Guardare il documentario su Amanda Knox, visibile su Netflix, mi fa venire voglia di urlare. Più lo ascolto e metto assieme i dettagli di questa terribile vicenda e più mi viene voglia di dire: ma dove cazzo eravate tutti quanti voi quando in pochissim* dicevamo che tutto si giocava sulla demonizzazione dei processati e sulla santificazione della vittima? Di più: si giocava sulla dicotomia santa/puttana e Amanda Knox non veniva giudicata solo in quanto promiscua, perversa, demoniaca, pazza, ma come conduttrice di un gioco erotico a base di sesso/droga/rock&roll (per droga si intende niente po’ po’ di meno che lo spinello). Una vittima di stupro e femminicidio non ha bisogno di essere definita in quanto santa per essere riconosciuta come vittima. Ma noi, qui, in Italia, sappiamo bene che se di lei, di Meredith Kercher, si fosse detto che si trattava di una normale ragazza come tante, le cui esperienze sessuali poco c’entravano con quel che le è successo e poco c’entravano con il processo alla ricerca di colpevoli da condannare, qualcuno, anzi, più di una persona avrebbe scritto che se l’era cercata. L’avrebbero detto eccome. Invece hanno trovato lei, Amanda Knox, che è diventata famosa suo malgrado, perché non penso volesse passare alla storia per la manipolativa e perfida fanciulla dallo sguardo di ghiaccio.
Categoria: Acchiappa Mostri
La ragazza coi piercing e il giornalismo di infima categoria
Come dicevo ieri gli esempi di cattivo giornalismo sul caso di Ilaria non si fanno attendere. Ne cito uno a casa, pubblicato su Repubblica, a firma Alessandra Ziniti.
Il titolo sensazionalista, basato su una ipotesi di testimonianza, un sentito dire, chissà. La foto della ragazza, quella presa da facebook che dà l’impressione che la tizia non smettesse mai di avere la posa da tossica. Le viene fuori dalla bocca nientemeno che del fumo azzurro. Chissà che cosa mai sarà. I piercing, che fanno tanto “faccia da drogata”, come qualcun@ commentava su facebook ieri, commenti che poi non si discostano da quel che leggo sui media mainstream, e poi il lobo dell’orecchio che non è, cara Ziniti, “sfondato”, ma è adornato di un dilatatore che è la moda del momento. Si inizia con un piccolo dilatatore, poi via via se ne usa uno sempre più grande e lo usano persone di ogni tipo. Tu pensa, lo usano anche quelli che non fumano neppure le sigarette.
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Tutte zitte se il “raptus” viene attribuito a una madre assassina?
Io ricordo bene la storia delle “tre sorelline di Lecco” uccise dalla madre. Lo ricordo soprattutto per il diverso approccio che ha avuto Alfano nel tentativo di annunciare una azione forte di contrasto alla violenza da parte del governo. Appena fu nota la notizia dell’assassinio delle tre bambine Alfano, dando per scontato che le avesse uccise un uomo, scrive su twitter:
“Non daremo scampo a chi ha compiuto gesto efferato e ignobile #Lecco. Troveremo chi è stato e non daremo scampo a responsabile”
Poi viene fuori che ad ucciderle fu la madre e allora il registro cambia:
“Arrestata dai Carabinieri la madre delle tre sorelline uccise a Lecco. Gesto di follia scatenato da separazione dal padre. Enorme tristezza”
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Pompino sotto accusa. Se chi lo fa è una “zoccola”…
Un amico mi segnala un fatto che giustamente a lui pare increscioso. Un ragazzo e una ragazza si sono appartati, e neppure tanto bene in realtà, e lei ha fatto un pompino a lui. Questo è quel che viene riferito. Lei oltre ad essere indicata come pompinara viene anche giudicata perché avrebbe tradito il suo fidanzato. L’amante occasionale invece coglie l’occasione per girare un video in cui i due fanno e parlano assai. Dopodiché lui avrebbe condiviso il video su whatsup. A questo punto la faccenda si complica perché il video diventa virale. In rete potete trovare vari remix e tante pagine facebook o commenti che si riferiscono alla ragazza in questione.
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Amanda Knox: la strega che per vincere si è trasformata in santa
Amanda Knox e Raffaele Sollecito sono stati assolti. Senza dimenticare Meredith e lasciando che di questioni tribunalizie discutano quelli che ne sanno più di me, mi piacerebbe condividere una riflessione che ho in mente da diverso tempo. A parte tutti i ricami che i media su questa storia hanno fatto, soldi a palate per trasmissioni televisive e media che ci hanno intrattenuti con commenti vari, l’immancabile plastico della scena del delitto e le interpretazioni di criminologi e psichiatri di passaggio, quel che vorrei osservare è la maniera in cui è stata trattata Amanda.
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A cosa serve l’infantilizzazione di una adolescente?
La notizia è quella di una relazione – che il Gazzettino di Mantova chiama “tresca” – tra una alunna di 14 anni e un insegnante di 46. Trentadue anni di differenza lasciano pensare ad un adulto che convince una ragazzina a stare con lui. Il tizio non viene comunque accusato di violenza sessuale, perché ci sono una miriade di messaggini e file che dimostrerebbero che lei non era “costretta” a fare niente. Dunque i rapporti sessuali avvenivano in maniera consensuale. L’imputazione a carico dell’insegnante è di “atti sessuali con minorenne, prevista dall’articolo 609 quater del codice penale, relativa alla persona a cui il minorenne è affidato «per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia…»“. La pena per questo reato è di cinque anni, circa.
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#Firenze: non fu stupro di gruppo. Cos’è allora la violenza?
Ricordo che quando si parlò dell’accusa di stupro di gruppo contro sette ragazzi fiorentini, era il tempo in cui si urlava all’emergenza stupri commessi dagli immigrati e il piano securitario messo a punto a Firenze, per conto dell’assessorato alla sicurezza, faceva un po’ di vittime tra accattoni e simili. La faccenda balzò agli onori della cronaca con toni sensazionalistici. Uno degli accusati veniva definito regista di film splatter, robe di sangue, ferite, spalmate su uomini e donne, e qualche testata giornalistica si divertì a pubblicare alcuni fotogrammi di quei video, se non mi sbaglio, per dimostrare che quando l’orco colpisce è perché è un mostro. Da lì in poi a me sembrava chiaro che le conclusioni sarebbero state abbastanza scontate. La ragazza in questione, da ciò che raccontavano i quotidiani, aveva preso parte ad alcuni lavori del giovane regista e conosceva alcuni dei ragazzi poi accusati di stupro. Dopo una serata assieme finirono tutti in macchina, in un parcheggio alla Fortezza (sto andando a braccio, se sbaglio correggetemi), e da qui in poi ci sono due versioni:
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Gogne pubbliche e sedativi sociali
Trovo questo video sulla bacheca facebook di una femminista. I commenti variano da un “ben gli sta” a “finalmente… questa si che è giustizia“. A me non sembra affatto un progresso. Mi sembra invece che alle donne sia stata concessa la gestione della forca e non mi pare che questa sia una conquista. La forca va distrutta, le tecniche di linciaggio vanno seppellite, la lapidazione pubblica va contrastata e non riprodotta per mano femminile. Quello che vedete è un sedativo sociale. Segue a chilometri di pornoindignazione che viene così placata per mano di donne le cui vite sono manipolate da chi realizza una cultura familista/patriarcale. La stessa che condisce la vita di alcune bambine, adolescenti, ragazze, indiane con matrimoni pattuiti tra caste. Così le pene severe dovrebbero riparare al fatto che quella cultura non viene messa assolutamente in discussione.
Le donne hanno anche il diritto di essere malvagie
di Claudia Mancosu
Una volta ho letto una bella definizione di femminismo: tradotta dall’inglese suona più o meno così: “il femminismo è l’idea rivoluzionaria che le donne sono esseri umani”.
Gli esseri umani sono animali senzienti che odiano, amano, ragionano, sono capaci di compiere atti di altruismo, di fare scoperte scientifiche e anche di compiere delitti.
Le donne quindi possono fare tutte queste cose, per motivi non diversi da quelli degli uomini.
Sembra una scontatezza ma, in realtà, esiste ancora la narrazione della differenza, un concetto che descrive le donne quasi sempre come incapaci di violenza di genere a meno che non siano spinte dalla disperazione o dal bisogno di difendersi. Secondo certo femminismo è colpa della cultura patriarcale se noi donne commettiamo un reato violento.
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#Spagna: un emendamento impone la galera per chi scrive o diffonde contenuti sessisti!
Il governo spagnolo, lo stesso che vorrebbe vietare l’aborto alle donne, quello che dice che uccidere una prostituta non sarebbe violenza di genere, lo stesso che ha mandato in malora tante manifestazioni di movimenti per il reddito e la casa, con guardie a picchiare chiunque, lo stesso che impedisce la divulgazione di immagini in cui si vedono le guardie che manganellano i manifestanti, quello che ha stabilito regole economiche feroci contro la povera gente, sfrutta il brand della violenza di genere per farsi il make up con tanto di pinkwashing e guadagnare punti grazie ad una tutela paternalista nei confronti delle donne.
Paternalista e repressivo è il piglio, proprio come piace alle femministe radicali che non hanno alcun problema ad allearsi con persone di codesta natura politica pur di ottenere quel che desiderano da molto tempo: censura e reati d’opinione. Già con la pubblicazione della versione spagnola di un libro di Costanza Miriano diedero prova di assoluta assenza di pratica libertaria. Volevano non solo vietarne la pubblicazione ma incriminare la Miriano per apologia della violenza contro le donne. Una follia autoritaria e fascista, così com’è la tendenza dell’umore di quel governo.
#Irlanda: una App che terrorizza i clienti che cercano sex worker
Parliamo di questo. Traduzione in sintesi da Paolo. Dalla pagina del Comitato in difesa dei diritti delle prostitute. Premetto che per abolizionismo si intende quella corrente di pensiero che vorrebbe abolire la prostituzione e che si serve di una propaganda che vittimizza tutte le prostitute negando che vi siano persone che si prostituiscono per scelta e dunque delegittimando qualunque richiesta e rivendicazione di diritti di chi chiede che la prostituzione sia regolarizzata e legalizzata.
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Paternalismi, giustizialismi e molestie in strada
Provo a spiegarla nel modo più chiaro possibile. Il paternalismo è quella roba che pratichi se ti metti in testa che sono gli uomini a dover spiegare alle donne come vivere. Paternalismo è quello di chi mi dice “so io quel che è bene per te”. Vale per uomini che mi rimproverano di essere troppo poco femminista, come se loro possedessero il diritto di rilascio di patentini femministi, e a maggior ragione vale per quelli che mi dicono che io sono troppo femminista.
Mi spiego meglio, a scanso di equivoci: mi fa piacere essere gradita quando mi smarco di paternalismi finto/femministi di chi mi detta il verbo moralista e mi dice che devo avere rispetto del mio corpo al di là di pornografia, sex working, esposizione del corpo e accettazione di pratiche sessuali che non vengono giudicate lecite da patriarchi e loro consorelle. Se però il plauso arriva da chi, la volta dopo, esige di dettarmi il copione quando io racconto di sentirmi molestata e di detestare la cultura dello stupro, direi che non ci siamo.
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Sono un cliente di prostitute e non sono un mostro
La mia è una storia normale, come quella di tanti altri. Sono un uomo di 36 anni, ho un lavoro, non sono sposato e comunque non ho difficoltà a trovare una persona con cui condividere momenti intimi. La prima volta che andai con una prostituta per me fu come violare tutti i miei principi. Quelli che non ci vanno, per esempio, del “non averne bisogno” ne fanno un punto d’orgoglio. Sono gli uomini, per primi, per puro machismo, a porre uno stigma sugli uomini che vanno a puttane, perché andare a puttane sarebbe come essere un maschio inferiore, mancante di virilità, malato, comunque non adeguato ai loro standard. Questa è la favola che questi patriarchi si sono costruiti in testa, anche se poi sono più puttanieri loro di quanto non lo sia io. Sono sessisti, pagano una cena a una donna e pretendono sesso. La portano al cinema e poi pretendono sesso. Forse la sposano e la mantengono, perfino, e, comunque, pretendono sesso. Però essere puttanieri con un contratto socialmente riconosciuto fa di loro degli uomini migliori e invece quelli come me sono visti come maiali, pessimi, saremmo noi quelli che considerano le donne come merce.
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#PresaDiretta e lo sguardo moralista su sex working, porno e sessualità
Riccardo Iacona ha dato il via a una serie di nuove puntate di Presa Diretta con due ore di sermone moralista d’inchiesta sulla prostituzione minorile, su quell’altra realizzata dalle donne più che maggiorenni, per concludere poi con un processo al porno, agli effetti devastanti che produrrebbe sulle persone e volgendo lo sguardo scandalizzato verso le donne adulte che consensualmente scelgono di vivere una sessualità vivace che viene bollata come “sesso bulimico”. Tra sesso bulimico e ninfomania non credo ci sia grande differenza. Di fondo credo che resista un pregiudizio e un giudizio paternalista per cui le donne “normali” dovrebbero fare sesso “non bulimico” e per “amore”. Non per soldi e non per il piacere di fare sesso in se’.
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#NoStigmaDepressione: sono depresso e non ho mai ucciso nessuno!
Ciao,
ho letto questo e volevo raccontare la mia esperienza. Sono depresso da almeno cinque anni e non mi è mai venuto in mente di uccidere nessuno. Non credo di essere un uomo molesto. Non vado sui social network per sfogare la mia frustrazione e passo le mie giornate senza che abbiano un grande significato.
Cos’è essere depresso per me? E’ restare a macerarsi ossessivamente sull’idea di farla finita perché pensi che la tua morte potrebbe risolvere molte cose. Potresti smettere di preoccuparti, di dover aspettare da un momento all’altro qualcuno che esige il pagamento dei debiti e ti pignora tutto. Potresti smettere di sentirti di peso mentre vedi tua moglie e addirittura tua figlia farsi in quattro per tirare avanti. Potresti smettere di piangere e guardare un muro bianco mentre ti sfinisci di seghe. Potresti dormire, finalmente.
Ma un depresso non è una persona senza coscienza e non è nulla di meno di un soggetto pensante. Se ti viene in mente di uccidere qualcuno lo fai per altri motivi e non per via della depressione. Un depresso è una persona che non può essere rinchiusa o curata se non lo vuole. Ha il diritto di scegliere, come qualunque altra persona malata, ma se ti affidi a uno psichiatra e hai pensieri suicidi io spero che non ti lascino senza cure. Le cure dovrebbero arrivare se sei un pericolo per te stesso. Figuriamoci se lo sei per gli altri. Allora ci sarebbe da chiedersi come funziona il nostro sistema sanitario, perché io ricordo che la prima volta che mi rivolsi all’Asl trovai una gentile signora che mi disse che come me ce n’erano tanti, indebitati, senza lavoro, e che perciò gli ambulatori per la salute mentale stavano esplodendo per carenza di organico e perché non ce la facevano a fare da palliativo a una crisi che nasce da altre mancanze.
La mia depressione cominciò quando mi licenziarono. Mi assunsi tutte le colpe e ritenni di essere inutile. Cercai invano altri posti ma alla mia età non ti vogliono neppure per fare lo scaricatore ai mercati generali. Dopo un po’ smisi di cercare e cominciai a guardare la televisione. So che avrei potuto almeno aiutare mia moglie in casa ma giuro che non ero in grado. Davvero non ce la facevo. Era come se fossi totalmente rincoglionito, immobile, paralizzato, seduto tutto il giorno su una poltrona con reazioni minime indotte dai programmi della tv. Mangiavo male, non partecipavo alle faccende di casa, non dormivo e facevo impazzire mia moglie perché continuavo a girare canali e fare rumore anche di notte.
Io volevo solo smettere di sentire, soffrire, vedere e mi anestetizzavo come potevo. Prendere distanza dagli affetti, anche quello è un modo per proteggersi. Proteggersi da tutto perché ti ferisce enormemente. Perché i sensi di colpa ti uccidono e perché ti assumi la responsabilità anche di quello che subisci, le ingiustizie che il mondo ti impone, senza essere in grado di reagire. A me ferivano le fatiche di mia moglie e il fatto che mia figlia avesse dovuto rallentare il ritmo all’università per lavorare. La vedevo tornare stanca e dicevo che non era per ottenere questo risultato che avevo lavorato tanto. Non era giusto e mi sentivo impotente.
Vedi, gli uomini, almeno quelli della mia generazione, sono stati cresciuti con il culto del buon padre di famiglia, quello che a tutto provvede e che senza la capacità di mantenere la propria famiglia non gli rimane più niente. Non sono mai stato un buon casalingo e essere mantenuto per me era un’umiliazione. So che può esserlo anche per tante donne disoccupate e che quello di cui parlo non è una questione che riguarda solo gli uomini, ma io la sentivo e la vivevo così.
Un giorno decisi di farla finita e la mia depressione mi portò a immaginare che non avrei dato un dolore a mia moglie e a mia figlia. Che sarebbe stato meglio così. I debiti sarebbero morti con me e loro, da sole, avrebbero avuto più libertà per rifarsi una vita. Presi tutte le mie medicine e pensai fossero sufficienti. Invece imparai, sulla mia pelle, che di overdose di certi farmaci non si muore. Al massimo ti si frantuma lo stomaco, il fegato, ma dopo qualche giorno di sonno innaturale ti risvegli e guardi quanto è grande il danno che hai prodotto.
I sensi di colpa indotti a mia moglie e a mia figlia, io calato nel ruolo della vittima, i problemi che avrei dovuto risolvere sarebbero rimasti tutti sulle spalle della mia famiglia, perché non era vero che i debiti sarebbero morti con me. Perciò ci siamo guardati in faccia, tutti quanti, e ci siamo detti che se venivano a pignorare, pazienza, avremmo ricominciato da capo. Se per me non c’era lavoro, avrei dovuto imparare a dare una mano in casa, avrei potuto cucinare e alleggerire la vita di mia moglie e mia figlia. Avrei potuto vivere e resistere assieme a loro. Non per un senso di romanzata e ritrovata gioia familiare ma perché mi resi conto che comunque morire non era quello che volevo. Volevo vivere.
Ho ripreso a curarmi con la volontà di farlo. Mi sono dato dei ruoli e ora svolgo piccoli lavoretti qui e là che comunque mi tengono impegnato. Non mi sento benissimo e qualche volta mi sento socialmente sminuito nel mio ruolo ma sono grato alla mia famiglia di ogni risata, ogni discussione, perfino dei litigi. Perché la depressione è una cosa che riguarda me e riguarda anche le persone che mi circondano, ma dalla depressione, se si dà il giusto peso alle cose, forse si può anche guarire.
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