Antiautoritarismo, Autodeterminazione, Contributi Critici, R-Esistenze

Speciale inchiesta: lucro e bugie nelle Ong dell’anti-tratta (delle prostitute)

Immagine di Jared Rodriguez/Truthout
Immagine di Jared Rodriguez/Truthout

E’ una inchiesta approfondita, scritta da una giornalista, scrittrice, che si è già occupata di questioni di genere, sulle organizzazioni anti-tratta di alcuni Paesi degli Stati Uniti. Lucro, menzogne, cifre approssimative in eccesso e mille dubbi sulla gestione dell’industria del salvataggio che porta avanti un business sulla pelle delle donne sono descritte in questo lungo ma prezioso articolo pubblicato su Truth-Out.org. Grazie Ad Antonella per la memorabile traduzione. Buona lettura!

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Rapporto speciale: soldi e bugie nelle ONG dell’anti-trafficking.

di Anne Elisabeth Moore

La paladina statunitense (seppure caduta in disgrazia) dell’anti-trafficking, Somaly Mam, sta ottenendo un lento ma regolare ritorno alla gloria dopo che la storia di copertina del settimanale Newsweek del Maggio 2014 la portò all’estromissione dalla fondazione cambogiana che reca il suo nome. Le accuse nell’articolo non erano nuove: erano state riportate e dettagliate in piccole dosi per anni. La rivista si limitò a sottolineare il fatto che la narrazione personale della Mam in qualità di sopravvissuta del sex trafficking (e storie simili che venivano fuori sia da assistite che dallo staff della ONG da lei fondata per soccorrere le vittime del trafficking) erano spesso non verificabili, quando non addirittura palesi menzogne.

Seguì il panico. Mam aveva contribuito a stabilire, per il pubblico statunitense, un punto chiave nella narrazione del trafficking e della sua futura sconfitta. La storia diceva di lei che fu forzata a lavorare in giovanissima età da un “Nonno”, il quale in seguito avrebbe venduto la sua verginità e l’avrebbe costretta a un matrimonio come sposa-bambina. Poi di come fosse stata venduta ad un bordello, luogo in cui avrebbe visto molte coetanee morire a seguito di violenze. Amici d’infanzia e persino familiari non furono in grado di confermare a Newsweek i ricordi che Mam aveva narrato, ma Mam si difese asserendo che tutto questo era tipico del vissuto delle vittime di trafficking.

Somaly Mam aveva stabilito una fitta rete globale di ONG anti-trafficking, composta di finanziatori e supporters, i quali avevano basato la loro dedizione, le donazioni e spesso la loro stessa esistenza sui racconti fortemente emozionali (ma inventati) di questa donna. Alcuni, la scorsa primavera, sentirono la necessità di prendere le distanze dall’attivista cambogiana, incluso uno dei suoi sostenitori di lungo corso, Nicholas Kristof del New York Times, mentre altri suggerirono che – sebbene non rispondenti a realtà – le storie narrate da Mam erano state pensate in funzione del supporto ad una causa meritevole e risultavano quindi sufficientemente veritiere.

Nonostante Somaly Mam persista nelle sue stravaganti, insinuanti, fuorvianti, palesi bugie, la sua carriera di rappresentante dell’Industria Americana del Salvataggio sembra pronta a riprendere

Pochi furono quelli che contrastarono le tesi di Newsweek, comunque, fino a quando Marie Claire organizzò una campagna in sua difesa nel Settembre 2014, con una nuova intervista a Mam in cui quest’ultima cercava di smontare le tesi contro di lei. L’articolo costituì anche la pubblica piattaforma di lancio per la New Somaly Mam Foundation, un blando tentativo di rebranding dell’originale Somaly Mam Foundation (SMF), da cui la figura di spicco era stata costretta a dimettersi prima che l’organizzazione andasse a rotoli. SMF fu finanziatore primario dell’AFESIP, la ONG che Mam fondò per offrire servizi alle vittime di trafficking. Lo scorso Dicembre il Phnom Penh Post ha riportato che AFESIP si fonderà con la nuova organizzazione e il Cambodia Daily ha aggiunto che una campagna di finanziamento messa in atto di recente ha ottenuto un sorprendente successo tra quei funzionari governativi che avevano da principio pubblicamente dichiarato la proibizione per Mam di tornare alla guida di un’altra ONG nel Paese, dopo le rivelazioni di Newsweek, e che successivamente erano tornati sulle proprie decisioni.

Ad oggi, nessuna delle indagini che sostengono che Mam inventò intenzionalmente i fatti narrati è stata rigettata o confutata. Inoltre, sebbene l’articolo di Marie Claire fosse stato presentato da due diversi team di Public Relations come il primo passo di una serie di interviste rivelatrici di nuove verità con la sedicente ex schiava del sesso, molti giornalisti non hanno mai ricevuto risposta a richieste di interviste. Una delle poche interviste rilasciate da Mam, con il reporter del Global Dispatch Mark Goldberg, non ebbe un esito positivo. Mam dichiarò ripetutamente a Goldberg che non era preoccupata dalle accuse contro di lei, eppure – come riportato dal reporter Tom Murphy su Twitter – ella stessa aveva attivamente partecipato alle strategie messe in atto per “correggere” quelle stesse accuse. Ancor peggio, Mam aveva presentato in maniera vaga le assistite dell’AFESIP dichiarando che “le ragazze provengono in larga parte dal trafficking”. In effetti una indagine indipendente sulla ONG del Gennaio 2014 verificò che solo il 49% delle 674 donne e ragazze prese in carico dal 2008 al 2012 potevano essere considerate “vittime di trafficking” pur con riferimento a diverse definizioni del termine. Molte erano sex workers adulte e consensuali, altre erano semplicemente ritenute “a rischio” (una descrizione del report non sembra distinguerle da altre donne che vivono in povertà).

Nonostante Somaly Mam persista nelle sue stravaganti, insinuanti, fuorvianti, palesemente artefatte bugie, la sua carriera di rappresentante dell’Industria Americana del Salvataggio sembra pronta a riprendere. Molti potrebbero rifiutarsi di credere all’idea che quelle falsità possano ancora generare milioni, centinaia di milioni o addirittura miliardi di dollari in donazioni destinate a fini poco chiari. Altri faranno ricadere il tutto nella normale gestione delle procedure degli aiuti internazionali. Altri ancora, invece, sanno che nel mondo delle organizzazioni anti-trafficking soldi e bugie sono profondamente – forse inestricabilmente – connessi. Le false dichiarazioni, diffuse come fatti, sono un numero enorme. Come la somma del denaro speso e ricevuto sulla base di quei racconti – più di mezzo miliardo di dollari, negli ultimi anni. Quantomeno questa è la somma di cui siamo a conoscenza.

Luci ed ombre

Considerando che il loro è un mitico nemico comune – l’uomo senza volto né nome solitamente rappresentato nei drammi televisivi, che commercia in stock di esseri umani costituiti da ragazze nubili – ci si aspetterebbe che le organizzazioni anti-trafficking si uniscano negli sforzi per conquistare la ribalta. Con nomi che richiamano metafore di soccorso, luce e santità, i gruppi anti-trafficking sembrerebbero proiettare un’immagine di limpidezza. Al contrario, essi hanno spesso mostrato una deplorevole tendenza all’evasione fiscale e alla scarsa trasparenza contabile, spesso e addirittura con la piena consapevolezza di dirigenti, affiliati professionali e finanziatori. Il problema di questa evasione va oltre le considerazioni di carattere etico: un certo livello di pubblicazione dei bilanci, ad esempio, è il requisito legale per le organizzazioni esenti da tasse. Eppure i gruppi anti-trafficking chiudono, si spostano, si riorganizzano e riappaiono sotto nuovi nomi con allarmante frequenza, rendendosi difficili da tracciare, forse più dei loro presunti nemici.

L’obiettivo è di fare luce sul livello di trasparenza adottato e sulle percentuali di impatto e successo spesso enfatizzate da queste organizzazioni

Per iniziare ad unire i puntini di questa matrice che cambia in continuazione, chi scrive ha tenuto sotto osservazione 50 dei maggiori gruppi locali fondati o organizzati per limitare o eliminare il traffico di esseri umani o per assistere le vittime di trafficking. Questo include organizzazioni che utilizzino il termine “trafficking” nelle dichiarazioni di indirizzo d’azione, ma che tuttavia individuino nel traffico di essere umani un problema rilevante o che operino in un’area sensibile (ad esempio dal punto di vista della violenza sulle donne), che abbiano un percorso coerente di progetti incentrati sul trafficking o che infine siano state regolarmente individuate da altre organizzazioni anti-trafficking come gruppi anti-trafficking. I budget di organizzazioni operative su più questioni sono stati considerati complessivamente, sulla base del presupposto che tali organizzazioni operino su diversi livelli. Tutte le organizzazioni prese in considerazione sono state menzionate (nel corso dell’inchiesta della durata di sei mesi) almeno due volte dai media o in conversazioni con professionisti dei media o da attivisti coinvolti negli studi, fatta eccezione per quelle organizzazioni che hanno cambiato nome: in questo caso si è tenuto in considerazione il nome del fondatore o se la precedente organizzazione era stata menzionata almeno due volte.

Non sono stati inclusi nomi di gruppi creati ad hoc per progetti o campagne da organizzazioni che non si occupano di questioni legate al trafficking come scopo primario della loro azione. L’obiettivo è quello di fare luce sul livello di trasparenza adottato da queste organizzazioni e sulle percentuali di impatto e successo, spesso enfatizzate.

Le 50 organizzazioni in esame hanno sede in diverse parti degli Stati Uniti. California, Arizona, Washington DC, Florida, Texas, Massachusetts, New York e Stato di Washington sono ampiamente rappresentate nella lista. Singole organizzazioni hanno inoltre sede in Colorado, Connecticut, Georgia, Illinois, Kansas, Missouri, Nevada, Tennessee e Virginia. In questa lista non appare alcuna organizzazione con base in Sud Dakota, sebbene ne esista una; vale la pena sottolineare che, seppure in assenza di organizzazioni di spicco, questo stato detiene il record nazionale di sentenze di ergastolo per i responsabili di traffico di vite umane.

In anni recenti il trafficking è stato ritenuto tra i maggiori punti di preoccupazione nei crimini nazionali. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro delle Nazioni Unite (ILO) stima, a livello globale, una popolazione costretta al lavoro di 21 milioni di persone – 11.4 milioni di donne e ragazze e 9.4 milioni di uomini e ragazzi – 4.5 milioni dei quali, il 21%, si suppone siano vittime di o forzati a lavori sessuali. Non sono numeri consolidati, si tratta di stime. Ma costituiscono le basi sulle quali l’intero movimento mondiale anti-trafficking si fonda.

Ciascuna delle 50 organizzazioni anti-trafficking di spicco individuate sopra si concentra primariamente sulle vittime femminili dello sfruttamento sessuale – non più, in altri termini, di un quinto scarso di ciò che l’ILO individua come problematica globale legata al lavoro forzato. Questa inequivocabile miopia di bassa lega è stata notata da gruppi quali la Global Alliance Against Traffic in Women, che ha sottolineato come molte organizzazioni sostengano leggi di tipo moralistico che riducono i diritti dei/delle sex workers e dei/delle migranti. Una delle organizzazioni sotto elencate, il Progetto Polaris, sembra giustificare l’obiettivo ristretto del traffico sessuale dichiarando di aver ricevuto chiamate sulla linea del loro National Human Trafficking Resource Center che portavano a 2.740 casi di sex trafficking nel 2013, rispetto ai 634 relativi al labor trafficking. Infine, sebbene Polaris e molte altre organizzazioni abbiano pesantemente investito nella “sensibilizzazione” rispetto a ciò che di positivo e legale può essere messo in atto contro il traffico di essere umani, non vi sono evidenze dei risultati di questa azione.

“Il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, la custodia di persone, tramite l’uso della forza o altre forme di coercizione, di sottrazione, di frode, di inganno, di abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o nell’atto di dare o ricevere qualche forma di pagamento o di altro introito per acquistare il consenso o il controllo di una persona su un’altra persona, allo scopo di sfruttamento”

Nonostante l’apparente confusione, il traffico di esseri umani è definito abbastanza chiaramente, quantomeno dalle Nazioni Unite. E’ “il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, la custodia di persone, tramite l’uso della forza o altre forme di coercizione, di sottrazione, di frode, di inganno, di abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o nell’atto di dare o ricevere qualche forma di pagamento o di altro introito per acquistare il consenso o il controllo di una persona su un’altra persona, allo scopo di sfruttamento.” Viene distinto dall’usura, dal lavoro coatto e dalla moderna schiavitù e lo ILO mette in guardia dal mescolare questi termini. Nonostante ciò, molte delle organizzazioni oggetto di questo studio utilizzano queste parole in maniera intercambiabile, occasionalmente sostituendo “trafficking” con “sfruttamento sessuale”, “prostituzione”, “porno” o termini simili. E’ difficile stabilire se tale confusione sia il frutto di un deliberato atto mistificatorio, ma se consideriamo le implicazioni comparative tra il trafficking e la pornografia legale (per dire, Playgirl è porno legale talmente edulcorato che chi scrive potrebbe condividerlo con la propria nonna), possiano verificare che la mancanza di chiarezza che la maggior parte di queste organizzazioni crea è funzionale al raggruppare un’ampia gamma di attività molto diverse tra loro, molte delle quali sollevano questioni morali ma niente affatto legali.

Come vedremo, molte delle organizzazioni che si occupano di “sensibilizzare sul trafficking” non forniscono in alcun modo informazioni e dati certi. Nei fatti danno la loro ristretta interpretazione di cosa sia il “traffico di esseri umani” quale sinonimo di “schiavitù sessuale femminile” e stante la grande diffusione attraverso tutti gli Stati Uniti di queste organizzazioni, lo scopo primario sembra essere quello di diffondere panico morale su certe questioni. Questa potrebbe essere un ottimo metodo per giungere a leggi di stampo conservatore o persino oppressive, come pure qualcuno suggerisce. Ma condurre una crociata di tipo moralistico è in ultima istanza soprattutto remunerativo.

Trasparenza e finanziamenti post-crisi

In totale si stima che le 50 maggiori organizzazioni anti-trafficking degli Stati Uniti si dividano circa 686 milioni di dollari, una cifra che le piazzerebbe al 184esimo posto della classifica in base al PIL delle Nazioni Unite, appena sopra le Samoa. E, come vedremo, questa potrebbe risultare una stima di gran lunga per difetto.

Le organizzazioni includono tre tipi di gruppi anti-trafficking: no-profit standard, esenti da tassazioni o che lavorano sotto l’egida di organizzazioni esenti da tassazioni; organizzazioni religiose (quelle affiliate con chiese che possono anche essere esenti da tassazioni ma che non sono obbligati a registrare gli introiti annuali); e quelle a partecipazione mista pubblico- privata. Le prime due possono anche avere lo status di ONG se operano a livello internazionale. Una partecipazione pubblico-privato può già considerarsi in sé una organizzazione ed utilizzare il linguaggio di quelle no-profit per descrivere i propri scopi, obiettivi e servizi, ma non possono avere esenzioni fiscali (un elemento che si presuppone debba essere evidente se l’organizzazione richiede ed usufruisce di donazioni). Le organizzazioni esenti da tassazioni che sono affiliate con la tipologia pubblico-privato sono vincolate dalle leggi relative alla trasparenza.

Delle 50 organizzazioni conteggiate, tre sono partnership pubblico-privato ed il resto sono organizzazioni no-profit. Molte si definiscono di tipo religioso, ma solo alcune sono effettivamente affiliate a confessioni di fede. Solo 33 delle 47 no-profit – il 70% – rendono pubbliche le loro informazioni finanziarie, sia tramite un sito web apposito, che su richiesta tramite contatto diretto con l’organizzazione o a mezzo di Guidestar.com un servizio online che offre link diretti ai modelli della dichiarazione dei redditi presentati. Diverse organizzazioni dichiarano sul sito web che dati di tipo fiscali possono essere forniti via email a fronte di apposite richiesta, ma solo tre hanno risposto allo scrivente in un arco di tempo che va dal Luglio 2014 al Gennaio 2015. Inoltre, due budget di gruppi sono stati stimati sulla base delle finanze di organizzazioni affiliate.

Il movimento anti-trafficking sembra essere una delle poche affidabili aree di crescita nell’economia statunitense post-crisi, nonostante le basse retribuzioni previste per chi vi presta servizio

In totale nove organizzazioni non hanno fornito alcun tipo di informazione fiscale, incluse due delle tre a partecipazione pubblica e diverse organizzazioni che potrebbero affiliarsi con istituzioni religiose. Se le restanti organizzazioni guadagnassero meno di 50.000 dollari l’anno, non sarebbero soggette allo stesso tipo di legislazione per la trasparenza. D’altronde l’ufficio federale delle tasse (IRS – Internal Revenue Service) è piuttosto chiaro: “Le organizzazioni esenti da tassazione devono rinnovare annualmente le richieste di esenzione compilando i moduli IRS, rendendosi al contempo disponibili ad ispezioni ove richiesto.”

Non sono disponibili dettagliate informazioni sulle entrate di Abolish Slavery Coalition (…), Bishop Outreach, Called2Rescue, Escape to Peace, Made in a Free World, No More, Red Light Rebellion, Streetlight USA e la Defender Foundation. (Quest’ultima organizzazione prevede un tipo di affiliazione su basi finanziarie, per cui i volontari versano 100 dollari al momento della richiesta, fino ad un totale di 480). Di più, le informazioni finanziarie relative al movimento “Metà del Cielo” (Half the Sky Movement), sono basate esclusivamente sulla gestione dei suoi affiliati, che hanno reso 2.2 milioni di dollari in bonus e donazioni nel 2012. Questa cifra comunque non include la vendita di libri, recensioni televisive e compensi per le apparizioni degli autori che Kristof e la co-autrice Sheryl WuDunn hanno percepito nell’anno preso in esame e negli anni seguenti, per cui i totali che seguono sono per certo sottostimati.

Delle 50 organizzazioi anti-trafficking esaminate, un totale di 19 hanno reso pubblici bilanci di 1 milione di dollari o più, soprattutto nel 2012 o nel 2013. Solo i dati della associazione Recovery of Children risalgono a un periodo precedente (2007) e sono stati estremamente difficili da tracciare. Molte organizzazioni raccolgono di più. Infatti il totale combinato dei guadagni di queste 19 organizzazioni è stato di più di 677,5 milioni di dollari. Il resto delle organizzazioni che ahnno reso disponibili dati finanziari, nel complesso, hanno incassato più di 8 milioni di dollari. Presumendo che ciascuna delle organizzazioni che non hanno reso pubblici i bilanci guadagnino meno di – per dire – 40.000 dollari (e due dei gruppi trasparenti hanno dichiarato questa cifra, rendendo questa stima plausibile) – possiamo aggiungere altri 360.000 dollari al totale. Questi numeri sono di certo stime in ribasso, dal momento che ciascuna delle organizzazioni che non hanno fornito dati hanno più di un impiegato, per cui si può ragionevolmente affermare che incassino più di 50.000 dollari l’anno; di sicuro le tre associazioni con partecipazione pubblica hanno budget annuali più ampi. Tutto ciò suggerisce un introito annuale complessivo di 686 milioni di dollari, diviso tra i 50 gruppi.

Potrebbe non sembrare poi così tanto, per 50 organizzazioni sparse in una grande nazione, che lavorano su un problema che è oggi tra quelli più urgenti relativamente ai diritti umani. Tuttavia, 686 milioni sono pur sempre 13,7 milioni per ciascun gruppo – denaro di cui qualunque associazione di qualunque schieramento sarebbe ben felice di disporre. E questa cifra non include i finanziamenti federali messi a disposizione per combattere il trafficking, di cui si dice che oscillino tra 1,2 e 1,5 miliardi di dollari l’anno.

Detto che la maggior parte dei gruppi è stata fondata dopo che Somaly Mam ha iniziato ad apparire regolarmente nei media statunitensi tra il 2006 e il 2008, è opportuno sottolineare come il movimento anti-trafficking sembra essere una delle poche affidabili aree di crescita nell’economia statunitense post-crisi, nonostante le basse retribuzioni previste per chi vi presta servizio.

Numeri certi e dati manipolabili

I numeri, nel torbido mondo del trafficking, sono notoriamente difficili da verificare. Quanti sono i trafficanti? Tanti! Quante le vittime? Troppe! Che età hanno? Troppo giovani! Quanti soldi passano di mano in mano? Zilioni di gigaioni di dollari, quotidianamente! “Spaventosamente redditizio”, così dichiarava il Time in un titolo del Maggio 2014. Suona incredibile? Lo è e i gruppi di soccorso diranno che il disvelamento della cruda verità relativa alla schiavitù umana è incomprensibile alla maggior parte degli americani di oggi.

Molte delle affermazioni più citate sono facilmente attaccabili, quando non addirittura inconsistenti. Un gruppo con base in Massachusetts, Demand Abolition, che è parte dell’associazione no profit Hunt Alternative – 4,4 milioni di dollari di entrate – titola “Conoscere i fatti” una parte del suo sito web. “Zero uomini dovrebbero comprare sesso” è una parte dei contenuti (di fatto: un opinione). E ancora: “La prostituzione è un crimine che prevede vittime”.

Persone “prostituite” è la definizione convenzionale nell’anti-trafficking che sta ad indicare sex workers consensuali; il tutto filtrato attraverso una visione che riconosce tutto il lavoro sessuale come necessariamente forzato

Si legge ancora: “Circa il 10 per cento degli uomini negli Stati Uniti compra sesso da prostitute o persone vittime di trafficking.” La statistica è difficile da verificare, poiché sono pochi gli studi affidabili eseguiti relativamente al consumo commerciale di sesso – ancor meno ne verranno fatti ora, ora che le campagne “fermare la domanda” e le legislazioni anti-trafficking rendono difficile il disvelarsi dei clienti. Uno studio dell’Offender Therapy di criminologia Comparativa suggerisce che l’1% degli uomini negli Stati Uniti compra sesso in un anno, ma il 14% della popolazione maschile ha fatto altrettanto almeno una volta nel corso della vita. Assai più difficile stabilire se lo hanno fatto coinvolgendo persone vittime di trafficking o, studi mai condotti in questo senso, da persone “prostituite”. Quest’ultima è la definizione convenzionale nel mondo dell’anti-trafficking che sta ad indicare sex workers consensuali; il tutto filtrato da una visone che riconosce tutto il lavoro sessuale come necessariamente forzato.

“L’età media in cui una ragazza entra nella prostituzione negli USA è di 13 anni” si legge in un altro dei fatti elencati da Demand Abolition. Emi Koyama, studiosa ed attivista, ha sottolineato sul suo blog e in pubblicazioni indipendenti la logica fasulla di questa affermazione e ha inoltre tracciato l’età e il genere dei tipi catturati nei raid dell’Operazione Cross Country dell’FBI.

Quando la rivista The Atlantic ha investigato, pubblicando un articolo, Koyama ha fatto notare che la maggior parte delle giovani coinvolte aveva 16-17 anni. “Raramente si trova qualcuno sotto i 13 anni” dice “Per avere un’età media intorno ai 13 anni significherebbe avere un numero rilevante tra i 5 e i 12 anni per ottenere empiricamente un dato simile.”

Il Progetto Polaris, che conta 7,3 milioni di dollari di budget, è leggermente meno cauto nell’esprimere affermazioni non verificate e raramente offre dati a supporto. “Nel sesso da strada correlato al trafficking alle vittime viene spesso richiesta una cifra minima per l’incasso di ciascuna notte” si legge in una di queste “ che varia tra i 500 e i 1.000 dollari o più, che vengono confiscati dal pappone. Le donne nei bordelli spacciati per saloni di massaggi spesso vivono all’interno di questi, dove sono solitamente forzate a vendere sesso a 6-10 uomini al giorno, sette giorni a settimana.” L’uso di termini quali “spesso” e “solitamente” sono indicativi del fatto che i numeri non sono chiari. E l’unica fonte citata sulla pagina è quella dello stesso Centro di Ricerca Nazionale del Progetto Polaris sullo Human Trafficking, che non fornisce dati relativi ai guadagni o al numero di clienti. La quota “per notte” potrebbe essere dedotta dal The Urban Institute, che riporta come il 18% dei magnaccia con cui hanno parlato nelle principali città degli USA stabiliscano in 400-1.000 dollari le entrate per notte. Ma nessuno dei protettori intervistati impone delle quote minime e le sex workers in prima istanza distinguono certi magnaccia dai traffickers. Uno studio del 2011 ad opera dello Young Women’s Empowerment Project (YWEP) ha scoperto che, delle 205 sex workers di strada intervistate, meno del 7% avevano esperienza di protettori. Ancor meno quelle che avevano avuto esperienze di trafficking.

Di 205 sex workers intervistate, meno del 7% aveva un protettore e ancor meno aveva avuto esperienze di trafficking

Nonostante la scrittrice e ricercatrice Brooke Magnanti recentemente abbia smentito numeri messi insieme per The Baffler nel Regno Unito, studi affidabili sui guadagni o sulle modalità di contrattazione delle sex workers di strada e delle lavoratrici dei saloni di massaggi negli Stati Uniti sono difficili da reperire. Nel 2014, l’Ufficio Nazionale di Statistica a Londra ha annunciato piani per aggiungere i guadagni delle sex workers nel PIL, stimati intorno ai 10 miliardi di sterline, un numero a cui si è arrivati apparentemente basandosi sui prezzi reperiti nel listino del sito web di una escort, che non terrebbe in considerazione – ad esempio – i ben più bassi guadagni di una sex worker di strada o delle lavoratrici degli strip club. Inoltre, gli introiti sembrerebbero far conto sulla stima – in verità molto alta – di 25 clienti a settimana. Una cifra che Magnanti (ex escort) definisce “un’enormità”. Quando Polaris indica i clienti di una lavoratrice di un salone di massaggi in 42-70 a settimana, sembra avere lo stesso sguardo esagerato.

Il gruppo Not For Sale, con sede in California, titolare di un budget di 3,5 milioni di dollari, afferma che attualmente “ci sono più di 30 milioni di persone nel mondo interessate dalla schiavitù – più che in qualunque altro periodo della storia”, una stima che viene dal Global Slavery Index (GSI), ma che non è supportata da basi logiche. Il GSI nel frattempo ha aggiornato la stima a 35,8 milioni di schiavi, nonostante sia Open Democracy che The Guardian abbiano contestato la metodologia alla base del calcolo. Il Guardian sostiene che ipotizzare tale cifra dalla minuscola base di dati disponibili rispetto alle centinaia di nazioni coinvolte – su questo si fonda il metodo del GSI – “sfiora il ridicolo”. Le parole “interessate dalla schiavitù” sembrano voler ammorbidire la pesantezza di numeri questionabili, ma certo rimane il fatto che queste sono affermazioni difficili da difendere.

La sezione del sito web della Defendere Foundation denominata “Consapevolezza” afferma che “il traffico di esseri umani è la seconda impresa criminale più grande del mondo. Cresciuta così velocemente e destinata a raggiungere il numero uno di questa lista.” Lo ILO – International Labor Organization suggerisce che il lavoro forzato genera annualmente 150 miliardi di dollari e aggiunge che 99 miliardi di quella cifra potrebbero provenire dallo sfruttamento sessuale.

Etichettare questi dati come pure e semplici ipotesi non è totalmente corretto. Le stime al ribasso di Magnanti nel Regno Unito degli introiti delle sex workers, ci indicano quanto sia difficile stabilire in maniera credibile le cifre dell’economia criminale; ma il traffico di droga, quello illegale di armi e il commercio di prodotti contraffatti hanno tutti, in anni recenti, portato ad introiti maggiori di 150 miliardi di dollari.

Non ci sono prove concrete del fatto che il traffico di esseri umani sia in espansione

Non ci sono prove concrete del fatto che il traffico di esseri umani sia in espansione – a volersi basare sull’applicazione delle leggi che indagano e perseguono i responsabili, infatti, questo dato non emerge. Anche il GSI ammette che certe cifre in aumento non starebbero ad indicare un maggior numero di schiavi. Il sito web dichiara piuttosto che “l’aumento (da 30 milioni a 35,8 milioni di unità) è dovuto ad una più accurata e precisa misurazione ed al fatto che stiamo portando alla luce forme moderne di schiavitù che prima non erano state individuate.”

Contestare dati fallaci in un campo che offre grandi vantaggi economici quando la realtà viene esagerata, finisce per diventare uno stimolante gioco di Colpisci-la-Talpa. Le organizzazioni fanno abitualmente riferimento a dati o fatti dubbi forniti da altri gruppi (ad esempio sia la International Justice Mission del District Columbia, 48 milioni di dollari di budget, che il gruppo Truckers Against Trafficking con base in Colorado, 235.000 dollari di budget, attribuiscono le proprie statistiche al Polaris Project), oppure riciclano le stesse statistiche vaghe o prive di fondamento senza citarne le fonti. Ronan Weitzer, sugli Annali dell’American Academy per gli Studi Politici e Sociali del Maggio 2014, afferma in maniera netta che “Nessuna delle affermazioni relative al trafficking – enorme portata, problematica in espansione, impresa criminale che scala i vertici, prevalente pericolosità – è stata sostenuta da prove. Non è possibile, all’interno di una macro economia illecita, clandestina e sotterranea a livello nazionale ed internazionale, quantificare in maniera soddisfacente (e nemmeno stimare) il numero delle persone coinvolte o la misura dei profitti.”

Inoltre, non c’è una modalità condivisa per descrivere il problema. La conta delle vittime sembrerebbe più semplice e il Dipartimento di Stato nel 2003 ha iniziato a chiedere ai governi stranieri di relazionare sulle vittime identificate, sulle azioni legali intraprese, sulle condanne e sulle politiche attuate per assicurare maggiore protezione secondo quanto previsto dal Trafficking Victims Protection Reauthorization Act. Il Rapporto del Trafficking del 2014 (TIPR) elenca 9.460 processi (di cui solo 1.199 riguardavano tratta legata al lavoro forzato); 5.766 condanne (470 riguardanti il lavoro); 44.758 vittime identificate (10.603 riguardanti il lavoro); e 58 nuove leggi approvate – circa il triplo rispetto alle leggi dell’anno precedente. Questi sono numeri su base internazionali che vengono da nazioni alleate, ma è utile per comparare il dato delle 45.000 vittime di trafficking identificate nel mondo con il dato stimato dall’ILO di 21 milioni di persone che vivono in condizioni di lavoro forzato: ancora una volta i conti non tornano.

Nessuna delle affermazioni relative al trafficking – enorme portata, problematica in espansione, impresa criminale che scala i vertici, prevalente pericolosità – è stata sostenuta da prove

Per dare un quadro della situazione su base nazionale, viene spesso citato il rapporto TIPR del 2006: il Dipartimento di Stato ha stimato che negli Stati Uniti sono oggetto di trafficking tra i 14.500 e 17.500 individui ogni anno. Tuttavia questa cifra è stata successivamente ritenuta troppo alta e riferita solo alla popolazione immigrata. Più recentemente il TIPR iniziato ad attingere dati dalle principali agenzie che investigano i crimini federali legati al trafficking: FBI, Dipartimento di Sicurezza Interna per l’Immigrazione e le Dogane (ICE), lo Homeland Security Investigation (HSI) e la Human Trafficking Unit del Dipartimento di Sicurezza Diplomatico (DSS). Nel 2013 queste agenzie – cui si aggiunge il Dipartimento della Difesa, che ha aperto nove casi che coinvolgevano personale militare – hanno investigato 1.937 potenziali casi di human trafficking ed altri 100 casi sono stati perseguiti a livello statale. Una statistica citata di frequente, della linea del Centro di Ricerca Nazionale dello Human Trafficking del Progetto Polaris, suggerisce numeri significativamente più alti relativi a casi di trafficking sessuale per lo stesso anno: 3.609. Poiché si parla di dati relativi all’applicazione di leggi, questi conteggi dovrebbero far parte comunque dei dati sopra riferiti.

Stabilito che il budget sia di 686 milioni di dollari diviso tra tra le 50 maggiori organizzazioni (cifre che non includono costi federali), possiamo stimare una cifra media di 343.000 dollari per ciascun caso – certamente denaro sufficiente per assicurare a ciascuna vittima una sistemazione sicura per almeno un anno. E nonostante questo un rapporto del 2013 verificava come ci fossero solo 682 posti letto disponibili, su scala nazionale, per le vittime di trafficking, con altri 354 posti in progetto per il 2014.

Abbondanza di vittime

Nonostante tutto, i finanziamenti dei gruppi dell’anti-trafficking non sono l’unico lato sproporzionato di questa equazione. Almeno a giudicare in base al numero delle persone che le organizzazioni in questione riferiscono di aver assistito nel mondo, secondo i dati riferiti in forma ufficiale.

Delle 19 organizzazioni anti-trafficking che hanno introiti superiori ad 1 milione di dollari ogni anno, 11 affermano di soccorrere vittime di situazioni di trafficking o, per usare il linguaggio no-profit, offrono servizi diretti di cura in uscita. Occasionalmente ci si riferisce a questa attività anche come “assistere persone trafficate”, “superare”, “intervenire” o “sradicare” oppure “combattere” la schiavitù; si utilizza sempre più anche il concetto (lievemente meno abrasivo) di “risanamento delle vittime” ed occasionalmente quello del “ristabilire giustizia”. Nonostante siano poche le organizzazioni che si riferiscono alla propria attività in maniera così rozza, i media tendono a riportare le “operazioni di soccorso” da situazioni di sfruttamento sessuale come a “raid nei bordelli”; in tutti e due i casi si prelevano donne, di vari livelli di con sensualità, da situazioni giudicate di sfruttamento dalle organizzazione e che di tanto in tanto culminano nella incarcerazione delle presunte vittime.

In definitiva, i numeri di impatto presentati dalle organizzazioni anti-trafficking (ovvero la giustificazione della loro esistenza ed ovviamente dei loro introiti) sono semplicemente assurdi

In altri termini, il 60% delle organizzazioni anti-trafficking maggiormente finanziate afferma di aver attivamente sottratto persone da situazioni di trafficking, una percentuale che , a giudizio di chi scrive, sembra tale anche quando riferita alle organizzazioni con un budget inferiore ad 1 milione di dollari. Otto delle organizzazioni con il budget più alto dichiarano e registrano un certo numero di soccorsi effettuati su base annuale; una di queste organizzazioni che pure non registra ufficialmente il dato, dichiara di aver aiutato un certo numero di persone ad abbandonare situazioni di trafficking.

Più della metà delle organizzazioni maggiormente finanziate dichiara di prestare assistenza alle vittime; due terzi dei gruppi registrano a bilancio cifre relative alle vittime “assistite”. La maggior parte dei dati riguarda il trafficking legato al sesso. Gruppi come la International Justice Mission, che lavora su una varietà di problemi che includono tutte le forme di trafficking, in un recente rapporto annuale elenca di aver assistito 2.266 persone coinvolte in forme di lavoro forzato e 239 persone vittime di sex trafficking. (…)

Appena meno della metà delle organizzazioni meglio finanziate degli Stati Uniti dichiara di aver salvato un totale di 8.676 individui dal sex trafficking: in altre parole, più di quattro volte il numero delle vittime dei potenziali casi di trafficking investigati negli Stati Uniti, a livello federale e statale, nel 2013. La cifra è leggermente più alta di 1.084 persone vittime di trafficking per ciascuna organizzazione tra le più finanziate; cifra che potremmo utilizzare per stimare in circa 12.000 le persone salvate dal sex trafficking, principalmente negli Stati Uniti, o per arrivare – se includiamo nel conteggio anche le organizzazioni che hanno parimenti condotto operazioni di soccorso nel 2014 ma che contano budget inferiori – alla cifra secondo cui le 50 maggiori organizzazioni degli Stati Uniti hanno liberato dal sex trafficking 17.000 individui. Questi numeri rappresentano la metà dei casi di sex-trafficking che il Dipartimento di Stato indica come probabili a livello mondiale in tutto il 2014.

Questo esercizio puramente speculativo ci offre appena un’idea di quanto siano gonfiate le statistiche fornite dalle organizzazioni in esame. Alcune di queste esagerazioni certamente possono essere attribuibili ad errori umani, al linguaggio fortemente ottimistico dei report annuali o all’inclusione di cifre relative a gruppi operanti fuori dai confini nazionali (in pochi casi, tuttavia, questi dati vengono distinti in maniera netta). I numeri esagerati non sono nemmeno spiegabili da uno stesso assistito che accede a diversi tipi di servizio, perché le organizzazioni sono diffuse in tutti gli Stati Uniti.

In definitiva, i numeri di impatto presentati dalle organizzazioni anti-trafficking (ovvero la giustificazione della loro esistenza ed ovviamente dei loro introiti) sono semplicemente assurdi.

L’eredità di Somaly

“Quando lavori in questo mondo, sai che tutti utilizzano storie costruite per raccogliere fondi” ha dichiarato Pierre Legros lo scorso Ottobre al Global Post. Cofondatore dell’AFESIP nel 1995 insieme all’allora moglie Somaly Mam, ha lasciato l’organizzazione nel 2004. Francese di nascita, lui e Mam hanno successivamente divorziato.

Quando parla della caduta in disgrazia di Mam, comunque, Legros non attribuisce ogni colpa all’ex partner, nonostante sia noto il suo giudizio malevolo sulla stessa. “I media – dice – erano molto pressanti e volevano mostrare storie fuori dall’ordinario”. Le organizzazioni furono fortunate ad avere una rappresentate a loro disposizione, oltretutto anche “bella, sexy, carismatica e determinata”. 

Molestie, abusi sessuali e frodi nelle organizzazioni anti-trafficking non sono un’esclusiva della Cambogia

“Ogni ONG sogna di avere una sua Somaly ed ogni media sogna di averne una per le proprie telecamere” dice. L’AFESIP “divenne presto un’organizzazione di primo piano e noi eravamo ben accolti dai giornalisti. Tutti volevano realizzare qualcosa di relativo al sesso, per attirare l’attenzione ed impressionare.”

Ma, come abbiamo visto accadere su larga scala tra le organizzazioni anti-trafficking degli Stati Uniti, lo svantaggio dell’avere l’attenzione dei media focalizzato sul sesso è che si finisce per perdere di vista il punto – qualche volta addirittura a detrimento della sicurezza delle vittime. “Un sacco di false storie vennero fuori, basate su fraintendimenti o sulla volontà di riportare qualcosa di eccezionale”, afferma Legros. “Furono mostrati volti, riportate testimonianze non corrette. I media disattendevano quanto affermavamo per fare sensazionalismo e per cercare informazione ad effetto.”

Tuttavia, Legros afferma che in quanto riportato dalla storia di Newsweek, i media continuano a focalizzarsi su Mam piuttosto che sull’enorme quantità di questioni emerse sulle ONG di tutto il mondo.

Una delle questioni ricorrenti riguarda gli illeciti fiscali dell’AFESIP: cose tipo duplicare fatturazioni e confondere i budget. C’è dell’altro, tuttavia, e di peggio per un’organizzazione che afferma di salvare donne dallo sfruttamento sessuale. Un report del 2013 di El Mundo riferisce di molestie sessuali ed abusi a carico di due ex impiegati dell’AFESIP, secondo quanto riportato in seguito ad una indagine privata.

“Sono stati riconosciuti responsabili per aver costretto a fare sesso residenti che lavoravano nel centro” secondo quanto riportato dal documento citato da El Mundo. Vengono parimenti citati funzionari spagnoli che avrebbero minacciato di ritirare i fondi fin quando Mam non avesse affrontato le accuse; sembrerebbe che Mam avesse risposto dipingendo la situazione come un puro fraintendimento e facendo notare la sua vicinanza alla regina.

Nel 2012 ricercatori del YWEP hanno stabilito che le sex workers subiscono violenza da parte di polizia ed operatori dei centri di assistenza in numero di sette volte maggiore di quella subita dai papponi

Molestie, abusi sessuali e frodi nelle organizzazioni anti-trafficking non sono un’esclusiva della cambogia. Dan Benedict della Defender Foundation è stato smascherato dal Florida Times Union per aver avuto precedenti per detenzione di armi, precedenti legami con gruppi della supremazia bianca e una condanna per reati relativi ad abusi su minori. Nel Luglio 2014 saltò fuori che a capo di una organizzazione che non appare nel nostro studio, la Fondazione per il Salvataggio dei Bambini dallo Human Trafficking con base in California, c’era tale Lady Katerine Nastopka, già nota come Lady Catarina Toumei, un’artista della truffa che dichiarava di essere membro della famiglia Guggenheim e della nobiltà europea (…). Persino un ex direttore del Dipartimento di Salute e Servizi fu accusato di pedopornografia nell’Agosto del 2014.

Molte figure-chiave nelle organizzazioni anti-trafficking provengono direttamente dalle forze dell’ordine, un campo noto per accogliere persone che abusano sessualmente o che si rendono responsabili di violenza contro le donne. Nel 2012 ricercatori del YWEP hanno stabilito che le sex workers subiscono violenza da parte di polizia ed operatori dei centri di assistenza in numero di sette volte maggiore rispetto a quella subita dai papponi.

Queste realtà, comunque, sono raramente conosciute su larga scala e in ultima analisi persino dalle organizzazioni stesse. Quando parliamo di movimento anti-trafficking negli Stati Uniti, le regole di ingaggio sembrano prevedere un grado di disonestà relativo agli obiettivi tanto quanto la mancanza di trasparenza circa i soldi in gioco. Quelli sinceramente interessati al traffico di esseri umani, al lavoro forzato e allo sfruttamento sessuale, a quanto pare, potrebbero non essere in grado di sollevare questioni al riguardo prima di aver sedato il panico morale crescente che circonda la mitologia del traffico sessuale negli Stati Uniti.

Leggi anche:

Risorse:

—>>>il network delle organizzazioni europee composte da sex wokers: http://www.sexworkeurope.org

—>>>Tutti i post, le traduzioni, le news sul sex working su questo blog a partire dalla tag  Sex Workers

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