Antiautoritarismo, Antisessismo, Autodeterminazione, Critica femminista, Femministese, Personale/Politico

Per le femministe della differenza: ci avete prolassato l’utero!

L'Ermafrodito dormiente (Parigi, Louvre)
L’Ermafrodito dormiente (Parigi, Louvre)

Mi scrive Irene Chias, già autrice del libro Sono ateo e ti amo e Esercizi di sevizia e seduzione (con il quale ha vinto il Premio Mondello). E’ esasperata tanto quanto me nei confronti di un certo femminismo che secondo me, e per quel che leggo, anche secondo lei ci è in qualche modo nemico. Ecco cosa scrive. Buona lettura!

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Voglio raccontarti una cosa: l’anno scorso, a un incontro al quale ero stata invitata a intervenire, mentre parlavo di Esercizi di sevizia e seduzione, ho dichiarato di non credere affatto che le donne siano intrinsecamente più buone degli uomini, intrinsecamente meno violente, intrinsecamente più propense alla generosità o alla cura. Una signora, sedicente femminista, anche lei ospite dell’evento, che aveva parlato fino a un minuto prima, mi ha interrotto per dire: ‘No! Loro la violenza ce l’hanno nella Y!’.

A me non interessava che la conversazione vertesse su Natura vs Cultura, sul ruolo del testosterone nell’aggressività e sulla distinzione fra aggressività e violenza, non l’avremmo finita più rischiando di impastoiarci in un ridicolo scontro fra innatismo ed empirismo senza avere gli strumenti per gestirlo. Ho quindi cercato di liquidare l’obiezione riconoscendo che avevamo idee profondamente diverse. Eppure questa persona ha continuato tutto il tempo a sostenere che gli uomini siano violenti per natura, adducendo a dimostrazione il fatto che i bambini maschi, anche a tre anni, se le darebbero di santa ragione, mentre le bambine che giocano sarebbero solidali fra di loro.

Al di là del fatto che ho visto bambine prepotenti menare altri bimbetti coetanei, e al di là del fatto che sarebbe da dimostrare che a tre anni un bambino non abbia già avuto modo di assorbire ruoli e modelli culturali, a questo punto mi chiedo: se queste femministe pensano davvero che sia così, secondo loro l’unica possibilità di evitare la violenza passa quindi per la repressione del maschio (violento per natura)? oppure si deve semplicemente accettare di essere stuprate perché gli uomini sono fatti così? Dov’è il femminismo in tutto questo?

Mi è capitato spesso di scontrarmi anche con uomini che con la scusa della superiorità femminile non fanno altro che esercitare autoindulgenza (‘siamo così’) e propugnare una limitazione della libertà di espressione di tantissime donne non “angeliche”. Questo finto femminismo non è altro che una prosecuzione della mentalità patriarcale con mezzi tutto sommato neanche tanto diversi da quelli di una volta. È un argomento sensibile che purtroppo ancora oggi mi irrita profondamente. Non hai idea con quanta gente eviti di sbottare quando mi dicono che le donne sono per natura migliori e che per questo non possono fare tutta una serie di cose che invece tutto sommato sono permesse agli uomini i quali sono sporchi brutti violenti però in quanto tali alla fine liberi.
E allora voglio poter essere sporca brutta violenta e cattiva anche io.

Con la scusa di una differenza biologica che sembrano tutti pronti a dimostrare riempiendosi la bocca di termini scientifici, si sta perpetuando un sessismo di stampo sempre e comunque patriarcale, perché un certo uso del pensiero della differenza alla fine non ha fatto che confermare e avallare una polarità di ruoli che rende più o meno schiavi tutti. Maschi inclusi.

È vero, abbiamo le mestruazioni. Ma questo non mi rende più simile alla signora che dice che i maschi hanno la violenza nella Y che al mio amico Luca, in termini di sensibilità e visione del mondo.
Anche perché queste idee riportano a una concezione rigorosamente binaria dell’umanità che non tiene conto delle realtà intermedie a questi due estremi ideali e ideologici, nelle quali ci collochiamo più o meno tutti, e di quelle, come l’ermafroditismo o il transessualismo (che ovviamente meriterebbero approfondimenti a parte), che fanno saltare il banco di questa dottrina.

Ed è la stessa mentalità che permette ad alcuni di dire “tornate a fare figli, cretine! in questo risiede la vostra felicità”. Mentre per gli uomini tutto si esaurisce in un autocompiaciuto “magari fossi un essere elementare come voi e la mia felicità potesse risiedere in questo… solo che sono un uomo, sono più complesso, devo andare in guerra, sono votato all’astrazione e bla bla bla”.

Preciso che io non nego l’importanza e la centralità del corpo nella vita di ciascuno, ne sia prova che nella prima pagina del mio romanzo ho scritto endometrio utero mestruazioni. Ma questo tipo di femminismo, e intendo le deformazioni dovute a un certo uso reazionario del pensiero della differenza, francamente, ci ha rotto i coglioni o fatto prolassare l’utero o universalmente frantumato le gonadi (volendo conservare la metafora).

Ciascuno è diverso di per sé: non ti proibisco di sentirti mia sorella se ritieni che il genere in qualche modo ci unisca, o di ritenermi di un altro pianeta se da maschio guardi con stupore al mistero dell’universo femminile (volendo riprendere le trite espressioni visibilmente androcentriche usate e abusate tanto da uomini quanto da donne), ma ti impedirò di dettare le regole del mio stare nel mondo in quanto femmina (o qualunque altra cosa tu mi ritenga).

Irene

Questa la sintesi del messaggio di Irene. A questo io aggiungo che quando un genere postula la sua superiorità rispetto all’altro si chiama sessismo e anche razzismo. Se l’unica soluzione che queste donne vedono per migliorare la relazione tra i sessi è quella di rieducare gli uomini, compatendoli, pensando che in fondo in fondo comunque sono potenziali stupratori, questo a mio avviso è un delirio. Le donne hanno subìto l’idea che l’uomo fosse superiore a noi per tanto tempo. Criminalizzando l’uomo in quanto tale non rischiamo di fare la stessa cosa?

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19 pensieri su “Per le femministe della differenza: ci avete prolassato l’utero!”

  1. Io penso che, come in molti altri ambiti, il problema sia il potere. In ogni ambito, chi desidera prendere il potere, non si rende conto che, così facendo, non mira a sovvertire un ordine, ma a sostituirne uno con un altro. Basti pensare alle grandi rivoluzioni: non hanno eliminato il potere, pur combattendo contro di esso, ma ne hanno semplicemente istituito un altro. Di conseguenza, direbbe Tomasi di Lampedusa, hanno cambiato tutto per non cambiare nulla. Io penso che il problema sia il potere stesso, non chi comanda. Perché il disagio é creato dal rapporto dominante/dominato, rapporto che sussiste solo in presenza di un potere detenuto da chicchessia. Anche cambiasse il dominante, non cambierebbero le dinamiche. Comandassero le donne, esempio, oggi si parlerebbe dei diritti degli uomini e la situazione non sarebbe per niente diversa da come appare oggi. Io credo che, per sovvertire un sistema, serva privare quest’ultimo dei suoi punti cardine. Il potere penso sia il fondamento di questo sistema. Non so quale possa essere un modo per abbatterlo, pensandoci mi viene in mente “rifiutarlo e rifiutare le dinamiche che il potere crea”. Perchè, credo io, proprio le femministe che fanno la guerra aperta agli uomini sono la perfetta espressione del dominio, o di qualcosa che vorrebbe dominare. Sono un’appendice del potere e le loro azioni non fanno altro che rafforzare questa dinamica. Anche perché si esprimono con le stesse parole, le stesse frasi, gli stessi modi di dire del fantomatico nemico. Quindi verrebbe da chiedersi in cosa, alla fine, siano così diverse, migliori.
    Detto questo, spero di non averle sparate troppo grosse. Sono andato un po’ a braccio.
    Ho scelto l’espressione potere perché era la più generica e chiedo scusa se non ho usato i giusti termini. Come si sarà notato, non sono proprio ferratissimo in materia.

    1. Condivido l’analisi ed anche io concordo nel ritenere le rivoluzioni il modo migliore per trasferire il potere da un sistema all’altro. In quanto alla discussione in atto credo invece che, l’unica soluzione praticabile, sia quella di abbattere le differenze di genere nell’unica sfera che conti realmente ovvero quella dei diritti e quella della reale parità economica.Date a chi non ha potere(che sia una donna, un uomo disoccupato,un emigrante,un profugo,un gay,un nero,un bianco,un marziano o quel che è) l’indipendenza economica ed i diritti necessari( parità di stipendi a parità di mansioni,meritocrazia senza distinzioni,reali possibilità di fare carriera,lavoro ecc ecc)ed avremo fatto un balzo enorme in avanti come società. Alla fine, non dico che sparirà la violenza(io credo che la violenza sia anche insita dalla nascita,basta guardare ciò che spesso fanno i cosiddetti figli di buona famiglia…)ma certo diminuiranno molte inuguaglianze e questo sarebbe già un mondo migliore di questo!

  2. Ottimo articolo, commento interessante, ma, per andare oltre le idee, ecco i problemi: ‘il potere’ è sempre incarnato da ‘qualcuno’, quindi si finisce necessariamente per lottare contro quel qualcuno.
    Il potere non si può ‘abbattere’ rifiutandolo, ma si può ‘combattere’: ‘rifiutarlo… rifiutare le dinamiche’ è teoria, combatterlo è pratica. Come combatti ‘le dinamiche’? Cominciamo ad elencare le dinamiche culturali e sociali? Vedi per es.: http://espresso.repubblica.it/attualita/2014/11/24/news/violenza-sulle-donne-quanti-miti-da-sfatare-1.189012

    1. Ma prima di combattere, bisogna compiere un atto di autocoscienza che necessita un rifiuto. Penso io. Bisogna capire cosa si intende rifiutare, perché è da qui che inizia tutto. Si può scegliere di rifiutare il potere quanto tale, e quindi combattere ogni tipo di potere o si può scegliere di rifiutare chi comanda, e quindi combattere i capi, ma non il potere. Le così definite Femministe della differenza, a mio avviso, combattono solo i capi e non il potere in sé. Combattono, in sostanza (e se mi ricordo bene i termini corretti), per un cambiamento di stato e non per un cambiamento totale. Come chi sosteneva, a suo tempo, la dittatura del proletariato. Io non credo che, se chi prima era oppresso e poi si trova al comando possa fare chissà quali migliori cose. Per me fa schifo uguale. Finché rimarranno delle dinamiche di sfruttato/sfruttatore a me farà schifo uguale. Finché si combatterà qualcosa in ottica di presa di potere, abbattimento d’un nemico e basta, a me farà schifo uguale. Perché non ci sarà mai un cambiamento effettivo, nel contenuto, ma solo un mutamento della forma: un nome diverso, stesse dinamiche. Io dico che combattere per prendere il potere e combattere per abbattere il potere sono due cose ben diverse. Per questo dico che il rifiuto è il primo passo. L’insubordinazione, volendo. L’allergia alle gerarchie. La sordità ai comandi. Soprattutto, uscire dalle dinamiche del potere, e quindi dalle sue gerarchie, impedisce anche che si verifichino casi in cui qualcuno pensa d’aver più ragione d’altri. Perché è violenza anche quella, a mio parere: dire a qualcuno che deve stare zitto perché non ha diritto di parlare (non è il tuo caso eh, mi riferivo agli articoli che ho letto).
      Poi, io sarò esigente, ma mi sono rotto i coglioni di combattere, combattere, combattere e vedere, all’interno dei gruppi “resistenti”, le stesse identiche dinamiche sociali presenti in ciò che si vuole abbattere. Mi sembra un controsenso, una presa per il culo. E, sinceramente, fa anche incazzare.
      Il link che hai messo era molto interessante. Su almeno cinque dei sette miti ci ho apertamente litigato con più persone. Specialmente quella degli uomini che, poverini, non si sanno controllare quando sono innamorati. Credo sia una della cazzate più grosse dopo quella di Adamo, Eva, la mela.
      Chiedo scusa per la lunghezza siderale, ammetto d’esser prolisso. Ho iniziato a considerarla una malattia.

  3. Hai evidenziato temi interessanti, condivido l’espressione che usi quando dici che sei contro “un uso reazionario dle pensiero della differenza”, che secondo me è un pensiero molto complesso e ricco e che da sempre si pone questi problemi che tu evidenzi. Il problema è che spesso ne viene data una versione reazionaria o semplicistica: come se il fatto di dire che c’è una differenza tra maschi e femmine determinasse gli esiti (storie singole, caratteri, comportamenti, peggio ancora bontà o cattiveria), ma questa differenza il pensiero della differenza ha veramente provato a pensarla, p.es. sul nascere maschi o femmine Muraro scrive che questo “si offre alla significazione”, cioè è qualcosa che si presta all’ attribuzione di significati e così è stato nella storia delle culture (con i ruoli sociali etc.) ed è nella vita dei singoli quando nasce un bambino o una bambina anche verso chi nasce di un “terzo” sesso in modo costrittivo, ma il pens.d.diff.sess. in questo legge e disvela la realtà della società e della cultura; e la questione del terzo sesso anche questa va pensata perché è importante. Lancio un appello speranzoso perché non venga buttato a mare un pensiero che è prezioso e dice tanto, solo perché non dice tutto e perché ha delle sostenitrici e a volte sostenitori che ne danno versioni semplicistiche, superficiali e che non ne rendono la ricchezza e il potere di descrizione della realtà e di cambiamento.

    1. Grazie per questo commento.
      Quello che del pensiero della differenza rischia di arrivare a chi non lo studia nella sua complessità – e quindi anche a me – è proprio il suo utilizzo strumentale per il ritorno a un’idea di ‘Natura’ costrittiva e inequivocabile e di un determinismo biologico che però è anche tradimento della verità del corpo (il sangue di “noi donne” nelle pubblicità degli assorbenti per “quei giorni” è ancora blu).
      Quando sento qualcuno che mi dice “le donne sono madri, non dovrebbero poter andare in prima linea in guerra” mi si scuote qualcosa nel profondo, e potrebbe sembrare paradossale dato che a me non è mai interessato andare a sparare a un presunto nemico, né lo ritengo un diritto umano, e considero preferibile che nessuno sparasse a nessuno. Ma lo riconosco come un appello a quella stessa presupposta ‘Natura’ che ha voluto generazioni di donne, la cui storia è a me vicina – parlo di ampie famiglie della provincia siciliana contadina o piccolo borghese -, sprecare il proprio talento e avvizzirsi dietro a figli amati ma forse non autenticamente desiderati, ridursi in schiavitù sotto l’obbligo del lavoro domestico, bruciare la propria intelligenza in campi a loro non congeniali come il rammendo o cambio pannolini a bambini e anziani, a volte letteralmente consumarsi e morire di famiglia.
      Da ragazzina, avevo forse undici anni, rimasi turbata da quello che mi disse la madre di una bambina che ero andata a trovare a casa per la prima volta quando raccontai che non ritenevo giusto che io dovessi fare i piatti e mio fratello no. Mi disse: le femmine sono più portate. Sono nata negli anni Settanta, anche nella provincia siciliana era arrivata l’idea della parità di diritti fra uomo e donna, ma dov’è questa parità se una signora che manco conosco può dirmi che sono più portata di mio fratello a togliere l’unto dalle pignatte e a pulire la casa? Dov’è il femminismo della signora che dice che i maschi la violenza ce l’hanno nella Y?
      Non so come possa il pensiero della differenza, quello ricco e quello serio, non prestare il fianco a questo uso reazionario. Ma se un modo per smarcarsi ci fosse, bisognerebbe ragionarci su, perché ho l’impressione che quello che sta succedendo sia un male per tutti.

      1. grazie a te per la risposta, siamo degli stessi luoghi e stessi anni… io Palermo ’72; per me il pensiero della differenza sessuale studiato e discusso in gruppo è stato quello che mi ha consentito di riallacciare i fili con la filosofia che era quello che studiavo all’università, di laurearmi etc. Cioè mi ha aiutato a trovare la mia posizione rispetto a quel sapere in quel momento, una posizione personale, politica, non di soli studi.
        Secondo me “prestare il fianco” ad interpretazioni, anche essere banalizzato e reso stupido è sempre proprio di ogni pensiero. Sul come si può fare a smarcarci dai termini in cui spesso per ora viene fatto il dibattito, l’impresa affascina anche me e sono d’accordo con te che può essere utile a trovare qualcosa di migliore per ognuna e ognuno di noi. Personalmente leggendo e litigando su questi temi/libri mi sono esercitata a “pensare” la differenza sessuale, il tentativo che loro fanno è questo: pensare la differenza sessuale profondamente e liberamente (tendendo a libertà), cioè al di là dei ruoli sociali storicamente affibbiati precisamente come quello che scrivevi: “sei più portata di tuo fratello” e simili, al di là del femminile e del maschile stereotipati, del materno “naturale” etc . Il pens.d.diff.sess. mi ha messo a portata di mano il fatto che tutto questo si può pensare, quindi ripensare e quindi provare a cambiarlo, perché non è “per natura”: “pensare la differenza sessuale” significa p.es. pensare non le caratteristiche maschili o femminili presunte “naturali”, ma il nodo del pensiero (non singolo, ma di gruppi interi) per cui, alla nascita, a certe caratteristiche che vengono riconosciute come maschili o femminili i gruppi sociali e i singoli/le singole reagiscono solitamente con una serie di comportamenti per cui, p.es., come si diceva nell’articolo che riporti, a tre anni già molto di questo lavoro di acquisizione del ruolo sociale è fatto. Il pens.d.diff.sess. dà molti strumenti teorici per leggere questo. Io apprezzo soprattutto alcune autrici e alcuni testi, alcuni sono stati per me fondamentali (nei testi di Diotima degli inizi: Luisa Muraro, Adriana Cavarero, Diana Sartori e poi un libro di Luisa Muraro, nostro coevo, “Maglia o uncinetto”, per tante cose ma soprattutto perché dà spazio e mi ha fatto capire quanto una realtà non naturale, come appunto i ruoli e le caratteristiche tradizionalmente attribuite per natura al maschile e al femminile siano una realtà consistente, consistentissima pur non essendo naturale, perché questo è stato da noi appreso, perché c’è una resistenza al cambiamento non risolvibile tutta nella consapevolezza, perché ci siamo stati/e educati/e e quindi il cambiamento non si avvia in modo lineare e una volta per tutte – e questo mi interessa molto: come cambiare – ). Dà strumenti per capire che noi donne e uomini che cerchiamo di vivere libere e liberi lo facciamo nell’ambito di una cultura patriarcale misogina e fondata sulla misoginia.
        Spero che continueremo a ragionarci su.

          1. grazie, l’avevo letto e vorrei rileggere con più attenzione i due testi, che meritano, e di scrivere qualche osservazione. Spero al più presto!

  4. Non conosco queste “femministe della differenza” che se esistono hanno una visione tutta loro della biologia. Altra cosa è il pensiero della differenza, ma non credo che fosse questo il target dell’articolo

  5. Pingback: Document Moved
  6. mamma quanto condivido il pensiero di Irene Chias: quando sono arrivato alla seguente frase dell’articolo ” Questo finto femminismo non è altro che una prosecuzione della mentalità patriarcale con mezzi tutto sommato neanche tanto diversi da quelli di una volta” stavo per esultare come un cretino davanti al monitor!  …la penso ESATTAMENTE nello stesso modo!

  7. Ciao, sono pienamente d’accordo sul fatto che postulare la superiorità o inferiorità di un sesso su un altro sia sessismo, nella sua manifestazione più odiosa. Mi sembra particolarmente brillante la tua analisi di quell’argomentazione maschile per cui “le donne sono superiori agli uomini”, che mi è sempre sembrata una tecnica banalotta per relegarmi in gabbie o su piedistalli che non sentivo miei in ugual misura. Però credo che per femminismo della differenza si intendano varie cose, spesso molto diverse da quelle descritte nel post. Penso a Luce Irigaray o all’idea sviluppatasi negli anni ’80 in contrapposizione a un femminismo che apparisse come un tentativo di “raggiungere gli uomini”, come se avessimo qualcosa da dimostrare o codici da accettare. Quando questo tipo di femminismo sfocia nell’essenzialismo, come giustamente rilevano lettera e post, diventa riduttivo e discriminatorio come qualsiasi altra cosa. Per questo, dopo un momento di rabbia iniziale nel leggere il titolo ho trovato interessante l’articolo, anche se mi premeva specificare che il femminismo della differenza non sempre si macchia di essenzialismo, spesso si limita a dire che siamo tutti diversi, e ben venga, e ciascuno si viva questa sua peculiarità come meglio crede.

  8. “Questa la sintesi del messaggio di Irene. A questo io aggiungo che quando un genere postula la sua superiorità rispetto all’altro si chiama sessismo e anche razzismo. Se l’unica soluzione che queste donne vedono per migliorare la relazione tra i sessi è quella di rieducare gli uomini, compatendoli, pensando che in fondo in fondo comunque sono potenziali stupratori, questo a mio avviso è un delirio. Le donne hanno subìto l’idea che l’uomo fosse superiore a noi per tanto tempo. Criminalizzando l’uomo in quanto tale non rischiamo di fare la stessa cosa?”.
    Scusate ma il sessismo al contrario così come il razzismo al contrario Non Esistono. Ci sono tanti femminismi che non regalano fiducia al maschio cisgender di default. Mi sembra un buonismo al contrario piuttosto. Io sto nel movimento con uomini che prima di tutto lottano dentro se stessi per decostruire il posizionamento orribile che li caratterizza. Viviamo in una cultura dello stupro che permea tutte e tutti, il lavoro che le persone socializzate come donne si ritrovano quando hanno s/fortuna a fare è molto diverso da quello di chi è socializzato come maschio. Spesso quel lavoro ci cade addosso in questa società in cui nasciamo dentro un conflitto tra sessi che avremmo volentieri evitato come donne. Ci cade addosso a causa della violenza e della discriminazione. Quando intersechiamo la classe a cui apparteniamo o la razza ovviamente le cose si complicano ovviamente. Ma non ci raccontiamo con sto post femminismo che per maschi e femmine cis le sfide sono le stesse. Per favore.

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