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#Swerf: femministe radicali sex workers escludenti (No #Puttanofobia!)

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SWERF: E’ l’acronimo di “Sex Worker Exclusionary Radical Feminist” (femminista radicale sex worker escludente). Una persona si professa femminista, ma che non crede che le donne impegnate in qualsiasi forma di prostituzione volontaria dovrebbero essere incluse tra le femministe e nella lotta per l’uguaglianza. In genere viaggiano accanto alle Terf, femministe radicali trans escludenti, giacché sono tante le trans che si dedicano alla prostituzione.

Vi traduco alcune parti che possano chiarirvi il fenomeno: a partire da questo Link (every day whorephobia – ogni giorno puttanofobia).

SWerfs/Terfs, la Westboro Baptist Church del femminismo

Swerf = femministe radicali sex worker escludenti e TERF = femministe radicali trans escludenti. Vanno di pari passo.

A parte alcune voci di religiosi che si oppongono alle sex workers, come Bindel e Burchill nel Regno Unito, poi ci sono persone come Dworkin, Brennan, Farley, tra le altre, che si definiscono femministe radicali. Sorvolo sul fatto che possano essere considerate da altri come femministe e mi soffermo sul termine “radicale” che mi intriga parecchio. Dal 1960 molti contributi sociali sono stati condivisi da gruppi contro/culturali, si sono realizzate delle reti tra le organizzazioni che si oppongono alla narrazione dominante del capitalismo occidentale e ai valori eteronormativi. Abbiamo visto questo anche nelle iniziative di Occupy, dove molti gruppi diversi, con diverse motivazioni di partenza, si sono sentiti uniti da obiettivi più importanti rispetto alle ragioni che li tenevano separati. Non possiamo sfuggire la storia, e la terza generazione che segue al 1960 scende in strada dopo aver assorbito culture e lotte che vengono definite “radicali”.

Il fatto è, però, che tra questi cosiddetti gruppi spiccano le femministe radicali che risultano essere conservatrici reazionarie estreme al punto tale che le loro rivendicazioni sarebbero certamente approvate dal Papa in persona.

Ci sono donne che vengono licenziate se non accettano di farsi eiaculare sul viso. In questo caso parliamo di molestia sessuale e siamo d’accordo sul fatto che bisogna opporsi ad essa. Ma se assumiamo un atteggiamento di rifiuto moralista rispetto ad altre donne che invece preferiscono farsi eiaculare in faccia e vediamo quell’azione come disgustosa universalmente allora non siamo d’accordo. Il Bdsm, il sesso di gruppo, il sesso anale, la bisessualità, la pansessualità, quasi ogni atto sessuale che il Grande e Santo Padre avrebbe pubblicamente disapprovato è disapprovato dalle femministe radicali. E questo ancora prima di arrivare alla disapprovazione delle audaci donne che fanno soldi vendendo servizi sessuali e sfidano l’idea patriarcale secondo cui gli uomini siano guardiani della sessualità femminile.

Perché allora costoro insistono nel chiamarsi “radicali”? Perché, se il vostro preciso atteggiamento nei confronti del porno, per esempio, è quello di vietarlo, quando il vostro atteggiamento verso il sesso vi porta a preferire solo quello fatto a luci spente e ma con gli atti che non potrebbero essere approvati in sede papale? Perché, se le vostre opinioni non fanno che rafforzare l’idea che tra prostituta e madonna vi sia una spaccatura. Come fate a definirvi “radicali”?

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Torno all’inizio del ragionamento e consiglio di provare a guardare il mondo attraverso gli occhi della Westboro Baptist Church. Il mondo è molto più complesso di quanto non fosse 50 anni fa, soprattutto quando si parla di sesso. Libri come The happy hooker possono sembrare come anticipatori della cultura di oggi, ma in generale è stato assunto un atteggiamento più aperto che comprende quanto il sesso, le relazioni, la sessualità, siano più attinenti alle scelte delle singole persone. Viviamo in un mondo in cui il partito conservatore approva una legge sul matrimonio tra persone dello stesso sesso e milioni di donne nutrono fantasie sessuali a proposito di Mister Grey. Non gradire alcune forme di sesso va bene, non voler fare sesso nel modo X, Y o Z è diritto di ogni essere umano. Tuttavia se esiste chi ama pratiche particolari, immaginando che altri potrebbero trovarle moralmente sbagliate, non è questo conflitto tra differenti desideri che può essere regolati attraverso una legge e la politica.

Le femministe radicali stanno tra l’incudine e il martello, volendo definirsi radicali, giacché la storia dice che questo significa stare dalla parte del bene, sebbene le loro opinioni le rappresentino come tutt’altro. Così, guardandosi intorno, ricavano teorie estreme e paradossali che confondono radicalismo con fanatismo. Se l’OMS e l’UNAIDS sono per la depenalizzazione della prostituzione, si capisce che opporsi a questo parrebbe essere un atteggiamento sostenuto in modo diffuso, anzi, sulla negazioni dei diritti delle prostitute si realizza una specie di scopo, un obiettivo, al quale le persone sedicenti “radicali”, ma disperate, si aggrappano.  La loro maniera di esporre la questione è frutto di una mistificazione. Esse dicono: guarda come piangono, le vittime, e io non sono noiosa e convenzionale, la mia è una visione veramente radicale!

Questo è il focus dei loro interventi che puntano ad un obiettivo: ovvero a far pensare che le valutazioni su alcuni temi debbano passare attraverso la loro approvazione. Così le vedi a sostenere le proprie tesi, a ripetere le loro teorie nelle loro conferenze, a scriverne nei loro blog, raccontando al mondo che quello si che è femminismo radicale. Il che ci porta, in realtà, a individuare in quell’atteggiamento dogmatico, le stesse pratiche della Westboro Baptist Church. Se avete seguito il discorso fino ad ora sono cert@ che sarete in grado di vedere le analogie e i parallelismi tra i due contesti.

La Westboro Baptist Church prende una citazione della Bibbia, la decontestualizzano, e la interpretano male. Una delle loro più frequenti affermazioni si riferisce al fatto che ritengono di essere i veri, unici, cristiani. I più cristiani che pensano di essere ingiustamente estromessi e sconfessati da gruppi non cristiani. La loro fede si rinforza attraverso la convinzione che loro sarebbero una minoranza perseguitata che conosce la verità vera sulle umane e celesti cose. Per la WBC il loro credo è l’unico a poter rappresentare e formare i veri e unici cristiani.

Per le femministe radicali si intende che giacché ritengono di essere radicali e contro/culturali, loro sarebbero le uniche e vere femministe. Entrambi i gruppi (femrad e WBC) rifiutano di ascoltare gli altri  che interpretano differentemente le “dottrine”, hanno pochi contatti con chi resta al di fuori dall’area del proprio culto e entrambi i gruppi rispondono con violenza, rabbia e odio come chi realizza pareti solide per tenere fuori chi potrebbe farli cambiare in senso progressista.

Ed eccoci all’altro aspetto citato nel titolo (sulle terf). Alcune persone sono transfobiche per paura del diverso e ignoranza. Non è però cosa accettabile ma come molte forme di pregiudizio la transfobia può essere affrontata e risolta attraverso l’educazione. Questo però non è il caso di alcune femministe radicali (e questo rafforza la mia tesi secondo cui sono in realtà conservatrici che tentano di non farsi vedere in quanto tali).

untitledLa veemenza attraverso cui certe femrad si scagliano contro le donne trans, per puro attaccamento al dogma, per fedeltà ad una credenza che vorrebbero centrale rispetto al più universale culto, mi ricorda i picchetti della WBC nel corso di funerali in cui viene distinto, in senso transofobo, il differente sesso, uomini o donne, dei morti. Molti cristiani sono omofobi, ma solo la WBC ha reso l’omofobia la pietra angolare della loro fede. Allo stesso modo le femministe radicali hanno confuso il loro estremismo (fanatico) per radicalismo. I/le sex workers e le persone trans muoiono a causa dello stigma che viene loro attribuito, ed è il momento, per tutte le persone che si oppongono al fanatismo e al pregiudizio puttanofobo e transofobo, di sollevarsi contro esso. Non ci può essere alcun compromesso. Così come ci sono gruppi meravigliosi, come gli Hells Angels a conforto dei genitori che ora gli si rivolgono per farsi proteggere dai picchetti – durante i funerali di persone trans, gay o lesbiche – di WBC, abbiamo bisogno ora di persone alleate che blocchino le terfs e le swerfs, giacché sono loro che non permettono alla voce di sex workers e trans di essere ascoltate, bisogna opporsi alle loro riunioni e sfidare le loro credenze. Solo escludendoli si può mostrare di essere dalla parte delle persone oppresse ed emarginate.

Ancora sulle Swerf: femministe radicali sex workers escludenti

Il femminismo radicale sex workers escludente (anche conosciuto come SWERF) è un altra faccia del femminismo, ovvero quella che si oppone alla partecipazione delle donne nella pornografia e nella prostituzione. Il termine è stato coniato per riconoscere una derivazione delle TERF (femminismo radicale trans escludente), giacché le loro appartenenze corrispondono. La loro ideologia resta sempre nell’area di quelle che hanno un approccio fortemente normativo e prescrittivo al femminismo, cioè, praticamente, dicono alle donne che cosa devono fare – se si parla delle TERFs inibiscono il genere trans, se si parla delle SWERFs inibiscono le scelte che hanno a che fare con la sessualità.
Le SWERFs dovrebbero opporsi (o dicono di opporsi) all’uso e allo sfruttamento delle donne nella pornografia e nell’industria del sesso, riferendosi a violenze e abusi dei quali alcun* prostitut* sfruttat* soffrono. Ma com’era prevedibile, vanno in giro e riversare odio contro i/le sex workers che scelgono la loro professione liberamente, al contrario di quel che fanno le vittime di tratta. Questo tipo di bullismo e di oppressione è conosciuto come whorephobia (puttanofobia).

Proseguo con la traduzione di un pezzo di Thierry Schaffauser sulla puttanofobia pubblicato sul The Guardian:

La puttanofobia colpisce tutte le donne

di Thierry Schaffauser

Le donne sono portate a pensare alle sex workers come donne per male (cattive). Quelle che si avvantaggiano di molte libertà.

La puttanofobia può essere definita come la paura o l’odio nei confronti dei/delle sex workers. I sex worker come me pensano che riguarda anche atteggiamenti paternalistici che ci definiscono come fossimo un fastidio pubblico, diffusori di malattia, delinquenti contro la decenza o vittime non qualificate che non sanno cosa è bene per loro e che hanno bisogno di essere salvate.

Nella sua forma più violenta, la puttanofobia uccide. Le prostitute hanno molto più probabilità di essere assassinate rispetto al resto della popolazione: le recenti uccisioni di Bradford sono l’esempio più recente e triste di quel che dico. Tuttavia, sarebbe un errore pensare che i/le sex workers sono gli unici bersagli di questi assassini. Gli aggressori spesso prendono di mira i/le sex workers perché le vedono come più facili prede. A volte si pensa che solo perché la persona uccisa si prostituiva la polizia non prende sul serio l’inchiesta. Fin tanto che i/le sex workers non sono al sicuro, nessuna donna lo è.

Se gli uomini sono quelli che attaccano fisicamente, le donne a volte attaccano attraverso la diffusione di pregiudizi contro i/le sex workers. In molte lingue l’insulto sessista più comune è “puttana” o “slut”, e così le donne si sforzano di prendere distanza dal modello associato a quelle parole e da quelle che le incarnano. (Come se prendendo distanza dal termine puttana si potesse acquisire libertà per le donne… come se colpevolizzando le donne che si prostituiscono si potesse mettere fine allo stigma negativo, ndt).

Lo “stigma della puttana” è un modo per controllare le donne e per limitare la loro autonomia – economica, sessuale, professionale – o semplicemente la loro libertà di movimento.

Le donne sono portate a pensare alle sex workers come “bad women”. Nel frattempo si impedisce loro di acquisire libertà o il diritto di poter lavorare in un locale notturno con un contratto frutto di una corretta negoziazione e che risponde a condizioni da rispettare. La puttanofobia è il controllo poliziesco sui comportamenti delle donne, così come l’omofobia fa per gli uomini.

Una soluzione potrebbe essere quella di rivendicare (in senso positivo) gli insulti. Anche se il Collettivo inglese di prostitute è stato criticata dal resto del movimento femminista nel 1970 per il suo slogan: “Tutte le donne sono prostitute.” (Siamo tutte puttane!). E ‘stato infatti frainteso – nonostante sia un bel tentativo di mettere assieme le sex workers e le altre donne –  e si è identificato il termine secondo lo stigma che rappresenta le sex workers come oppresse e sfruttate sessualmente ed economicamente.

Il primo passo nella lotta contro la puttanofobia è dare un nome all’oppressione. Teorie femministe aiutano a identificarlo come un insulto di genere, di classe e come monito ad una differente sessualità. Un ulteriore passo potrebbe essere quello di combattere i crimini di odio contro i/le sex workers, invece che criminalizzarle. Il lavoro di Shelly Stoops a Liverpool è un buon esempio: il suo progetto di solidarietà Armistead Street e la collaborazione con la polizia del Merseyside hanno contribuito a costruire un rapporto di fiducia tra polizia e sex workers, che si sentono ora in grado di denunciare i crimini.

Leggi anche:

—>>>#TERF: il femminismo radicale trans-escludente

—>>>#Londra: la transfobia e la puttanofobia delle femministe radicali

—>>>Quelle femministe radicali che fanno slut-shaming contro le donne

e poi:

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