze, Storie, Violenza

E’ così che i bulli e le bulle spingono una ragazza al suicidio

Lei scrive:

Ciao Eretica,
Vorrei che questa storia fosse letta perché molte ragazze/i si sono suicidati/e in queste situazioni per quel che ho potuto ascoltare nei tg e ci tengo a sottolineare il fatto che nessuno se l’è cercata.

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Antiautoritarismo, Antisessismo, Autodeterminazione, Comunicazione, Critica femminista, Personale/Politico, R-Esistenze

L’insulto è un atto politico

da Comune-Info.Net

Maria Galindo, femminista del Collettivo Mujeres Creando, è di certo tra le donne che hanno ricevuto più insulti nel mondo. La sua lunga e coraggiosa attività creativa, in un paese tutt’altro che facile come la Bolivia, è sempre stata segnata da azioni dirompenti e provocatorie nei confronti del dominio maschile e dell’ipocrisia dello Stato e della Chiesa cattolica. È dunque in primo luogo l’esperienza che la spinge a riflettere sulle possibilità concrete di neutralizzare la portata e la valenza politica di comportamenti – quasi sempre ispirati dalla debolezza, dall’incapacità di confronto e dalla frustrazione – che però acquisiscono efficacia solo nel momento in cui fanno male. Quando l’insulto incontra indifferenza o ironia, perde invece ogni possibilità di umiliare o di screditare la persona che lo subisce. Per questo ridere di un insulto che ci viene diretto non è solo un segno di forza ma un atto politico che afferma una grande e bella libertà Continua a leggere “L’insulto è un atto politico”

Antisessismo, Autodeterminazione, R-Esistenze, Storie, Violenza

Storia di bullismo contro una bambina transgender

Lei è Corey Maison, oggi una adolescente e prima un bambino. Perciò è stata vittima di bullismo e grazie all’aiuto dei suoi genitori ha superato quel periodo duro.

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#MascolinitàFragile: disertare e nascondersi per sopravvivere

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La prima volta in cui ho disertato la chiamata del branco fu alle medie. Non volevo partecipare alla gara di sfottò nei confronti di una ragazzina che veniva chiamata “grassa, tappa, brutta” e vi lascio immaginare il resto. Quella bambina non veniva trattata bene neppure dalle compagne e mai, però, mi venne in mente di sedermici accanto, di farci amicizia, perché non ero coraggioso fino a questo punto. Il bullismo avviene anche grazie alla paura delle persone come me che sanno quanto sia sbagliato ma non fanno niente per rompere quello schema. Avevo il terrore di essere associato a lei e avevo paura di finire nel mirino dei bulli.

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Mi hanno fatto del male ma oggi sono fiera di essere “curvy”

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Estela Regina scrive:

Ciao Eretica, sono contenta di poter condividere la mia storia.
Non sono mai stata una ragazza magra. Fin da bambina avevo i rotolini e le gambine morbide (a mia mamma piacevano tantissimo e le mordeva in continuazione).
Da bambina non davo importanza a questo fatto perche correvo, giocavo e ridevo; a 4 anni ballavo la samba (sono brasiliana), ero una bambina moooolto felice.
Iniziai a frequentare le elementari in Brasile e lì iniziarono i miei problemi: i compagni non volevano giocare con me perché ero “grassa”; buttavano a terra la merenda che mia nonna mi preparava con tanto amore perché mi dicevano che dovevo mangiare di meno sennò scoppiavo. Mi buttavano addosso i sassi perché dicevano che su di me sarebbero rimbalzati.

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Uno spazio per me: storia di abusi e rinascita

"nessuno vuole sapere cosa indossava il mio stupratore". da http://www.oddee.com/item_99278.aspx
“nessuno vuole sapere cosa indossava il mio stupratore”.

 

Cara Eretica,
ci ho riflettuto a lungo, prima di farti questa richiesta.
Ho molta paura di chiederti di pubblicare la mia storia, ma te lo chiedo comunque: potrebbe essere utile ad altre donne. Una speranza, un messaggio per non mollare mai. Ho paura non per quello che sono, ma di essere riconosciuta: non è difficile per chi un pò mi conosce o mi ha vista 😉 Eppure tant’è, è solo una storia, la mia, e se continuo a mettere davanti la paura e il giudizio degli altri e vergognarmi per quello che sono o che è stato, non avrò mai la possibilità di andare davvero oltre.

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Appunti per il Body Liberation Front

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di Inchiostro

Io ho il petto carenato, il che vuol dire che, per metà, sono storto male.
Non è una roba brutta: in sostanza, a sinistra, ho il torace schiacciato verso l’interno e lo sterno che protende in fuori.
Non è mai stato un grosso problema, devo dire, finché qualcuno non se ne accorse. Io sapevo d’essere storto e mi andava benissimo.
Sono un ex nuotatore, ho nuotato fino ai diciannove anni, più o meno.
Quando ne avevo undici, un mio compagno di squadra mi fece notare che ero storto. Non so come successe, perché successe, o perché, fino a quel momento, nessuno se ne fosse accorto.
Fatto sta che andò così.
“Hai il petto storto?” chiese.
Niente di grave, però tutti, da quel momento, quando parlavano con me, almeno una volta, buttavano un occhio al mio petto. E alla lunga, devo dirvelo, diventa fastidioso.
Soprattutto quando passi almeno tre ore al giorno a petto nudo, e, in quelle tre ore, almeno quindici volte ti senti osservare il petto – certi sguardi te li senti addosso, non c’è una sega da fare – la tua stortezza inizia a darti fastidio.
Il mio allenatore, che non era per niente uno stupido, un giorno mi diede un soprannome. Si era accorto che la cosa mi disturbava, che iniziavo a mal sopportare gli sguardi di tutti.
Non so se sia una cosa opportuna da fare, se sia giusta o sbagliata, ma so che funzionò.
Davanti a tutti, mi chiamò freak. Disse che era il mio soprannome, il mio nome di battaglia. Gli altri divennero invidiosi perché io avevo un nome di battaglia e loro no, e io ero contento d’avere un nome di battaglia.
Poi gli chiesi “Sì, ma Luca, cosa vuol dire freak?” e lui rispose “Strano” e io “Ed è bello?” e lui “Dibbrutto!”.
Disse così, esclamò proprio dibbrutto!

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Troppo alta per essere amata

Altra storia, scritta di getto, da una ragazza che sta crescendo e che racconta a se stessa e a me/noi quanto le sia costato e quante belle speranze ripone nel suo futuro. Con un enorme augurio e un abbraccio per lei, auguro una buona lettura a voi!

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Ciao Eretica, volevo innanzitutto ringraziarti: imbattermi nel tuo blog è stata per me una salvezza, mi ha aiutata a sentirmi meno sola, ed è magnifico trovarsi in un posto virtuale così variegato e aperto, quali che siano le storie raccontate riesco a trarre un po’ di forza interiore e ispirazione. Anche se in questo momento preciso non so da dove cominciare, vorrei raccontarti la mia.

Non voglio tirarla da troppo dietro, perchè alla fine dei conti ho avuto un’infanzia tranquilla. Ero la più grande tra i bambini del mio condominio, e la più alta, penso sia per questo che a volte mi abbiano un po’ trascurata, mentre i ragazzi più grandi, non so per quale motivo, mi hanno sempre presa di mira. Non erano insulti chissà quanto molesti ripensandoci ora, tanto per dirne una prendevano in giro la mia voce esasperandone i toni, ma ricordo bene come mi facessero sentire diversa o sbagliata in qualche modo.

Quando sono passata alle scuole medie tutto è peggiorato.
I miei compagni di classe facevano già gruppo dalle elementari, di mio ero una bambina timida, da queste premesse un po’ tutt* possono immaginare come questa storia prosegue.
Io non sapevo cosa aspettarmi, ma già il fatto di non avere uno stile nel vestire, dovuto al fatto che alle elementari portavo il grembiule e non aver mai pensato alle cose “da femmine”, è stata una grave discriminante. Ero sempre la più alta, nonostante non avessi ancora avuto le mestruazioni, e questa era una colpa. Odiavo quando mia madre, o altri parenti (perchè di amici non ne avevo) mi ripetavano il detto ‘altezza mezza bellezza’, perchè proprio quell’altezza mi faceva sentire deforme. Magari a molt* sembrerà stupido, ma mi sentii morire dentro quando una volta fui costretta a comprarmi un paio di infradito nel reparto uomo, perchè i miei piedi erano comunque troppo grandi per le calzature femminili della mia età.

I ragazzi mi hanno insultata in ogni maniera, storpiando il mio cognome per farlo assomigliare al nome di una malattia, a volte dandomi calci di nascosto da sotto i banchi, quando ho mentito dicendo di avere un ragazzo hanno cominciato a chiedermi se magari aveva gli occhi di vetro, una volta mi sono pure presa pallonate reagendo agli insulti in palestra, in attesa del prof di Educazione Fisica. Ricordo un giorno particolarmente brutto in cui quasi tutti non avevano il quaderno pentagrammato per l’ora di Educazione Musicale, prestai i fogli che potevo, arrivando a ridurlo all’osso e ai fogli già scritti da me, dissi che non potevo prestarne più e me lo tolsero via, strappandolo tutto e buttandolo nel cestino. Piansi, nella completa indifferenza della professoressa che nemmeno chiese cosa fosse successo vedendomi in lacrime.
Le ragazze invece per lo più mi ignoravano, almeno finchè non davano feste tra loro e si curavano di farmi sapere che io non ero stata invitata, o mi mettevano a segnare il punteggio a pallavolo durante le ore di educazione fisica, o ridendo delle battute dei maschi.

A casa non dicevo nulla, ma i miei capirono che qualcosa non andava. Si sono chiusi a chioccia su me, perchè a quel punto per loro ero fragile. Non mi hanno mai detto di reagire, al contrario il consiglio frequente era quello di tenere duro e attendere che quel periodo passasse. Alla fine quel periodo passò per fortuna, ma non mi resi conto che avrei affrontato ben altre difficoltà proprio in famiglia.

Volevo fare pittura, era il mio chiodo fisso sin dall’asilo, ma i miei mi convinsero a frequentare un percorso di studi sperimentale per le migliori prospettive lavorative (influenzati dallo stigma che un pittore muore di fame sotto un ponte e fa la fortuna solo quando crepa), in compenso riuscire a convincerli a iscrivermi al Liceo Artistico piuttosto che a un’altra scuola fu già una gran vittoria. Quando dissi che volevo andare a pranzo da un mio compagno di classe per fare i compiti, mio padre si impuntò subito volendo conoscere il ragazzo in questione, facendosi chissà che idea. Non ho mai potuto prendere la patente per il motorino, e ora che ho la patente per la macchina non me la lasciano guidare, nonostante sia andata a tutte le gite di classe più avanti non mi è stato permesso di andare a fare una vacanza al mare con la mia comitiva. Il brutto è che ora entrambi negano ogni cosa quando capita il discorso, come se fosse tutta una mia fantasia.

Per mia fortuna più nessuno mi ha presa in giro, ho stretto qualche amicizia e l’ambiente che frequentavo era così vario che mi sentivo a mio agio, per quanto sotto sotto mi sentivo ancora sbagliata, forse anche perchè i ragazzi che mi piacevano finivano sempre per non ricambiare i miei sentimenti. Vivevo nell’idillio del principe azzurro alternativo, che prima o poi sarebbe arrivato, perchè era l’unica cosa che da quel punto di vista avevo imparato. Nonostante mi fossi aperta al mondo, ero sempre chiusa in un bozzolo che, lentamente, mi stava soffocando senza che me ne rendessi conto. In sostanza ho fatto il torto più grande che una persona possa fare a sè stessa: lasciare le redini della propria vita nelle mani altrui.

Allora non capivo che dentro di me non mi consideravo abbastanza per nessuno, preferivo rimanere così perchè non volevo stare male. Ad un certo punto ho rinunciato persino a dichiararmi a ragazzi che mi piacevano perchè ero sicura che non sarei piaciuta, e il mio primo vero crollo è stato quando all’università, dopo la fatica di superare il test d’ingresso e di dare quasi tutti gli esami del primo anno, le cose sono cambiate, precludendomi l’indirizzo che avrei voluto percorrere.

A quel punto avevo una paura folle di rimanere da sola, specie dopo che la mia comitiva si allontanò da me. A me nemmeno fecero sapere che c’era un problema e che non volevano più vedermi, si limitarono a discutere con quella che a quel tempo era la mia migliore amica. Ad oggi non so che diavolo sia successo. Da lì, questa ragazza che oggi non riesco a non definire stronza, ha tirato su mura anche intorno a me, e gliel’ho lasciato fare senza opporre resistenza.

Ho vissuto la mia prima storia importante che andavo all’università e fatto con lui le mie prime esperienze vere visto che fino ad allora ero arrivata solamente a baciare un paio di ragazzi, e in quel momento ho cominciato a intravedere quanto mi stessi facendo terra bruciata attorno con la mia codardia. La mia amica mi disse che al mio posto avrebbe aspettato a fare l’amore, che era stato troppo presto, e mi ha fatto sentire a disagio, per quanto non l’ho mai giudicata per essersi buttata in una nuova storia d’amore nemmeno due mesi dopo la fine della relazione col suo ragazzo storico. Non so se avesse qualche progetto su di me, ma dopo pochi mesi di frequentazione fra me e questo ragazzo mi ha buttata via come una cartaccia, senza nemmeno due righe di spiegazioni salvo lamentarsi una volta che dedicavo più attenzioni a lui che non a lei. È semplicemente sparita a un certo punto, tagliando i ponti all’improvviso.

Il mio ragazzo al tempo mi ha aiutata a superare il colpo, e in qualche modo ho trovato nuovi amici che mi hanno spronata a essere più indipendente e sicura, una di loro in particolare mi ha letteralmente rimesso la matita in mano, riaccendendo in me la passione per il disegno, che avevo oramai messo da parte visto che come diceva l’ex amica “Il talento o ce l’hai o non ce l’hai”, e tutto ciò nonostante l’ostracismo selvaggio che i miei continuavano a fare verso i miei viaggi e verso questa storia a distanza che non credo abbiano mai approvato.
Alla fine io e il mio ragazzo ci siamo lasciati, ma in qualche modo siamo rimasti amici, cosa che fa stranire parecchie persone… Semplicemente lui non mi amava più, ed io oramai non volevo vivere l’ennesimo fallimento emotivo. Sono stata male, più di quanto i miei attuali amici si rendano conto.

Mi sono tenuta occupata, in qualche modo sono riuscita a superarla. Nonostante tutto quello che ho raccontato fino ad ora, mi sento forte e capace. Mi guardo indietro e vedo una me stessa grigia, che non ha mai vissuto davvero, una vita anestetizzata. Non auguro a nessuno di avere scossoni simili a quelli che ho avuto io, e quando vedo che c’è gente che ha avuto esperienze più difficili delle mie arrivo a vergognarmi un po’ di averla fatta tanto lunga, ma mi sento di aver ripreso controllo della mia vita. La strada è lunga e tortuosa, quel famoso bozzolo è ancora stretto attorno a me, ma sto seguendo le mie passioni, voglio provare a vivere attivamente la mia vita. Sto concludendo i miei studi, se voglio partire mi limito ad avvisare i miei, grazie a un lavoretto posso esigere che quei due soldi che guadagno li spendo come voglio e sto costruendo dei miei progetti di vita. Voglio trasferirmi altrove, e dare tutta me stessa per realizzare i miei sogni. Di storie serie non ne voglio nemmeno sentir parlare ora come ora, sono stata tra le braccia di un amico e nonostante fosse solo sesso, giuro che non mi è mai capitato di sentirmi altrettanto libera, amata e rispettata.

Rileggo la mia storia e vedo un urlo disperato, una richiesta di essere ascoltata, ma anche un urlo liberatorio, la promessa a me stessa di non permettere mai più a nessuno di controllare la mia vita. Anche se i miei continueranno a mettermi pressione sul futuro e cercheranno di inchiodarmi a casa, anche se tutti gli insulti e le pugnalate alle spalle fanno ancora male e scavano malignamente dentro di me.
Ti ringrazio per aver letto la mia storia, anche se non ti conosco, e spero che riesca a ispirare qualcuno a non lasciarsi mai andare come ho fatto io, così come leggere le storie di questo blog mi ha aiutata a essere più indipendente e sicura.
Grazie, a tutt*.

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Quelle tre bulle che mi hanno spinto a tentare il suicidio

Avevo 12 anni, frequentavo la scuola media, ed ero vittima di bullismo. Mi avevano preso di mira tre ragazze che non facevano altro che sfottermi e dirmi cattiverie. Avevano diffuso false voci sul mio conto, perché il loro modo di ferirmi, più che fisico, era psicologico. Pettegolezzi, e altri compagni, anche maschi, che si univano a quel coro. Entravo a scuola intimidito e me ne andavo triste e con una gran voglia di piangere. A casa avevo una situazione tranquilla. Mio padre taciturno e mia madre che non faceva altro che dirmi che dovevo avere rispetto delle donne. Poi c’era mia sorella, la mia unica amica, alla quale raccontavo tutto, ma in quel momento era già all’università e non potevo parlarle di quello che mi stava succedendo.

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Volevo suicidarmi, a causa delle bulle…

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Mi hanno accerchiata, una cominciò a spintonarmi, l’altra le disse “lasciala perdere”, e si allontanarono accompagnando un fastidioso chiacchiericcio con risatine ed espressioni dispettose. Avevano più o meno dieci anni e frequentavamo la quinta elementare. Non fosse per il fatto che non avevo modo di trasferirmi avrei smesso di frequentare quella scuola e ne avrei scelta un’altra. Mia madre disse “prova a pazientare” e ogni volta che mi vedeva tornare a casa in lacrime il giorno dopo veniva ad accompagnarmi a scuola, parlava con la maestra, e quella rivolgeva un rimprovero superficiale e quando mia madre andava via tutto ricominciava come prima. Anzi peggio. Il fatto di rivolgermi a mia madre mi faceva sembrare ai loro occhi ancora più meritevole di disprezzo, perfidia, sarcasmo. Quanto male può fare una bambina di dieci anni? Moltissimo, credetemi, perché io ne sono uscita molto male, con mille insicurezze e con la convinzione di non poterci fare proprio niente. Ero senza via d’uscita e non immagino quel che deve essere la vita delle vittime di bullismo oggi, con l’uso di computer e telefonini, che permettono alle bulle di fare ancora più male all’oggetto della loro perfidia.

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Bambin* e bullismo: come si reagisce alla violenza senza fare violenza?

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Ricevo questa storia e, al solito, la condivido con voi. Questa donna chiede consigli, suggerimenti, ha bisogno di discuterne con voi. Avete delle risposte? Continua a leggere “Bambin* e bullismo: come si reagisce alla violenza senza fare violenza?”

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Bulla eri e bulla rimani (quelle che non cambiano con l’età)

Erano in tre, forse quattro, capeggiate da una stronza con i capelli biondi. Mi mortificarono per un lunghissimo tratto di strada. Quando poi arrivammo ai giardinetti una mi strappò via lo zaino, l’altra mi prese per i capelli, la capa bulla mi frantumò lo stomaco e l’orgoglio e poi mi lasciarono cadere faccia a terra sul mio vomito. Per terra c’era tutta la mia anima, fetente e piena di colori, e nel frattempo quelle mi umiliavano e urlavano frasi offensive contro di me. L’insulto ricorrente era “troia”, al secondo posto c’era “puttana” e al terzo qualcuna preferiva “negra” o “zingara” a seconda delle preferenze. La capa bulla ci teneva a riaffermare il suo potere e tenendo a posto me intimidiva un sacco di altra gente. Solo che io le tenevo testa e finché fummo grandicelle, perfino alle scuole superiori, con lei c’era un rapporto fatto di merda in faccia e sputi.

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Le bulle e la banalità del male

Sono in un luogo pubblico. In viaggio. Vedo un uomo, seduto in un angolo, chiaramente complessato, con un paio di scarpe buffe, come se si fosse appena alzato dal letto. Le donne presenti passano con una facilità impressionante dalla chiacchiera sui vari problemi che le affliggono allo sfottò di questo ignaro uomo.

Si raccontano di mille difficoltà. C’è quella che dice come in famiglia, lei-marito-duefigli, vivano con poche centinaia di euro. Un po’ di assistenza, un po’ di coda per fare la spesa in saldo, un marito disoccupato, i figli senza sogni. Pare si sia rivolta al Comune, agli assistenti sociali, e lì qualcuno le ha detto che lei avrebbe dovuto consegnarsi ai servizi sanitari perché correva il pericolo di aggravare la sua depressione. Lei tira su le spalle, scocciata, e dice che quelli là non capiscono un cazzo. A lei serve un lavoro migliore e non quello che fa per campare la famiglia con pochi euro.

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