Antiautoritarismo, Antifascismo, Antisessismo, Autodeterminazione, Comunicazione, Critica femminista, R-Esistenze, Welfare

Il “rosso-brunismo” ai tempi della nuova inquisizione

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di Luciana

Rossobruno, o rossobruna, è colui o colei che scrive di Marx per dare ragione alla gente omofoba. Scrive di anticapitalismo per dire le stesse cose che direbbe un’antiabortista. Non è difficile capire di che fenomeno parliamo. Tutto iniziò con il “né rossi né neri ma liberi pensieri” (ancora prima in realtà). E pensando pensando siamo arrivati a leggere di veri fenomeni che integrano concetti pseudo stalinisti ad altri decisamente mussoliniani. Il terrore di concedere diritti ai gay perché altrimenti si sfascia la famiglia tradizionale. Quello che dice che tenere la famiglia etero come normativa per una società molto più complessa significherebbe lottare contro il capitalismo. Dicono che il mercato vuole la disgregazione della famiglia, vuole la scomparsa del padre, vuole la mamma che lavora e di complottismo in complottismo le sparate diventano sempre più paradossali. Eterni ossimori in cui viene citata la libertà ma poi si pronunciano i limiti per quell* che non sono ammessi a fare parte della società governata dalla nuova inquisizione.

Vediamo se ho capito come ragionano e come mettono assieme un populismo nazionalista e omofobico ad un presunto anticapitalismo. C’era una volta il nazional socialismo, poi divenuto fascismo, oggi diciamo che la comunicazione rossobruna tenta di presentarsi in ambiti di sinistra e raccatta consenso da chi in fondo è sempre stat@ di destra. L’etero, la famiglia tradizionale, l’antiabortismo, l’anti/GpA (Gestazione per Altri), la vittimizzazione costante delle donne, la cui tutela vogliono sia consegnata a governi patriarcali, sono tutte cose che vengono descritte come anticapitaliste. Chissà se ricordano come il welfare a misura del biocapitale sia invece destinato a far ridiventare le donne solo delle balie a tempo pieno, per la riproduzione e la cura familiare, mentre il padre/marito sarà più motivato a spaccarsi le ossa al lavoro per mantenere la famiglia. Lo hanno detto in tant* che le donne sono importanti perché risorse utili al capitale. Perfino la guerra al femminicidio è stata inaugurata da chi ha citato un bilancio economico relativo ai costi che la morte delle casalinghe/madri/mogli rappresenta per lo Stato. La riproduzione e la cura, per non parlare del sesso che fa da sedativo familiare, oltre l’oggettificazione dei corpi delle donne che diventa psicofarmaco universale, rappresentano una ricchezza inestimabile che va bene finché è gratis. Il problema nasce quando le donne, essendo consapevoli del valore di quel che possono dare, decidono di farsi pagare e gestiscono autonomamente l’esposizione del proprio corpo, la vendita di servizi sessuali, di cura, assistenza, riproduzione. In quei casi, fateci caso, viene messa in discussione la loro libertà di scelta. Nessuno fa crociate per verificare quanto sia effettivamente libera di scegliere una donna che fa la moglie, madre, casalinga, badante, in condizione di totale dipendenza economica.

Fare figli in una famiglia etero, con una organizzazione sociale che è tutta fondata su quel modello di famiglia e che non vuole mai concedere nulla a chi evolve e racconta di altre possibilità, non è la stessa cosa che avere figli in una coppia lesbica o gay. Siamo ancora fermi alla politica che chiede conciliazione di tempi lavoro/famiglia per le donne, ma figuriamoci se ragionano di modelli di conciliazione per i padri. Troppo costosi per il capitale. E’ una società tutta votata alla cultura patriarcale che non vuole mollare un’oncia di diritto a chi stravolge il quadro che obbligherà a un ripensamento del modello sociale. Ma cosa ci si può aspettare da una nazione in cui la figura del capofamiglia è stata eliminata solo poco tempo fa. Per chi afferma che quel modello di famiglia è utile alla nazione anche la figura del padre padrone sarebbe giusta e meritevole di ripristino in termini legali. Già che ci siamo perché non concedere al padre (etero), allora, lo ius corrigendi, il potere di “correggere” il comportamento dei membri della famiglia concesso al capofamiglia?

E’ forse anticapitalista l’omofobia? Lo è la transfobia? Lo è la paura di un fantomatico gender? E che cosa c’entra Marx con la gender-fobia? Lo sa solo chi attacca frasi a muzzo tratti da testi storici per riadattarle ad una visione del mondo che vorrebbe decisamente autoritaria e fascista. E’ anticapitalista esigere che le donne facciano figli, entro la famiglia etero, per dare al capitale contributi per mantenere le pensioni dei vecchi benestanti? E’ anticapitalista dividere il mondo in ruoli di genere standardizzati, per la soddisfazione di paternalisti che immaginano di essere nuovi guru di ispirazione al mondo cattolico? Se vedo una cattolica integralista che parla di anticapitalismo per opporsi alla GpA, presto vedrò anche tanta gente, di fatto rossobruna, calpestare il palcoscenico di eventi come le marce no-choice o il family day.

Per chiarezza qui si parla di una nuova inquisizione dotata di argomenti decisamente confusi per esercitare nuovamente il controllo sui corpi delle donne. Le nuove streghe da cacciare sono quelle donne consapevoli del proprio valore. Le donne sono state sempre usate come forza lavoro gratuita. Il lavoro casalingo non è neppure considerato un lavoro. Non viene valorizzata la gravidanza, giacché, anzi, una donna gravida viene considerata priva di valore produttivo quando invece fornisce una ulteriore dose di braccia, fatica, sudore, cervello, per partecipare alla catena di montaggio che vuole altre persone che consumano, producono e crepano. Non viene valorizzata la cura, ché è gratis, e sarebbe da considerare un dono se non fosse caratterizzata da una attribuzione di ruoli destinati solo ad un genere. Anticapitalista è fare a pezzi l’attribuzione di quei ruoli che vogliono una schiava a tempo pieno a produrre senza indipendenza economica. La donna sta al capitalismo come i bambini dei paesi poveri, quelli che lavorano per le grandi corporation, stanno allo sfruttamento mondiale di forza lavoro.

Il capitalismo non vuole persone che sfuggono ai ruoli imposti perché tutto quanto dovrebbe essere messo in discussione. La gerarchia del capitale pone gli uomini, bianchi ed etero in cima a tutto. Comunque uomini ricchi. Poi ci sono le donne, bianche, etero, occidentali. Poi ci sono i migranti, ricchi, o poveri, poi ci sono le donne povere, precarie, di qualunque nazionalità, perché le donne sono il “nero” del mondo. Poi ci sono altre categorie umane e tutti quanti dovremmo essere consapevoli della stratificazione del privilegio secondo la regola del capitale. Osservate come chi ama la conservazione attacca sempre e solo chi tenta di raggiungere una pari posizione, non per assumere maggiore potere ma solo per ottenere garanzia dei diritti. Se un uomo batte un chiodo viene pagato. Se una donna lava le finestre è una regina del focolare. E via con queste compensazioni assurde e vomitevoli che parlano sempre e solo della meraviglia rappresentata da donne tutelate da patriarchi. Lusingate da chi ti chiama regina e poi ti tratta da schiava. Compiaciute per le balle raccontate da chi dice che vuole salvarti e poi ti rinchiude ancora entro una serie di norme che non puoi infrangere.

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Non è poi così strano che l’anticapitalismo pronunciato dalle anti/gpa sia condito di affermazioni misogine e omofobe e di sopravvalutazione della condizione di sottomissione delle donne che giammai potranno sfuggirla. Giù, perché non puoi certo avere il potere di gestire il tuo corpo, come vuoi, di dargli il valore, anche economico, che vuoi. Questa è una cosa che altri decideranno per te. E dunque mi pare assolutamente necessario analizzare il rossobrunismo come caratterizzazione di nuovi posizionamenti identitari e politici che non c’entrano niente con l’anticapitalismo reale, con il femminismo, con il rispetto per l’autodeterminazione dei soggetti, donne, lesbiche, gay, trans, migranti.

Questo misto fritto, l’incrocio tra cultura marxista/stalinista e integralismo di destra, non può diventare riferimento culturale femminista. Il femminismo o è intersezionale o non è. Non può essere razzista, omotrans/fobico, fascista, lesivo della autodeterminazione delle donne e di tutti i soggetti, di tutti i generi esistenti che si autonominano e si autorappresentano. Di certo il femminismo non è rossobruno. Perciò prima di affrontare, ulteriormente, le singole tematiche, assistendo alla inutile guerra tra tifoserie che attaccano le persone o assumono posizionamenti solo sulla base dei propri pregiudizi, sarebbe da stabilire di che forma ideale e politica stiamo parlando. Confusa, di certo. E poi? Perché se si capisce di che si tratta sappiamo tutt* con chi abbiamo a che fare e possiamo parlarci senza subire revisionismi di ogni tipo e uso generico del brand “donna” per legittimare pensieri autoritari e fascisti. Insomma: chi siete? Cosa volete? Un fiorino.

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L’anticapitalismo di convenienza delle missionarie del nuovo ordine femminista

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Vi ricordate il pezzo della femminista Nancy Fraser che ad un certo punto dichiarò come il femminismo, un certo femminismo, quello bianco, coloniale, ricco, che aveva deciso di non considerare la differenza di classe (e neppure di razza in verità) mentre diffondeva il verbo sulla questione della violenza sulle donne, fosse l’ancella del capitalismo? Ve la ricordate? Vi sintetizzo i punti salienti del suo discorso e anche di tante considerazioni lette e fatte dopo. Le femministe si erano concentrate troppo sulla questione della violenza domestica senza considerare gli aspetti intersezionali del problema e favorendo la diffusione di concetti neutri, perché abilmente usati dalle filo/capitaliste, al punto che la questione della violenza sulle donne diventò un brand utile a chiunque per attrarre consenso per partiti, istituzioni, governi (vi ricorda niente?), donne ricche e perfino di destra, che se ne fregavano delle rivendicazioni delle donne sull’aborto o sul diritto di cittadinanza delle migranti, ma ripetevano a memoria parole svuotate di senso giusto per legittimare paternalismo e industria del salvataggio, composta da polizie e istituzioni varie, oltreché di organizzazioni varie finanziate apposta per dedicarsi al problema anche se del problema non sapevano proprio nulla.

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Comunicazione, Contributi Critici

Iva al 4% su assorbenti: anche la strumentalizzazione delle donne è violenza!

Giacomo ha letto il mio post sulla riduzione dell’Iva al 4% per gli assorbenti e non è d’accordo su un po’ di cose. Molto volentieri pubblico qui la sua argomentata e bella critica. Buona lettura!

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In questi giorni sta circolando la notizia di una proposta di legge avanzata da Civati, per ridurre l’Iva sugli assorbenti dal 22% al 4%, equiparandoli a beni di prima necessità. L’idea della proposta ricalca leggi simili già presenti in altri paesi occidentali, ma anche le iniziative lanciate diverso tempo fa da svariate realtà del panorama politico radicale e libertario.

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Antiautoritarismo, Autodeterminazione, Contributi Critici, La posta di Eretica, Precarietà, R-Esistenze

Buon anno alla mia generazione

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di Annalisa

La mia generazione è nata durante gli Anni di piombo ed è cresciuta nell’incoscienza di un’infanzia di strada, forse l’ultima non vigilata né tutelata né compromessa dall’invadenza degli adulti, un’infanzia giocata a testa o croce per affidare alla sorte chi doveva scegliersi per primo il compagno di squadra, un’infanzia che, quando avevamo fame, per merenda andavamo nel campo di fronte casa e raccoglievamo l’uva e il latte dei fichi ci colava giù per tutto l’avambraccio e le mani ce le lavavamo sotto i rubinetti arrugginiti dei seminterrati. Se lanciavamo la palla troppo in alto o troppo forte scavalcavamo le cancellate dei cortili, bambine e bambini, e ce la dovevamo vedere con i ragazzini dell’altra palazzina che non ce lo volevano restituire o con qualche adulto che, stufo, non si faceva tanti scrupoli a tagliare il pallone e a ridarcelo sgonfio e pesantissimo.

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Antifascismo, Autodeterminazione, Critica femminista, R-Esistenze

#Nappi, #Fusaro e l’anticapitalismo di destra

valentina nappiSul web, se vi fa piacere, potete leggere uno “scambio” di battute tra Valentina Nappi, dalle pagine di Micromega, e Diego Fusaro, a partire da un blog chiamato l’Intellettuale Dissidente. Le prime battute furono quelle di Valentina Nappi che ragiona di anticapitalismo e fascismo arrivando a conclusioni che possono trovarvi d’accordo oppure no. Risponde Fusaro che la paragona pressappoco ad un verme e mentre tira fuori un sempre verde “né destra né sinistra” racconta la sua teoria.

La Nappi risponde dedicando una squirtata (in faccia) al Fusaro e il Fusaro scrive che lo squirtaggio sarebbe “emblema della società dello spettacolo e della pornografia del capitalismo postborghese“. Fiumi di parole per dire una cosa sostanziale: una pornostar ha da fare la pornostar e deve evitare di filosofeggiare, qualunque sia l’argomento che le piace trattare. Un tal Riccardo, tra i commenti al post di Fusaro, sostiene che non varrebbe la pena rispondere a una “prostituta“.

Tutto ciò dopo che Fusaro scrive che vedere la pornostar come l’emblema dell’emancipazione delle donne è più o meno una cosa brutta brutta (e qui mi sembra di rileggere talune femministe radicali che pronunciano l’antipornografia con lo stesso piglio di Andrea Dworkin). Da Libernazione partecipa Capriccioli che parla di maschilismo pur non essendo, da quel che leggo, d’accordo con nessuno dei due. Riferisce Il Giornale, con il solito piglio finto/antimoralista, che passa in difesa della Nappi a partire da una posizione sessista. Ce n’è per tutti, dunque, e il fatto è che detta così non ci si capisce molto. Io tenterei di fare una sintesi che mi è più comprensibile. Continua a leggere “#Nappi, #Fusaro e l’anticapitalismo di destra”

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La strage di Torino e l’alibi del #femminicidio (il capitalismo ringrazia!)

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Volevo scrivere ancora altre cose per raccontare il 2013, poi ho saputo della strage di Torino, un uomo di cui si dice fosse malato, depresso, disoccupato, ha ucciso moglie, suocera, figlia, e allora mi viene in mente la legge sul femminicidio, quella che avrebbe dovuto impedire le violenze, fondata sul criterio che la libertà delle donne si conquista con una denuncia e si persegue con percorsi legalitari e istituzionali. Fin dal momento in cui quella legge inappropriata, paternalista, priva di elementi di adesione alla realtà, fu approvata i delitti non sono affatto diminuiti. Ne sono seguiti molti altri, ché c’è sempre qualcuno, donne incluse, disposto a opprimere, per possesso e incapacità di accettare le differenze, l’autodeterminazione di chiunque dica no, agisca in conto proprio, autonomamente. Poi ci sono tanti delitti che per chi ha soldi e potere è comodo relegare nella sfera della cattiva predisposizione del maschile, così da deresponsabilizzarsi in termini sociali, economici, politici.

E dunque, io e altra gente adulta che viviamo con i piedi sulla terra, abbiamo capito che tanta deresponsabilizzazione corrisponde a una precisa intenzione: continuare a rendere precarie le vite, le famiglie, le persone, in nome del profitto.

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Sei post-femminista: l’insulto politically correct delle evangelizzatrici di massa!

UntitledIl concetto viene tirato fuori a partire da contesti in cui non possono più dirti espressamente che sei una seguace del maschilismo. Perché, ricorda: tutto quello che non fa capo al femminismo radicale, ovvero quello delle militanti antiporno e del comitato per la purezza dell’orgasmo, quello che “donna” è meglio in qualunque sua parvenza e se pensa autodeterminata è maschia, ovvero, maschilista, ovvero, politicamente parlando, è post-femminista.

Il femminismo, quello vero, pensato, respirato, finanche defecato da alcune donne, è giusto quello che praticano loro che irreprensibilmente dettano il verbo, la norma, che deve stare bene a tutte.

Per fare passare come buone le loro anacronistiche tesi, a partire dalle quali danno delle puttane alle puttane (ti vendi al patriarcato!!!), delle masochiste a quelle che nel sesso preferiscono farsi legare e danno delle donne permale alle porno star (cattiva, fai ergere peni e induci perfino alla masturbazione qualche donna!!!), son concentrate nel descrivere i mondi di donne che a loro non somigliano come sporchi, orribili, violentissimi, in cui le donne subiscono sempre e comunque, che poi è come dire che se stai in famiglia non ti succede niente, che se ti spogli e se ti esponi alle violenze te ne capiteranno di peggio.

Brutte e cattive le femministe che parlano di post-porno, di prostituzione libera e autodeterminata, di mettere fine alla repressione e alla proibizione. Brutte e cattive quelle che hanno da tempo abbandonato i santi crismi della beddamatresantissimosità e non valorizzano la differenza uterina (siamo queer, perdio!). Brutte quelle che raccontano la precarietà senza fare alcuna distinzione tra tutte le forme di sfruttamento.

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Cadaveri nel Mediterraneo in nome del profitto

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Anni fa vidi un cadavere arenato sulla riva, come una medusa, una conchiglia, un ramo, un pezzo di immondizia che il mare restituisce alla terra. Lo vidi in un angolo di mondo dove mi piace correre, nuotare, prendere il sole. Irriconoscibile, senza un volto, gonfio di quel mare che aveva tentato di varcare, emanava un fetore di morte misto alle macchie di petrolio che le piattaforme ormeggiate al largo lasciano sfuggire, sconfitto da scafisti, leggi, torturatori, protettori della fortezza Europa, reso invisibile da leggi razziste e disumane, rimosso dall’attenzione pubblica grazie ad una opera di ripulitura della notizia in se’:

– Trovato corpo di immigrato buttato a mare dallo scafista.

E mi va anche bene che lo scafista sia visto come l’esecutore della banalità del male, ma lo scafista esiste perché esistono leggi che vietano ai migranti di attraversare il mare legalmente. Esistono perché in tutta l’Europa ci sono lager cui i migranti sono destinati, in cui vengono rinchiusi per insegnare loro a perdere gli ultimi grammi d’umanità che durante quel lungo e difficile viaggio gli sono rimasti. Ma non volevo parlare di questo quanto raccontare la reazione delle persone che quella spiaggia la attraversavano. C’era il volenteroso, dispiaciuto, perché da quelle parti di persone buone ce ne sono tante, che rischiano la vita, fanno cordoni umani per salvare altre persone. C’era la signora rammaricata. C’era il pragmatico. C’erano poi quelli che passavano dicendo “oh, poverino… fa impressione” e continuavano la loro passeggiata, corsa, quel che stavano facendo.

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Comunicazione, Contributi Critici, R-Esistenze

#Guerrieri #EnelSharing: costretti al buio ché se non paghi ti tagliano la luce!

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Da FaS:

Avete presente la pubblicità Enel? Gli si è rivoltata contro. L’ha detta bene WuMing. Non serve arrabbiarsi. Bisogna sovvertire il messaggio, cavalcare il brand e renderlo veicolo di ulteriori significati.

Sicché hanno cominciato su Twitter, la faccenda si sta diffondendo su facebook e il web è invaso da messaggi in cui i #guerrieri sono quelli che resistono all’appropriazione della resistenza quotidiana per vendere un prodotto a stretto giro di monopolio.

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#Barilla Vs #Buitoni: davvero credete ad un capitalismo buono?

anticapitalismo selettivoI veri brand oggi sono le lotte sociali e identitarie. Lo sa meglio di chiunque altro chi fa comunicazione per le grandi aziende. Tant’è che ciascuna di loro si schiera a seconda del target di clienti che ha e della fetta di mercato che vuole ritagliarsi.

Barilla sta alla famiglia tradizionale come Buitoni (che poi sarebbe la Nestlè?) starebbe a ogni genere di famiglia (e dove l’abbiamo vista una sua pubblicità con una famiglia omogenitoriale?).

Come dicevo QUI – comunque – la cosa è un po’ più complessa. Se parli di stereotipi sessisti non puoi limitarti a girare sempre e solo attorno al mono/tema dell’uso della donna soprattutto se nel frattempo non dici che il brand “donna” lo usano per prime le istituzioni per raccattare consenso e legittimare ogni schifezza.

Se il capitalismo per veicolare i marchi che lo praticano ha bisogno di sposare brand come “donna”, “gay”, “ambiente”, etc etc, significa che si tratta di temi usati per vendere. E se si tratta di temi usati per vendere stai pur tranquill@ che quando vedi fronteggiarsi quel che tu presumi essere capitalismo buono contro il capitalismo cattivo, stai assistendo alla rimozione, sociale e collettiva del conflitto di classe.

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#BrasilProtesta: morti, repressione e quelle infiltrazioni fasciste nelle piazze

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Due morti in Brasile, vittime della repressione. Tra i due la donna è morta per i gas lacrimogeni, per chi ancora sostiene che quei gas sono una robetta così, senza importanza, mentre le polizie del mondo si esercitano a spruzzarti addosso roba urticante come fosse insetticida e tu un insetto.

La protesta brasiliana viene raccontata in modi diversi e da più punti di vista. QUI una ricostruzione e sintesi e QUI il racconto di Francesca che lì ci vive e partecipa a quelle proteste. QUI un intervento (con un video da vedere) su umori e motivi della piazza di Rio che forse differisce da altre.

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Antiautoritarismo, Antifascismo, R-Esistenze

#BrasilProtesta: la socialdemocrazia repressiva di Dilma Rousseff

A proposito del Brasile. Lo smantellamento del villaggio indigeno dei Maracanà per fare spazio a opere che servirebbero ai mondiali. Lo stanziamento di un sacco di soldi diretti a queste opere e a preparare tutto per i mondiali mentre dalle città si denunciano carenze di ogni tipo. Un primo post QUI chiarisce alcune cose. Oggi mi scrive Francesca, un’insegnante, che dal Brasile segue Abbatto i Muri e mi dice di abitare in una delle città in cui sono in atto le proteste.

Mi segnala tre video [1] [2] [3] che raccontano un po’ di cose importanti. Le ragioni della protesta, le contraddizioni nelle dichiarazioni di governo, le brutalità della polizia.

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Antiautoritarismo, Precarietà, R-Esistenze

#Brasile: Il mondiale per chi?

Da Femminismo a Sud:

di Panta Fika

Anche in Brasile è saltato il tappo e la protesta sociale si è riversata nelle strade di San Paolo, Belo Horizonte, Brasilia, Rio de Janeiro. Leggo da Repubblica che la miccia è stata accesa dal rincaro dei trasporti pubblici e dalle spese per i mondiali di calcio giudicate eccessive. In Turchia gli alberi, in Brasile il costo dei mezzi pubblici e, magari, anche quelle spese per i mondiali giudicate eccessive, stando a Repubblica, cioè, ritenute tali, poi non è mica detto che lo siano. Mi chiedo se Repubblica ignori, o finga di ignorare, che le proteste contro lo smantellamento del villaggio indigeno di Maracanà per le grandi opere dei mondiali di calcio sono in atto almeno da alcuni mesi e riguardano, a Rio de Janeiro come a Istanbul, la gentrificazione di un’area da cui vengono espulsi gli indigeni per far spazio a nuove infrastrutture, architetture commerciali e spazi legati agli eventi sportivi. In Brasile la risposta del governo è stata espressa nella stessa lingua di Erdogan, cioè quella militare, non solo del manganello, ma anche dei proiettili di gomma e dei gas urticanti. E’ accaduto già qualche mese fa, nonostante sembri che non se ne sia accorto nessun@. Neanche le tette al vento di una Femen, che solitamente destano un gran clamore, erano riuscite ad attirare l’attenzione mediatica sullo sgombero atroce di Maracanà.

Già nel passato novembre il movimento copa pra quem?/mondiale per chi? aveva lanciato una petizione online contro lo smantellamento del villaggio indigeno Maracanà e aveva indicato chiaramente le ragioni della sua protesta

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