Update, approfondimento da leggere: Cos’è la donna? La disputa tra femminismo radicale e transgenderismo!
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Lo chiamano Trans-exclusionary radical feminism. E’ quell’area di femminismo radicale caratterizzata da transfobia e transmisoginia. Provo a fare una sintesi e poi vedrò di proporre altri approfondimenti.
Si dice che nel 1980 una femminista radicale transofoba abbia scritto la relazione di governo che portò alla revoca delle cure mediche per persone trans a carico dell’assistenza sanitaria. Dopo un po’ anche la sanità privata che funziona con l’assicurazione seguì quell’esempio. (Perciò se volevi accedere a quelle specifiche cure dovevi pagare).
Il femminismo radicale trans-escludente (o TERF) è un sottogruppo del femminismo radicale caratterizzato da transfobia, soprattutto da transmisoginia, e dall’ostilità nei confronti del femminismo della terza ondata. Loro credono che le uniche donne “reali” siano quelle nate con cromosomi XX e vagina. Vorrebbero perciò fare rispettare il classico orientamento binario sostenendo l’essenzialismo di genere.
L’acronimo TERF non viene usato da queste donne che lo considerano un insulto, perché credono di essere delle femministe radicali perfettamente ragionevoli (anzi ritengono che quello che praticano loro sarebbe l’unica cosa che dovrebbe chiamarsi “femminismo”). Altre femministe, quelle della seconda ondata, femministe lesbiche, movimenti politici glbt, si sono espressi abbondantemente contro la transfobia e la transmisoginia al loro interno.
Le TERF sono un sottoinsieme femminista ma eccessivamente influente: i legislatori favoriscono l’accesso della TERF accademica che troverà un modo per legittimare e proporre norme transofobe nelle leggi.
Le RadFems transfobiche sembrano respingere universalmente il concetto secondo cui le cisgender abbiano privilegi e lo stesso termine “cisgender” viene d’altronde considerato superfluo e da sostituire con un più offensivo “le donne nate donne”. In altre parole le TERF rifiutano qualunque cosa sia diverso da quel che è previsto dalla biologia al punto tale da ridefinire il proprio movimento (femminista) secondo un concetto che suona pressappoco così: “il movimento delle donne che liberano altre donne dall’oppressione, dove la realtà biologica delle donne è un aspetto che definisce l’esperienza stessa dell’oppressione delle donne”. Vale a dire che basta essere nate donne, in senso biologico, per essere considerate “oppresse”, senza che vi sia una analisi intersezionale della faccenda. Ogni donna, biologicamente intesa, incluse le ricche, le bianche, le privilegiate, le potenti, sarebbero “oppresse”.
Il femminismo accademico radicale, quando si riferisce alle persone trans, si fonda sull’idea che il genere è una costruzione sociale e che tale costruzione sociale vada sempre e comunque distrutta. Alcune persone transgender spiegano invece che è pur vero che il genere sia una costruzione sociale ma che essere trans non dipende da quello. Il genere deriva anche da altro e tanto può essere incomprensibile a chi ha realizzato la propria politica basandosi soltanto su una concezione binaria.
Come spesso succede quando l’ideologia si scontra con il vissuto delle persone però le ideologhe rispondono continuando ad appiattire la discussione su quello in cui loro credono. Le persone e le loro singole esperienze spariscono. L’ascolto viene meno. Perciò esiste una ricca corrente di bigottismo anti/trans che comunque resta alla radice del pensiero femminista radicale a proposito delle questioni di genere e del transgenderismo in generale.
Curiose sono le giustificazioni di alcune tra loro che dicono che “io non sono transfobica, io sono trans/critica” e attraverso queste giustificazioni alimentano il pregiudizio secondo cui tutta la storia delle persone transgender (senza considerare quello che le persone interessate e citate sanno di se stessi e della propria identità trans, senza neppure considerare quel che dicono i medici a proposito della disforia di genere) si riduce al fatto che le donne trans sarebbero soltanto “uomini effeminati” effeminati dal genere binario patriarcale a dover ottenere per forza lo status di “donne” (mentre gli uomini trans, ovvero quelli che biologicamente e di nascita erano donne, sarebbero solo “donne” che cercano di rivendicare per se stesse il “privilegio maschile” negando la propria origine biologica.
Così le TERF schiacciano le persone trans in quella categoria che “reifica il codice binario”. Considerando che la popolazione transgender è veramente numerosa, accusare la comunità transgender di reificare un costrutto oppressivo è palesemente assurdo e questo è evidente a chiunque. Questo riferimento diventa ancora più pesantemente offensivo per le persone transgender che non incarnano gli stereotipi dei loro generi adottati: le donne trans lesbiche, per esempio, respinte come fossero uomini che hanno usato una transizione al solo scopo di infiltrarsi negli spazi separatisti di donne.
Cathy Brennan, per esempio, dice letteralmente che:
“le transgender donne sono uomini che usano una apparenza femminile artificialmente costruita per esercitare il dominio del patriarcato all’interno del movimento femminista e che ci crediate o no per ottenere anche l’accesso ai bagni di donne così da poterle stuprare”.
Così lei e altre TERF pensano che le donne trans sono uomini e credono inoltre che gli uomini sono degli “animali”, delle “bestie” di fatto che non hanno la possibilità di controllare se stessi. Queste donne credono davvero a queste ipotesi e nessuno argomento logico può essere fatto per mettere in discussione il loro credo. Anzi loro confermano, puntualmente, in modo gretto e ottuso, queste loro particolari teorie immaginando perfino di fornire elementi di prova a legittimazione della loro ignoranza. Tra l’altro questi argomenti sono davvero poco logici perché, per esempio, ragionando di violenza sulle donne, loro prendono per buone le stesse ragioni usate dai maschilisti quando dicono che la violenza non sarebbe un atto volontario, dunque e cattive azioni degli uomini non sarebbero da biasimare perché sarebbero frutto dei loro “istinti”. E non importa alle TERF neppure raccontare quanto invece le stesse donne trans siano vittime di umiliazioni e violenze. A loro non interessa.
Le TERF, poi, detestano la terza ondata del femminismo. Per una serie di ragioni, in parte per il loro autoritarismo, in parte per la loro miopia demografica, e in parte perché rappresentano l’esempio concreto di come possa dirsi esatto lo stereotipo che i maschilisti adoperano per definire tutte le femministe, questo particolare gruppo di femministe radicali è stato sonoramente bocciato dalle stesse donne che dicono di voler rappresentare, tra le quali: le donne nere, le sex workers, le kinksters, quelle che agiscono in movimenti misti, e ogni altra femminista che è arrivata, per fortuna, dopo di loro. Questo è dovuto alla loro riluttanza e incapacità a comprendere l’intersezionalità.
Le TERF sembrano anzi essere profondamente risentite dal fatto che il femminismo della terza ondata avrebbe preso le migliori idee del femminismo passato – la consapevolezza e la lotta contro le strutture patriarcali e la cultura dello stupro, la lotta per i diritti riproduttivi e la salute delle donne – per portarle avanti, lasciando però indietro il dogmatismo e il pensiero unico, autoritario, da imporre a tutte, quella teorizzazione fanatica che ha reso la maggior parte dei risultati ottenuti attaccabili e quasi irrilevanti.
Per i/le sex workers il motivo del rigetto per tale forma di femminismo è, in gran parte, perché anche se molti/e sex workers sono sfruttat*, in special modo nei paesi in via di sviluppo e dove resiste una forte cultura machista, non tutti/e però lo sono e alcuni/e vogliono esercitare quella professione liberamente, sicché trovano che confondere tutto il lavoro sessuale con la schiavitù sia offensivo per quelle che schiave non sono affatto. Le persone che si occupano di educazione sessuale sono in genere d’accordo con i/le sex workers e spiegano come le femministe radicali neghino la capacità di agency, la libertà di scelta delle persone che devono avere il diritto a cercare e rintracciare il piacere ovunque preferiscono. Questa negazione praticata dalle femministe radicali, secondo questi educatori, nasconde in realtà un gran puritanesimo che sottostà ai concetti espresso come fosse una falsa coscienza.
Se nel 1980 le idee TERF erano considerate il caposaldo assoluto della solidità ideologica non si capisce che nel 2014 sono recepite come fonte di un bigottismo odioso. Talmente odioso che non sembra strano a chi le critica come le femministe radicali si siano perfino trovate bene a collaborare con autoritarismi vari che includono perfino la destra religiosa. Un esempio notevole di questo comportamento è stata la collaborazione di Cathy Brennan con il Pacific Justice Institute al fine di mortificare una donna trans che ha, tra l’altro, subito anche delle minacce di morte. La Brennan è stata perfino portavoce dei gruppo transofobo. Un altro esempio degno di nota è dato da Sheila Jeffreys che era perfettamente in linea con la “destra radicale” per quanto riguardava la legislazione transgender.
La loro retorica transofoba deve anche molto all’omofobia destrorsa, per gli argomenti, ragionando come se l’omosessualità fosse una scelta più ideologica a chissà quale scopo. Quando, per esempio, la Jeffreys notò che il meeting RadFem2012 fu annullato e quel gruppo etichettato come gruppo d’odio, lei disse che:
la critica della pratica del transgenderismo era stata censurata a causa di una campagna di denigrazione da parte di attivist* transgender che si scagliano contro chi non accetta la loro ortodossia su quel tema.
La parte in grassetto è stranamente simile a quello che la destra radicale ha detto a proposito dell’omosessualità: in particolare, somiglia ad un concetto espresso dal neo-nazista Paul Fromm. La sintesi, motivo anche di tanta persecuzione subita dalle persone trans, è che il transgenderismo viene inteso come scelta invece che la definizione di quello che una persona è.
Inoltre le TERF hanno sostenuto l’idea della terapia riparativa per le persone transgender. Janice Raymond nel suo Technology on the Social and Ethical Aspects of Transsexual Surgery ha scritto:
La consulenza nonsexist è un’altra direzione per il cambiamento che deve essere esplorata. Il tipo di consulenza usata per “passare” con successo al maschile o al femminile che ormai regna nelle cliniche che operano nel campo delle identità di genere rafforza solamente il problema del transessualismo. Non fa nulla per sviluppare la consapevolezza critica, e rende transessuali indipendentemente dalla questione medica/scientifica. Quello che io sostengo è una consulenza che esplora le origini sociali del problema transessuale e le conseguenze delle soluzioni tecnico/mediche.
Questa è esattamente la stessa retorica usata dalla National Association for Research and Therapy of Homosexuality (NARTH), un gruppo anti/glbt che parla di lobby della terapia riparativa.
In generale però è chiaro che il problema non è solo in chi porta il messaggio ma è il messaggio stesso. Dato che le TERF scadono troppo spesso in definizioni familiarissime che ricordano il negazionismo e altre posizioni simili. Il problema è anche che ci sono persone accreditate, femministe radicali accademiche e altri, che hanno totale familiarità con questi concetti pur rifiutando la definizione di TERF.
Ps: a proposito di Cathy Brennan, nel 2012 Oakland Occupy Patriarchy organizza una manifestazione di protesta contro le violenze della polizia subite dalle sex workers. La Brennan disse che bisognava chiamare l’FBI.
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