Antiautoritarismo, Antifascismo, Antirazzismo, Antisessismo, Autodeterminazione, Critica femminista, Precarietà, R-Esistenze

L’anticapitalismo di convenienza delle missionarie del nuovo ordine femminista

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Vi ricordate il pezzo della femminista Nancy Fraser che ad un certo punto dichiarò come il femminismo, un certo femminismo, quello bianco, coloniale, ricco, che aveva deciso di non considerare la differenza di classe (e neppure di razza in verità) mentre diffondeva il verbo sulla questione della violenza sulle donne, fosse l’ancella del capitalismo? Ve la ricordate? Vi sintetizzo i punti salienti del suo discorso e anche di tante considerazioni lette e fatte dopo. Le femministe si erano concentrate troppo sulla questione della violenza domestica senza considerare gli aspetti intersezionali del problema e favorendo la diffusione di concetti neutri, perché abilmente usati dalle filo/capitaliste, al punto che la questione della violenza sulle donne diventò un brand utile a chiunque per attrarre consenso per partiti, istituzioni, governi (vi ricorda niente?), donne ricche e perfino di destra, che se ne fregavano delle rivendicazioni delle donne sull’aborto o sul diritto di cittadinanza delle migranti, ma ripetevano a memoria parole svuotate di senso giusto per legittimare paternalismo e industria del salvataggio, composta da polizie e istituzioni varie, oltreché di organizzazioni varie finanziate apposta per dedicarsi al problema anche se del problema non sapevano proprio nulla.

Per ogni volta che a queste donne, che certo esistono anche in Italia, chiedi perché mai non ascoltino le rivendicazioni delle donne che subiscono violenza, le stesse che hanno bisogno di reddito e casa per ricominciare da un’altra parte e non di istituzioni che le trascinano in un percorso forzato che terrà impegnati avvocati e giudici per anni – non si capisce a spese di chi – o di belle parole gettate al vento da parte di signore ben vestite e con il girocollo in perle che parlano nei convegni per il 25 novembre o l’otto marzo. Per ogni volta che dici che devono essere ascoltate le donne, non in quanto vittime/feticci, oggetti di Stato e usate da chiunque parli di violenza sulle donne guadagnando sulla loro pelle, ma in quanto soggetti, riconosciuti con capacità di intendere e volere ed esercitare consenso, abilità nell’uso di strumenti dedicati alla risoluzione del loro problema e capaci di inserire nella discussione punti importanti dai quali non si può prescindere. Ogni volta che dici questo ti guardano come fossi una nemica. Sempre.

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Ma imprescindibile è ascoltare le donne migranti, quelle che sono maggiormente ricattabili e che senza un permesso di soggiorno subiscono non solo le angherie di uomini che promettono e nulla danno, inclusi tutori dell’ordine che in cambio di un pezzo di carta chiedono prestazioni sessuali, ma subiscono la violenza delle istituzioni tutte che prima straparlano del bene di queste donne e poi le lasciano rinchiuse nei centri di identificazione ed espulsione e lasciano che siano deportate nei paesi dai quali erano fuggite. Imprescindibile è ascoltare l’opinione delle sex workers che, delegittimate dalle abolizioniste, bianche, occidentali e borghesi, lottano contro lo sfruttamento e presentano proprie soluzioni al problema. Si tratta di donne, biologiche o trans, che esigono ascolto quando rivendicano il diritto di veder riconosciuto il sex work, il lavoro sessuale, affinché non siano più costrette ad agire in clandestinità e dunque più esposte alla violenza.

Imprescindibile è ascoltare le donne povere, le precarie, che non hanno i soldi delle borghesi, ben vestite, che vorrebbero parlare al posto loro. Non hanno mai chiesto di essere rappresentate da altre perché sanno parlare per se stesse, e, soprattutto, non hanno mai chiesto di essere presentate, in locandine buone per sollecitare il patriarca buono che c’è in te, con lividi disegnati in tutta la faccia, perché sono donne forti e come tali si dovrebbe lasciar loro il diritto di narrarsi.

Patriarcado-y-capital-alianza-criminalLe donne migranti e le precarie, in Italia, in Europa, giusto per fare un esempio, non ricevono grande attenzione se non in termini colonialisti, da femministe, bianche e ricche, le stesse che fanno le ancelle del capitalismo esponendo le donne/vittime, con lividi, nel libero mercato dell’industria del salvataggio; più lividi hanno e più si vendono bene le organizzazioni, i governi, le carriere politiche o quelle delle professioniste del vittimismo, i profitti dei media, di ogni business che si scopre improvvisamente dalla parte delle donne per ricavare un utile sulla pelle delle donne. Il corpo delle donne è usato tanto dai fascisti (“non toccate le NOSTRE donne”), da razzisti che vogliono l’estromissione di culture e popoli altri dalla faccia della terra (“dove sono le femministe” quando servono ai maschilisti?!?!), e poi dalle borghesi che prima che il femminismo hanno deciso di interpretare la caritatevole e coloniale opera di missionariato, il cui contesto è governato da un pretame sparso, uomini paternalisti, di Stato o anche no, che godono all’idea di ridiventare cavalieri medioevali.

Le missionarie, al seguito di grandi eserciti che portano – con le bombe – la libertà nei mondi “incivili”, partecipano attivamente alle lotte contro le donne che portano il velo, contro le donne che vendono servizi sessuali, contro le donne che prestano l’utero per dare figli a coppie etero, lesbiche o gay, che, insomma, interpretano l’idea di autodeterminazione delle donne non immaginando di trovarsi queste signore ad opporsi alle loro libere scelte. E’ una versione angusta, claustrofobica, di femminismo dogmatico, normativo, autoritario, decisamente autoritario, che non vede, per ciascuna di noi, altra libertà che non sia quella prospettata da loro. E’ tutto un dire che “l’utero e tuo ma lo gestisco io”, “il corpo è tuo ma lo gestisco io”, “puoi fare quello che vuoi, W l’autodeterminazione, finché lo dico io”. Dopodiché quel che non rientra nella loro linea autoritaria viene patologizzato (sei malata!), criminalizzato (sei pericolosa per le donne!), delegittimato (tu lavori per i maschilisti!), e dunque silenziato.

images3Le “femministe missionarie colonialiste”, praticamente, lottano contro le donne che non la pensano come loro. Mai misoginia fu più esplicita. Ma fu più esplicito l’odio, miserabile, nei confronti di donne che non ci stanno ad essere rappresentate dalle anticapitaliste dell’ultima ora. E già. Perché – e qui arriva il piatto forte – quelle che Nancy Fraser descriveva come ancelle del capitalismo si sono riciclate in “anticapitaliste d’occasione” che tollerano qualunque forma di precariato, lo smantellamento di ogni diritto sociale, la privatizzazione, con aumento dei costi, di istruzione e sanità, e, ancora, tollerano ogni tipo di servitù, degli uomini e delle donne, ogni sacca di povertà per loro è pressoché invisibile, e delle migranti o povere si dice che bisogna “aiutarle in casa loro”. Quelle che si chiamavano ancelle del capitalismo oggi parlano di anticapitalismo senza saperne niente. L’anticapitalismo delle moraliste, ricche, borghesi, bianche, occidentali, rivolto sempre alle donne dei paesi poveri che vengono usate, in una narrazione tossica, come pretesto e tirate in ballo, pur sapendo che hanno voce e che si esprimono con proprie rivendicazione da esse ignorate, per delegittimare rivendicazioni di donne autodeterminate che stanno in Italia, in Europa, nel mondo occidentale o anche no, perché la teoria secondo cui solo noi occidentali siamo “libere” è già di per se’ un’idea razzista e colonialista. E’ un anticapitalismo fasullo, privo della capacità di valutare le questioni in termini realmente intersezionali e usato esattamente come, per esempio, in Italia usano ora (decisamente a muzzo!) la parola femminicidio.

Mi è diventata anticapitalista perfino l’ultima delle neoliberiste. Il neocolonialismo è spacciato per anticapitalismo. L’autoritarismo viene spacciato per lotta di classe. E, a meno che non avete studiato l’anticapitalismo dai nazional socialisti, fascisti o “comunisti” di quel tempo che fu, non importa, direi che non si può declinare imponendo a tutti la regola di rinunciare alla propria autodeterminazione per donare il corpo e la propria vita al servizio della nazione. Se una donna non vuole prestare l’utero, abortire, vendere servizi sessuali, è chiaro che deve poterlo fare e deve avere delle alternative valide. Se invece vuole fare tutto questo nessuno dovrebbe avere il diritto di vietare alcunché. A questo punto arrivano le autoritarie, neo-anticapitaliste per il bene del corpo/stato/nazione, che tirano fuori le viscere delle donne massacrate, esattamente usando gli stessi effetti speciali sfruttati per colpire le molle emotive di chi poi sborserà attenzione e soldi “per le donne che subiscono violenza”. Le neo-anticapitaliste ti diranno che praticare la Gestazione per Altri è come vendere un organo (maddeché) e che chi vende servizi sessuali vende tutto il corpo. Inutile dire che l’immagine di uno che va in giro con l’utero di una donna, dopo averglielo sottratto, o qualcuno che va in giro con tutto il corpo di una sex worker, è piuttosto raccapricciante oltreché imbecille e mistificatoria. E oltretutto, dato che quel che si paga della GpA sono le spese mediche, se continuiamo di questo passo sarà dichiarato contrario all’anticapitalismo anche il pagamento dell’ecografia, o di un intervento chirurgico al cuore, la chemioterapia che ingrassa le aziende farmaceutiche, le cure psichiatriche e l’acquisto di psicofarmaci per le donne che soffrono di depressione (attente a voi a non alimentare il capitalismo!), l’assistenza di un dentista, le cure della ginecologa. Chissà se tra qualche anno sarà ancora possibile usare un po’ di mascara e andare dal parrucchiere senza sentirsi dare delle capitaliste di merda che finanziano l’industria cosmetica.

appello-antiliberista-anticapitalistaAllora esaminiamo l’anticapitalismo delle nostre missionarie femministe: nulla a che fare con la rinuncia al copyright dei loro libri. Invece va così: se porti il velo, vendi servizi sessuali, presti l’utero, sei una favorevole al capitalismo. Se fai la badante, la balia, la colf, nelle loro lussuose case, consentendo loro di andare in giro a dire tante sciocchezze; se fai l’operaia, l’operatrice di un call center, l’impiegata in nero, la commessa, non sei favorevole al capitalismo. Di lavoro si vive solo per i lavori che loro giudicano okay ponendo un bollino blu, di autorizzazione della santa commissione missionaria. Se quei lavori non superano l’esame delle signore ben vestite allora tu sei una “schiava” e non importa supportare le tue rivendicazioni per migliori condizioni contrattuali. A ben vedere la questione si riduce in questo: l’anticapitalismo di oggi è moralista, anche islamofobo, oltre che omo/transofobo (perché la trans, secondo alcune, non è una donna e gli stranieri comunque sarebbero tutti “stupratori”!), è favorevole alla famiglia etero-normata, contrario alle coppie omosessuali con figli, contro il lavoro delle donne che espongono troppa carne, vendono servizi sessuali, contro l’autodeterminazione delle donne, per l’uso dei corpi delle donne solo per quel che dicono le missionarie. Sostanzialmente si tratta di gente uscita fuori direttamente dalle piazze del family day che oggi parla di anticapitalismo senza averci capito nulla di nulla.

Protesta contro la legge sul divieto del velo. <a href="https://www.opendemocracy.net/transformation/kristin-aune/is-secularism-bad-for-women"Fonte
Protesta contro la legge sul divieto di indossare il velo.

Sarebbe da dire a queste donne, che hanno più in comune con ben altra gente che con le femministe come me; sarebbe da dire che dovrebbero smettere di usare il femminismo per legittimare argomenti reazionari e di destra. La deriva è già preoccupante e sufficientemente inquisitoria così. A meno che ‘ste donne non ritengano che femminismo vuol dire ottenere la parità nella gestione della forca e del banco inquisitorio, non vedo come quel che dicono possa essere affine alle donne che vorrebbero “salvare” e di cui straparlano.

L’anticapitalismo, quello vero, non criminalizza chi lavora, qualunque sia la condizione in cui lo fanno. Non dichiara fuorilegge il loro lavoro. Non sanziona chi compra il prodotto realizzato nella fabbrica. Non penalizza chi affitta i locali in cui il lavoro si svolge. Non inventa ordinanze contrarie al lavoro rinviandolo in zone lontane dalle città. Non criminalizza né i sindacati né chi aiuta i lavoratori dando voce alle loro rivendicazioni. Non fa queste cose perché quella è la lingua del privilegiat@ (di chi non deve lavorare per vivere?), e non di chi lavora e lotta per il riconoscimento di fondamentali diritti: il valore del suo lavoro, orari decenti, sicurezza nel lavoro e una giusta retribuzione.

L’anticapitalismo, vero, non pretende la chiusura le fabbriche per “salvare e aiutare gli operai, contro la mercificazione del loro corpo, cervello, braccia, gambe, contro il loro sfruttamento”. Non si sostituisce alla voce degli operai, giacché li considera soggetto politico e non oggetto di salvataggio da parte dei ricconi. Allo stesso modo l’anticapitalismo vero, per fortuna, non colpevolizza e non criminalizza le donne che chiedono una giusta retribuzione e dunque che guadagnano, lavorando, qualunque sia il lavoro che decidono o sono obbligate a svolgere. Non disconosce i sindacati delle sex workers, così come fanno le “femministe” abolizioniste che amano parlare, dal pulpito, a tutte le donne per farle convertire al loro dogma. Non delegittima la voce delle lavoratrici sessuali, ma la amplifica, la valorizza, considerando le sex workers un soggetto politico a tutti gli effetti e non un oggetto di chi le consegna alle polizie repressive, alle politiche carcerarie, con il pretesto dei salvataggi.

Nel caso in cui loro stesse affermano di essere sfruttate serve davvero una politica che offra opportunità e reddito. Serve ascoltare quali siano le soluzioni che loro stesse suggeriscono, riconoscendo piena soggettività alle persone delle quali si pretende di parlare. Loro il problema e loro le rivendicazioni e le soluzioni. Se scelgono liberamente, nessuna mai può sostituirsi a loro per plasmarle secondo un modello di vita che non riguarda loro ma riguarda, solo, quelle che amano dettare legge sui corpi altrui. Perciò addio a quelle che praticano appropriazione e colonizzazione culturale. Non avete nulla da insegnarci. Potete giusto far colpo su persone non alfabetizzate, un po’ come quando i civilissimi colonizzatori europei fregarono, con un gioco di specchi luminosi, risorse e autonomia, oltre che sovranità territoriale, agli indigeni di altre terre occupate violentemente. Le donne non sono territorio che può essere privato di sovranità e diritto all’autodeterminazione. Il corpo è mio e lo gestisco io non è solo uno slogan ma una filosofia di vita che costa tanto a chi la applica su se stessa. Costa tanto, a partire dal prezzo che le altre donne, quelle che vorrebbero obbligarti a fare scelte non tue, ti fanno pagare. Un po’ come quando paghi una tassa a chi ti dice che hai bisogno di protezione. A chi, di fatto, crea un mercato, impone un’offerta, strumentalizzando e speculando su una domanda d’altro tipo, e sponsorizza e legittima l’industria del salvataggio, la quale esige – per mostrare la propria utilità e per essere finanziata – corpi morti, vittime, volti tumefatti. Perché quell’industria lì, credetemi, esige tutt’altro che donne autodeterminate. Ecco tutto.

Con amore,
Eretica

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9 pensieri su “L’anticapitalismo di convenienza delle missionarie del nuovo ordine femminista”

  1. Cara Eretica,
    mi permetto di far notare quella che potrebbe sembrare una contraddizione. Scrivi che “quel che si paga della GpA sono le spese mediche”, ma poi dici “Se una donna non vuole prestare l’utero, abortire, vendere servizi sessuali, è chiaro che deve poterlo fare e deve avere delle alternative valide. Se invece vuole fare tutto questo nessuno dovrebbe avere il diritto di vietare alcunché.”, facendo quindi intendere che prestare l’utero sia assimilabile a un lavoro. Premesso che per me non c’è nessun problema e sono d’accordo che bisogna focalizzarsi sui diritti del lavoro e non sul tipo di lavoro, questa lista di benefit (link sotto) mi fa effettivamente pensare che la gravidanza per altri sia assimilabile in tutto e per tutto a un lavoro.

    Fai clic per accedere a Sample-BP-for-GG_Website_20151113.pdf

    1. ops! leggendo meglio mi sono reso conto che la frase “Se una donna non vuole ….” non implica necessariamente che prestare l’utero sia inteso come un lavoro.
      Resta comunque la questione dei benefit.

      1. ecco 🙂 appunto. mi sembrava una domanda mal posta.

        quelli che chiami benefit sono spese mediche. se una coppia etero fa un figlio con la procreazione medicalmente assistita paga la clinica, i trattamenti, deve sostenere spese per la persona che viene assistita. negli stati uniti e in canada ci sono regole precise: la donna che fa la gpa deve avere figli, una situazione economicamente stabile, deve essere psicologicamente a posto e solo dopo aver superato tutti sti controlli viene presa in considerazione l’idea di farle praticare la gpa. i genitori futuri sosperranno le spese mediche, pagheranno la clinica e c’è una quota, non alta, che viene data alla donna per coprire le spese mediche post parto e via così. in alcuni casi le donne ricevono più soldi ma a prescindere dal fatto che lo considerino un lavoro o meno quello che io sostengo è che, se fai anticapitalismo, tutto puoi dire meno che opporti alla retribuzione. è un paradosso.

        1. ok, ovviamente una società seria fa uno screening psicologico completo prima di accettare (spero che ciò sia imposto per legge). Poi però il diavolo è nei dettagli, per esempio, cosa definisce una condizione economica stabile? A vedere la lista dei benefit che ho messo in allegato, la compensazione non è trascurabile, circa 25mila/30mila come base, più altro. E’ una bella cifra. E ne sono contento! Anzi, secondo me dovrebbero dare di più.
          Quello che non capisco è perchè continuare a sminuire questo pagamento e a non chimarlo per quello che è. E’ un servizio, costa fatica e si ricorrono dei rischi. Va pagato, punto e basta, e anche bene.
          Altra cosa è la GpA volontaria, che secondo il link qui sotto prevede solo le spese mediche (a quanto pare questa pratica è ammessa in UK, ma non quella commerciale). Questa confusione tra GpA volontaria e commerciale non mi sembra favorisca il dibattito.
          http://www.independent.co.uk/news/uk/home-news/revealed-surrogate-births-hit-record-high-as-couples-flock-abroad-9162834.html
          “In Britain, surrogacy is legal only if it is done for altruistic reasons – for example, as a favour to a friend or relative – and the only acceptable payment is “reasonable expenses”. This means most prospective parents turn to foreign markets to pay for someone who will carry out the pregnancy.”

          1. ma infatti io non giudico quelle che si fanno pagare. 🙂
            io dico che il neo-anticapitalismo è veramente osceno se se la prende con le donne per la retribuzione.
            ma è nei fatti che ci siano donne che vengono prese in cura, rimborsate per le spese mediche, con una cifra ulteriore che è minima. in canada è comunque gratis. paghi la clinica e il rimborso spese, con tutto quello che serve alle donne per quei 9 mesi, oltre a quel che serve prima e anche dopo.

        2. PS: non li chiamo io benefit, sono chiamati così dalla società che gestisce la GpA, vedi link:

          Fai clic per accedere a Sample-BP-for-GG_Website_20151113.pdf

          Qui invece si usano i termini “benefit”, “compensation” e “fee”. Qui dice che si può arrivare a guadagnare fino a 50mila $.
          http://www.circlesurrogacy.com/surrogates/how-much-do-surrogates-get-paid
          La questione spese medica, viene trattata a parte. Le spese mediche sono coperte dall’assicurazione:
          http://www.circlesurrogacy.com/surrogates/surrogates-payment-faqs

          Per quanto riguarda la stabilità economica, qui dice che non bisogna ricevere sussidi dallo stato:
          http://www.circlesurrogacy.com/surrogates/surrogates-requirements-faqs
          Il che può aver senso, anche se mi pare una clausola per evitare le critiche dei benpensanti.
          D’altra parte chi non si può permettere di spendere tanto può sempre andare in India.. o forse non più con le nuove leggi. Comunque pare che lì la GpA rappresenti un importante fonte di reditto:
          http://www.bbc.co.uk/news/world-asia-india-34876458

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