La discussione sulla Gestazione per Altri, a parte sollevare molti conflitti etici e morali in un certo contesto femminista (chissà perché, quelle poche integraliste Anti/GpA stanno quasi tutte a Milano) lascia scoperta una discussione che timorosamente alcun* provano a fare.
Alcune femministe della differenza, quelle che pensano che le donne sono naturalmente madri e gli uomini naturalmente guerrafondai, insistono sulla linea dell’esaltazione del materno. La madre non può essere sostituita. I figli sono della madre, la presenza della madre deve esserci per forza, perché altrimenti, se tu dici che non è così, per volere di quelle stesse “madri”, ti dicono che collabori con il patriarcato in azione per portare a termine l’obiettivo di far sparire le madri.
Io so, perché me lo insegnano tanti libri che ho letto, che uno dei mezzi cui ricorre la fascia conservatrice, quella che usa l’arma della paura, che fa terrorismo psicologico, è proprio la descrizione di un forte nemico esterno che ci obbliga a restare chiuse a riccio, io mammeta e tu, senza voler guardare oltre. Ci troviamo ad ascoltare femministe che paradossalmente ci dicono di restare attaccate al ruolo di madre, il ruolo di cura, perché se non facciamo così allora il patriarcato vince.
Parlo dello stesso femminismo che dice che il corpo è mio ma lo gestiscono loro. È tutto un continuo capovolgere, rigirare la frittata, per cui quel che prima era considerato emancipatorio oggi diventa antifemminista. Allora io provo a fare il riassunto delle puntate precedenti. Il corpo è mio e lo gestisco io, dunque, se intendo prestare l’utero a uomini che vogliono diventare padri, sono affari miei. Le donne vanno ascoltate, care, anche se non vi piace quello che hanno da dire, perché non siete certo voi che potete dettare legge sulle loro esistenze.
Poi: se il corpo è mio e lo gestisco io, l’altra rivendicazione, personal/politica, è quella di condividere i ruoli di cura, di mettere in discussione le assurde teorie sull’istinto materno che ci ingabbia, e è anche quella che ci lascia libere di dire che non vogliamo fare figli, che non vogliamo crescerli, che vogliamo affidarli ad altri e, perché no, proprio ai padri, perennemente insultati come fossero idioti che ancora hanno timore di allattare un bambino, con il biberon, o di cambiarlo quando fa la cacca.
Vorrei non avanzare questo sospetto ma purtroppo devo. Le donne che più accanitamente sollevano la fobia dell’uomo/padre che vorrebbe strappare via i bimbi dalle braccia della donna/madre, hanno un’età superiore ai 60, o giù di lì. Credo che, in totale buonafede, abbiano un cattivo ricordo dei padri che hanno conosciuto. Uomini di partito, compagni di lotta, compagni di compagne. Quaranta anni fa immagino che fosse molto più difficile trovare padri disponibili ad assumersi la responsabilità dei propri figli, ma oggi non è più così ed è anche grazie a queste femministe, all’epoca un tantino più libertarie, giacché proprio loro hanno portato in piazza o nelle sedi di partito o nelle università la voce di tante donne che non ce la facevano più a fare sempre e solo le mogli e le madri.

Oggi, aderire alla cultura patriarcale, significa restare attaccate al ruolo della beddamatresantissima, e la si immagina perennemente in stato di sofferenza, in lacrime, per la perdita di controllo del figlio o della figlia. Come se, per l’appunto, le madri, prive di qualunque contraddizione e non condizionate da nessun conflitto, volessero banalmente stare tutte con i figli partoriti. Uguale pregiudizio c’è quando si ritiene che le donne che abortiscono sono tutte disperate e così non è. Da ciò, inevitabilmente, consegue uno stigma negativo sulla testa di quelle donne che parlano di maternità in modo diverso, senza mostrare attaccamento tipo edera, che ti accompagna e non ti lascia più. Se non sei una stalker (se non reclami il figlio, sempre e comunque, senza mai volerlo neppure condividere con nessun@) praticamente ‘ste femministe ti colpevolizzano e cominceranno a pensare che non sei neppure una “vera donna”. Il potere normativo di questi ragionamenti, con donne la cui sicumera è pari a quella di integraliste antiabortiste in gran carriera, è forte e ci riporta all’ovile, a casa, ad allattare i figli, perché se non li allatti non sei una brava donna, e di regola in regola ecco che sono queste donne, infine, che hanno sostituito gli uomini dettandoci imposizioni di ruolo che non possono essere sfuggite, pena: la scomunica dal genere femminile.
Trovo che le considerazioni fatte contro i padri che sono tali grazie ad una madre surrogata siano esasperate da una necessità di negoziare sempre e solo il ruolo delle donne nei soli ambiti in cui la donna – esse pensano – ha potere. La maternità non possiamo mollarla, care tutte, neppure come elemento purificatore della signora Martina Levato, perché altrimenti di che diamine parlerebbero queste femministe nei prossimi anni? E chissà cos’hanno da dire queste donne circa l’emendamento del piddino che vuole mandare in galera chi ha figli grazie alla GpA. Allora trovo estremamente offensive le considerazioni fatte contro i padri single, i padri separati, i padri gay, che se la cavano perfettamente da soli e che giustamente ne hanno abbastanza di vedere mediato il rapporto padre/figli sempre e solo da una donna. Pronte, tutte noi, ancora, a controllare, esigere, rendere insicure queste figure maschili, dicendo loro che così non si fa, così nemmeno, e che alla fine solo noi sappiamo fare le genitore come si deve.
Tanto integralismo, se non preferite chiamarla omofobia, sarà allora rispondente ad una sorta di fobia, che diventa collettiva, del padre, ancora di più se gay. Conservando la memoria del padre padrone contro il quale è giusto lottare e contro cui, intendiamoci, lottano anche questi nuovi uomini che vivono la paternità di certo non come la vivevano i loro nonni, e mettendo da parte il conflitto adolescenziale, eventualmente di alcune, con il padre, sarebbe il caso di capire perché mai donne e uomini si scontrano proprio quando dovrebbero chiarirsi e parlare di nuove disponibilità e nuovi ruoli di genere. Perché, si intende, io sono dalla parte delle madri, ma sono anche dalla parte dei padri. E a dimostrazione della lacunosa e stantìa maniera di trattare la questione: ricordo che se chiedete alle stesse “femministe” cosa pensano di donne single, separate, o coppie di lesbiche che sono madri, con bambini stretti alle loro vite, vi diranno che è giusto. La mamma è sempre la mamma, dissero quelle che sono passate da rivendicazioni femministe a ripetizioni sciocche di versi di antiche canzonette di Sanremo.
Nessuna può parlare a nome delle altre. Nessuno può normare la vita di altri. Non siete oracoli le cui conservatrici e apocalittiche previsioni dovranno sempre condizionare le nostre scelte. Ascoltarsi, reciprocamente, è la regola. La prima. A volte l’unica.
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