Grandi polemiche tra “femministe” in questi giorni in cui si discute del fatto che si può essere islamofobe o per la causa palestinese. C’è chi ha imboccato la via, a mio avviso senza ritorno, già intrapresa da Oriana Fallaci, con il tono emergenziale di chi immagina che da un momento all’altro ci esploda sotto al culo una bomba a testa. C’è chi tenta di conservare un minimo di buon senso e di raccontare come il femminismo, se intersezionale, deve certo avere più considerazione di quel che significa autodeterminazione delle persone, dei popoli. Un territorio è come un corpo. Vorrebbe una femminista che quel corpo fosse occupato da qualcuno che di giorno in giorno, tra una intimidazione e l’altra, ti toglie la facoltà e il diritto di esprimere consenso o di negare l’occupazione dei propri spazi? E se crediamo che le donne, le persone, abbiano il diritto di autodeterminarsi, perché allora c’è chi nega alla Palestina, per esempio, il diritto di esistere e resistere all’autoritarismo del governo israeliano?
Sapevo che l’attentato a Parigi avrebbe di sicuro creato una frattura tra persone che apparentemente la pensano allo stesso modo solo perché unite dall’appartenenza allo stesso sesso. Io non ho mai creduto a questa unione uterina e penso che i movimentismi si realizzino per affinità politica, di classe, con tanta disponibilità a colloquiare civilmente con culture diverse. Ma come si fa a ragionare con donne, femministe, che in questi giorni solo perché tu racconti un dubbio sul presunto vittimismo a tutto tondo della Francia, dell’Europa e l’occidente, ti dicono che allora stai con i terroristi? E’ questo quel che si ottiene con la strategia della tensione, senza inventarmi complotti che non penso ci siano, ma l’uso che i governi, i politici e tante persone fanno degli attentati è indubbiamente atroce. I ragionamenti subiscono una pressione immensa e la tua opinione viene schiacciata di qua o di là, perché non puoi fare riflessioni ampie senza che qualcuno ti dica che devi restare stretta tra dicotomie rigide. Io odio i binarismi e li odio ancora di più se me li impone una femminista che stabilisce come il suo “femminismo” debba fungere da valore universale per chiunque.
Io sono schierata a favore della causa palestinese ma odio il terrorismo, in particolare perché penso che sia funzionale ai poteri forti e non giovi in nessun caso alle cause di qualunque tipo. La violenza contro le persone è esercitata da chi ha assunto un fanatismo, un integralismo osceno, come atteggiamento identitario, rigido e pseudo/politico. Non ha senso. Ma, perché c’è un ma, non si può paragonare la resistenza, come fu la resistenza partigiana, agli attacchi di un terrorismo di dominazione, legittimato dagli Stati e anche dai benpensanti che sono lì a marciare per le vittime di terrorismo salvo quando quelle vittime corrispondono ad un terrorismo di Stato. Dunque mi rifiuto di far scadere il dibattito opprimendolo in semplificazioni idiote per esigenza di contrapposizione. Ascolto tutti, mi pongo delle domande, ma se arriva qualcuna che mi dice che la riflessione sulle complessità equivale a parteggiare per i terroristi allora mi rifiuto di andare avanti.
Basterebbe leggere il libro Critica della Vittima di Daniele Giglioli per comprendere come l’ideologia vittimaria, che è oramai propria dell’occidente, sta riducendo ogni ragionamento ad una pappa molle, superficiale e sciocca, che non è interessante per nessuno. L’occidente è vittima come potrebbe esserlo un bianco, borghese, ricco, contro un nero, povero. Il rovesciamento è frutto di propaganda politica e se non si valuta la violenza commessa da chiunque inserendola nel giusto contesto non ci sarà di certo la possibilità di prevenire. Proseguendo nella riflessione, avendo a mente quello che è successo a Gaza solo poco tempo fa, Israele occupa un territorio che non gli appartiene e non mi pare cerchi modi per arrivare ad una qualunque forma di convivenza civile, avendo rispetto della cultura che gli vive a fianco. Piuttosto mi pare che si tenti una sorta di pulizia etnica con la legittimazione di Europa e Stati Uniti.
Il Libro di Giglioli racconta anche un’altra cosa: spiega che la “vittima” ha un fascino proprio, in quanto sarebbe inattaccabile e non si può assolutamente mettere in discussione. Chi si schiera dalla parte delle “vittime” dunque immagina di poter adottare un atteggiamento arrogante e autoritario perché vive di luce riflessa. Il riferimento è “io sto dalla parte delle vittime e se tu non compi questa azione di schieramento senza se e senza ma allora sei dalla parte dei terroristi, dei criminali, dei violenti”. Quel che dice Giglioli però ricorda come in questo pezzo di secolo schierarsi dalla parte delle vittime corrisponde ad una giustificazione per ottenere spazio per compiere azioni autoritarie. Basta vedere quel che hanno fatto gli Stati Uniti con il patriot act dopo l’11 settembre. Basta vedere quel che fa Israele che usa le vittime dell’olocausto per giustificare, malgrado loro, un massacro che non è più tollerabile. Basta vedere come vengono trattati, dagli stati europei stretti a respingere esseri umani che vorrebbero fuggire dalla guerra e dalla povertà, che l’occidente colonialista ha causato, gli individui che tentano una integrazione e vengono respinti, espulsi, rinchiusi in ghetti sociali e culturali entro i quali non possono che sorgere nuovi integralismi.
Le femministe che affrontano questi temi a mio avviso sono spesso impreparate. Non sono abituate alla lotta a favore di altro che non sia la “dignità femminile”. Capita che si interessino di quel che succede in altri paesi del mondo giusto in chiave colonialista. C’è la povera donna oppressa che la bianca occidentale vuole salvare. C’è la propria civiltà da mantenere in stato di purezza e lontana da ogni forma di contagio di altre culture. Tra quelle donne che abbiamo visto in piazza a dare delle zoccole ad altre donne, per esempio, chi vuoi che ci sia a proporre riflessioni antirazziste e antifasciste? Tra quelle che svolgono il femminismo in chiave bipartisan, con gruppi che vanno dall’estrema destra al centro sinistra, non è possibile trovare altro che superficiali e scandalizzate esclamazioni indignate contro questo o quel fatto. Costoro mettono la pubblicità sessista sullo stesso piano dell’attentato a Parigi. Evocano meccanismi securitari, censure, guerre, autoritarismi, in nome di tante persone che non vogliono certo essere rappresentate da loro.
Perciò, ecco, vi do una notizia che potrebbe sconvolgervi. La storia delle occupazioni imperialiste e del colonialismo è un pochino più complessa di un culo nudo in un manifesto contro il quale scagliare l’indignazione delle benpensanti. Se non si ha una conoscenza dei fascismi e dei razzismi non si può neppure dirsi femministe, a mio avviso. Una femminista è antirazzista e antifascista per forza di cose. Come si può, dunque, immaginarsi femministe se si evocano poteri forti, tutori, eserciti, bombe, a paravento di corpi che dichiarano di volere più sicurezza?
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Ragazze, c’è contesto e contesto: non fate una macedonia unica come alibi per sfogare rabbie e fondamentalismi.
splendido articolo.