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Il ricatto morale e lo squadrismo 2.0 in difesa del femminicidio

Ha ragione Loredana Lipperini a dire che la questione sollevata da tante persone è sostanzialmente quella che solleviamo noi. Noi che non siamo giustizialiste, fasciste, che non vogliamo creare allarmismo e panico morale, noi che distinguiamo bene quando si tratta di soluzioni e di questioni sociali. Lo scrive lei, assieme a Michela Murgia, che femminicidio non è tutto ciò che riguarda le donne, ogni delitto che vede una donna in quanto vittima, e che c’è un grosso problema culturale da risolvere che riguarda tutti/e. Un problema culturale che attiene ai generi, tutti quanti, perché assegna ruoli, impone funzioni, incastra chiunque nell’interpretazione di modelli che vanno destrutturati socialmente e culturalmente. C’è un problema che riguarda l’assetto di tutta la società e c’è un integralismo di ritorno che sposta a destra i contenuti delle discussioni sulla violenza sulle donne. Domina indisturbato il parere di chi parla di donne liberate e poi ne costringe l’autodeterminazione imponendo restrizioni sull’uso del corpo, sulla sessualità, sul lavoro, sui ruoli di cura, sulla libertà di essere cittadine, assieme ad altri cittadini, di ogni nazione possibile ove intendano abitare.

Non è possibile fare una discussione serena su questo problema al punto che si investe in crociate unidirezionali alla sconfitta di ipotetici mostri da annientare, quando in realtà la questione della violenza sulle donne richiede equilibrio, lucidità, laicità, distanza, per essere affrontata e risolta. I media sono oramai lanciati nella diffusione di tanta pornografia emotiva e raccattando numeri fasulli semina panico morale al punto che diventa perfino un dovere per le vittime di violenza placare l’ansia sociale dei tutori o aspiranti tali prima ancora di risolvere il proprio problema.

Quel che è più inquietante è il fatto che sia stato avallato un ricatto morale per cui chi discute in senso differente di questo fenomeno, tentando di assestare la discussione su ragioni di buon senso, finisce per essere bollat@ come colui o colei il quale, la quale, sarebbe dalla parte degli uomini che fanno violenza sulle donne. C’è una violenza enorme che si esercita su di me per aver sottolineato criticità, violenza che è fatta di insulti, di cyberbullismo, diffamazione, cyberstalking, da parte di chi dice di avere a cuore le vittime di violenza e non ha ascoltato una sola mia richiesta di tregua, di aiuto, di “cessate il fuoco. Persone che ammantano di critica politica risentimento, un’odio viscerale e una ossessione profonda nei miei confronti e che inventano menzogne per delegittimare le mie opinioni. Persone che ritengono di essere in guerra e che esigono che io sia sacrificata sull’altare della lotta contro la violenza sulla donna come nemica delle donne.

Io so cos’è una critica politica. Leggo un articolo, commento, anche in modo aspro se è il caso, dopodiché non leggerete mai sulla mia bacheca facebook una sola parola di astio rivolta alla persona. Mai un livoroso riferimento, mai una ossessione nei confronti di nessuno. Mai una crociata, una richiesta di scomunica proposta qui e là su pagine facebook, a gruppi e a persone, mai contatterò amiche di qualcuna che dice cose che non condivido per chiedere che sia defenestrata, esclusa, cancellata, mai minerò il suo equilibrio e la sua serenità, mai le procurerò un’ansia tale da procurarle problemi di salute, mai le inoltrerò in forma anonima commenti e messaggi che lei per proteggersi non vuole leggere perché il veleno continui a scavarle dentro, mai la obbligherò a cambiare le sue abitudini, a rendersi invisibile, mai la perseguiterò sulle bacheche dei suoi amici per rendere visibile l’odio mentre lei tenta di mantenere in vita le sue relazioni sociali, mai la obbligherò all’isolamento più totale e addirittura a immaginare di smettere tutto, mai interferirò con la sua vita privata, mai tenterò di immaginare complotti e trame oscure per evitare di accettare il fatto che ci sia una donna che la pensa in modo diverso da me, perché le donne non fanno massa unica e pensano diversamente ed esserne consapevoli è già un primo passo per accettare l’alterità con gran rispetto, mai esigerò che lei chiuda il suo spazio, mai invierò messaggi multipli per chiedere che la gente si cancelli dalla sua pagina facebook, mai inveirò contro di lei giurandole sputi, spintoni, nel caso la vedessi, mai spererei un mondo senza di lei e la sua voce perché per me non esiste un mondo in cui ci sia solo la mia, unica, il mio pensiero, unico, il mio battito del cuore, unico, mai mi inserirei in questa enorme persecuzione senza prenderne le distanze e anzi strizzando l’occhio, fornendo argomenti e legittimando questo genere di fanatismi, mai perciò dirò una bugia per rovinarle la reputazione.

Io leggo, commento, il giorno dopo quella persona scrive una cosa che condivido e dico che io sono d’accordo con il rispetto che è dovuto alla persona. Questo è il terreno in cui si esercita la critica politica. Diversamente si tratta di odio viscerale contro di lei, di fanatismo e di ossessione e dunque di cyberbullismo, cyberstalking e diffamazione. Squadrismo 2.0 lo chiama una mia amica. Fascismi, integralismi. La stessa intolleranza e virulenza tanto fascista dedicata a chi, per dire, da compagno o compagna, osa affermare di aver votato il Movimento Cinque Stelle. Gente che se non la pensi come loro ti banna dall’umanità. Cose violente che non possono essere tollerate neppure in nome della difesa dei diritti delle donne.

Sono una donna anch’io, ho diritto a manifestare la mia opinione, ho il diritto di non essere insultata, perseguitata, diffamata, violentata per questo. Puoi dirmi che non sei d’accordo dopodiché la smetti di perseguitarmi perché se il tuo obiettivo è cancellare la mia opinione devi rassegnarti al fatto che non puoi distruggere e cancellare me ché sento addosso, fortissimo, quel ricatto morale di cui parlano alcuni quando tentano, ciascuno con la propria sensibilità, di sollevare un gran problema.

Chi lo solleva farebbe bene a non concludere che un errore numerico, che c’è, ne sono certa, coincida con l’inesistenza di un problema. Il problema esiste e va risolto. Se ciascun@ di voi non l’ha vissuto non significa che non esista. Se non vedete attorno a voi una donna ammazzata non vuol dire che altrove questo non accadrà. E’ un fatto che in Italia una donna può essere uccisa per questioni di possesso. Saranno 100 o 70 all’anno ma se non ci fossero sarebbe meglio. Meglio per tutti. Meglio perché un contesto in cui quella dinamica proprietaria non viene favorita e viene culturalmente combattuta consente un miglioramento delle relazioni in generale. E la cultura del possesso va combattuta ovunque essa si manifesti senza pensare che il problema attenga al “maschio” perché non è biologia ma è mentalità e cultura, viene favorita da chiunque, qualunque sia il genere al quale appartenga, e dunque combattere quella cultura ha effetti immediati su tutto e tutti e non capisco come questo possa essere cosa negativa di per se’.

Io condivido l’idea che non esista repressione che risolve, penso che cultura, educazione, prevenzione, reti territoriali per persone coinvolte nella violenza siano necessari. Che c’è una questione di precarietà oggettiva, di vita, di affetti, di lavoro e reddito da risolvere. Che i ruoli vadano rimessi in discussione e le donne devono smetterla di coccolare i ruoli di cura che vengono loro assegnati, smetterla di dotarsi di mitra culturali per garantirsi sopravvivenza dello status potente di uniche curatrici degli affetti familiari. Gli uomini devono smetterla di immaginare che quei ruoli siano assegnati per natura e rimettersi in discussione così come lo facciamo quotidianamente noi. La biologia non ci vuole subordinate, a casa, a fare figli, a badare a loro, a rivendicare diritti solo in quanto mamme, perché siamo persone e persone lo sono tutte quelle che subiscono violenza di genere, in relazione al ruolo di genere che viene loro assegnato, includendo uomini, gay, lesbiche, trans. Rivedere la questione a 360 gradi è necessario senza cullarsi nell’idea che un tutore o un nuovo reato oggi toglie un femminicidio domani perché non è così.

E dire tutto questo, problematizzare tutto quanto, guardarlo da un’altra prospettiva che è dalla parte delle vittime e non dei tutori, come può essere negare la violenza sulle donne? Come potrei io negarla se ne sono stata vittima?

Attendo con ansia l’ulteriore valanga di merda che mi pioverà addosso dopo questo post perché, sappiatelo, io, vittima di violenza, se non discuto di violenza sulle donne come ne parla un tot di gente, meriterei altra e disumana violenza, anzi, per usare una figura retorica a me riferita che mi è rimasta impressa, merito che mi si spari, virtualmente, prima che io apra bocca.

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1 pensiero su “Il ricatto morale e lo squadrismo 2.0 in difesa del femminicidio”

  1. cara Laglasnost, dici che ti hanno ricoperta di merda, allora devo dire che è vero che dalla merda può nascere un fiore, perchè è nato un fiore, ora bisogna farlo crescere, curarlo, sperando che un giorno sia in grado di diffondere i suoi semi. prima o poi l’odio portato fino a dentro le famiglie da questa guerra assurda, (nata per questioni economiche come tutte le guerre), dovrà lasciare il posto alla pace. un saluto

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