Personale/Politico, Questa Donna No, Violenza

Diario di una vittima di cyberbullismo: la costruzione del mostro da linciare!

Segue da qui il mio tentativo di elaborare un grande lutto personale.

Mi sveglio e trovo messaggi di persone amiche. Dico che io ci sono sempre per loro. Io sono sempre qui. Ferita e frastornata ma ci sono.

La cosa che più mi scombussola non è davvero il fatto che c’è chi non la pensa come me. Non mi è davvero mai importato tanto. Sempre andata un po’ controcorrente, da cane sciolto, mai incline alle appartenenze, private o pubbliche, ho sempre avuto abbastanza fiducia in me per andare avanti a dispetto di tutto e tutti. Quel che mi interessa è essere fedele a me stessa, che quel che dico corrisponda ai miei pensieri. Perché non mi prostituisco, non vendo la mia testa, non sono mai riuscita a farlo. Chi mi conosce sa che sono animata da una idea e quell’idea mi ha sempre portata lontano da convenienze personali. Dove avrei potuto ricavare un utile ho detto no per onestà intellettuale. Questa sono io.

La cosa che mi lascia davvero disarmata è che ci sia qualcun@ che con ogni mezzo “necessario”, alla maniera tipica autoritaria di una “sinistra” integralista, che esiste, e non mi appartiene, giusto a me anarchica che guardo a tutti gli autoritarismi allo stesso modo, mi voglia imporre di dire e fare ed affermare certe cose. La cosa che mi lascia disarmata è poi la cattiveria che è tipica delle discussioni in cui le donne, per dirla come un amico, trasformano litigi in faide, roba impressionante che analizzo già da tempo a proposito di bullismi che arrivano da donne contro le altre donne.

Perché succeda io non lo so. Ma so che nelle discussioni in rete, per esempio, dove anche si potrebbe semplicemente parlare e confrontarsi, vedi che c’è una differenza precisa nella maniera in cui le donne si massacrano. C’è sempre molto di personale, le frasi più sessiste arrivano da lì. Ti umiliano, mortificano, deridono, per il tuo aspetto, per l’età. Patologizzano i tuoi percorsi e pretendono che il loro sentire corrisponda al tuo perché ci sono donne che non hanno alcun rapporto con l’alterità. Le donne hanno da muoversi in un corpo unico. Le differenze bisogna che le paghi. E fin lì potrei descrivere una o più forme di autoritarismo ma c’è proprio di più.

C’è l’ossessione, l’assillo che fa immaginare che io sia una nemica, il fanatismo di chi pensa sia opportuno costituire una task force contro di me perché io il demonio, io “preoccupante”, io il male da estirpare. E non parlo dell’esorcista o di qualunque film horror in cui la catarsi è rappresentata dalla sconfitta assoluta di una mostruosità. Parlo di persone che realmente restano concentrate tutti i giorni a immaginare in quale modo spogliarmi di santità, me che santa non sono stata mai, facendomi apparire demoniaca.

L’ossessione è un male infido, i linguaggi in cui si esprime sono tanti, quello degli uomini rimane nell’offesa all’orgoglio ferito, quello delle donne è fatto di ritagli di violenza che scavano l’anima e sanno ferire in profondità. D’altronde le donne, immagino, hanno difficoltà ad esercitarsi nella violenza fisica e nel tempo hanno sviluppato una precisa competenza nella violenza psicologica e nell’espressione di aggressività indiretta. Perciò se è vero, come è vero, che un uomo può ammazzarti mille volte, annientarti, bruciarti viva, una donna può fare altrettanto inducendoti alla privazione d’aria, all’isolamento più totale, perché la sua modalità, quella di chi adopera questi schemi violenti, è quella di chi resta in competizione con te ogni minuto. Se tu esisti lei pensa di non poter esistere e se non sa esistere emergendo tanto quanto te sei tu che ne hai la colpa e tu devi virtualmente morire.

L’arma migliore per toglierti l’ossigeno è il pettegolezzo, la menzogna, ripetila mille volte, diceva Goebbels, e diventa una verità che non ti lavi più via di dosso. Così è nella vita reale dove le ragazzine sussurrano alimentando dicerie sulla sessualità di una loro coetanea per farla apparire sporca, e lì poi c’è da chiedersi dove stanno ripartite le responsabilità tra i generi in fatto di sessismo, come le dinamiche di branco provvedono a istigare il suicidio di certe adolescenti, con l’ex amica che, lei, mette online la foto hard della compagna per “darle una lezione”, così è nel mondo virtuale e in quello delle “adulte” che trovano rimedi sottili, tesi argomentate, motivazioni dotte per fare esattamente la stessa cosa. Per quanti uomini si possano avere come nemici ci sono donne che non vorresti mai avere conosciuto. Perché dalla violenza di un uomo credo di aver imparato a difendermi ma da quella di una donna proprio no.

Il cyberbullismo portato avanti da una donna è fatto di morbosa ossessione, di fanatismo, di squilibrio che disumanizza. Lei non ti vede come una persona. Lei ti vede come un male da eliminare. Ti vede come la “preoccupante” versione del demonio da sconfiggere. Lei si addormenta e si sveglia con questo pensiero.

Quello che fa è svegliarsi e tutti i giorni osservare quello che io faccio o scrivo per trovarvi le due righe che possano dar forma alla costruzione del mostro di cui lei vuole raccontare. Il mostro sarei io. Giorno per giorno, spalle al muro, in un processo senza fine, sogghignando, mortificando, umiliando, di fronte ad amici, amiche e conoscenti, portando la sua (la loro) ossessione nelle bacheche di amiche che nell’insicurezza più totale finisci per non voler più coinvolgere. D’altronde non ho mai voluto che nessun@ combattesse le battaglie al posto mio. La gente si rende conto, penso, e se non si rende conto allora deve esserci qualcosa di morboso e di malato che nelle discussioni pubbliche si insinua e avvelena perfino le menti più lucide e intelligenti.

Le bulle sono egocentriche, vedono tutto in rapporto a se’. Non vedono l’umano che sta fuori da se’. Nella paranoia ossessiva che le caratterizza pensano che tu sia una nemica e che staranno meglio quando ti distruggeranno. Mi hanno distrutta, infatti. Mi hanno ferita a sangue. Mi hanno tolto serenità. Mi hanno tolto salute.

Restate voi ogni giorno a farvi colpire da vagonate di merda. Restate voi a essere ridotte ad oggetto delle frustrazioni di persone che sembrano avere l’unico scopo di farmi male. Le loro bacheche dedicate a me, i loro spazi dedicati a me, i loro messaggi rivolti a me, e quel che io ignoro per proteggermi mi viene inoltrato affinché io lo legga, tanto veleno che mi corrode, lentamente, fino a colpire l’anima dove non può essere colpito il corpo. Quando ti tolgono serenità e sicurezza e tutto quel che sanno dire è “vittimista”, come il violento che ti percuote deridendo il tuo pianto, a riprova che le “vittime” non vengono mai viste in quanto tali da chi ti fa violenza, ti trovi di fronte ad un muro di ignobile perfidia che non si può abbattere. Ti trovi di fronte a chi fa delle vittime della propria violenza quelle di cui aver paura perché se tu non susciti paura e sei lì per terra a sanguinare, a chiedere pietà, tutto quel che sono e che vorrebbero fare perde senso. Perché non possono più mentire e dire che ti massacrano perché tu rappresenteresti un pericolo.

Quante sono le vittime di una violenza così nascosta, mascherata, inspiegabile, che non lascia lividi in superficie? Quante sono le donne contro cui la discussione pubblica diventa lapidazione e cyberbullismo?

8 pensieri su “Diario di una vittima di cyberbullismo: la costruzione del mostro da linciare!”

  1. Sono tante cara..
    Quand’ero alle scuole medie, un ragazzino, compagno di classe, mi chiese di “mettermi con lui”. Quando dissi di no, iniziò una campagna di bullismo verbale nei miei confronti (non c’era internet sennò forse mi sarei ritrovata insultata e infamata su twitter, facebook, blog e chi più ne ha più ne metta), sfottendomi pesantemente per ogni cosa, dai miei capelli riccioli che non stavano mai a posto, alle mie forme abbondanti e “il culo come una portaerei”. Credo che i miei problemi di alimentazione siano cominciati lì, la fissazione che mi ha portata a 16 anni a non avere più il ciclo mestruale perchè mangiavo troppo poco, fino al collasso.. Non certo colpa tutta sua, ma una crisi di identità latente è stata gonfiata dalle cattiverie.
    Quello stesso compagno di classe andò a dire alla bulla della scuola che io l’avevo chiamata “puttana”. Era vero, stupidate da ragazzina che cerca riconoscimento dicendo sciocchezze sugli/sulle altre, ma lui ha fatto la spia e io ho preso le botte nel cortile.
    Ma quando ci ripenso, molto più delle due ragazze che mi hanno fatto l’imboscata in cortile (una mi teneva, l’altra me le dava), ricordo con dolore le parole, le prese in giro, le cattiverie. Hanno ferito più di tutto.
    E la rete purtroppo trasforma in fenomeno globale e incontrollabile la cattiveria, diventa una guerra a chi ha più influenza online, più tempo da buttare a spalare fango. Sono i dispetti maligni e ossessionati dei ragazzini trasposti nel mondo dei grandi. E fanno tanto male.
    Ti capisco e ti sono vicina. Chi ti legge e chi ha spirito critico riconosce il bullismo e la cattiva fede quando li vede, concentrati su di loro, sul bello del confronto e della comunicazione.
    Un abbraccio.

  2. “Perché dalla violenza di un uomo credo di aver imparato a difendermi ma da quella di una donna proprio no”

    Sai che penso? che sia lo stesso per gli uomini. Che imparino presto a difendersi dalla violenza di altri uomini, ma non dalle donne. Non te l’aspetti, perchè sembra non esistere in questo nostro mondo. Come la materia oscura in cosmologia. Se ne vedono e se ne intuiscono gli effetti ma non la si vede.
    E’ il solito discorso (intendo il mio solito discorso 😀 che ossessivamente propongo in vari lidi virtual ma che non ha diritto di ascolto e viene sempre bollato altrettanto ossessivamente per sessismo, maschilismo, misoginia)
    Lo si può sviscerare da molti punti di vista, uno è quello che hai fatto tu: biologicamente/storicamente/culturalmente (per evitare di addentrarci nell’origine delle differenze) la mancanza di forza fisica adeguata ti porta a sviluppare altri metodi per fare male. La mancanza di forza fisica però ti porta anche ad essere assimilato e visto come debole/bisognoso di tutela/incapace di nuocere. Questa catena ti porta al riconoscimento dell’innocenza di default (come accade per i bambini). E di qui all’irresponsabilità (la causa è sempre di qualcos’altro e fa capo a qualcun’altro) il passo è breve. I bambini non sono perseguibili perchè non hanno responsabilità per definizione. Il presupposto però è il controllo dell’adulto.
    Facci caso: il patriarcato manteneva le donne in uno stato di neotenia permanente (donne sotto tutela come i bambini). Qualche anno fa ricordo che quando si parlava di “violenza contro le donne” il più delle volta la si accomunava a quella sui bambini e quindi spesso e volentieri le campagne contenevano la frase “lotta contro la violenza sulle donne e i bambini”. Poi c’è la lotta contro la violenza sugli animali… insomma a me pare che le grandi campagne ” per categoria” nascondano il presupposto dell’innocenza e dell’irresponsabilità della categoria intera che la subisce. Come i bambini e i cani. A un bambino violento o a un cane violento non viene data responsabilità culturale. E colpa dei genitori, degli educatori, dei padroni.. non potrebbe essere altrimenti. In un certo senso, accade lo stesso per la categoria “donna”. Secondo me, si vuole combattere l’immagine della dicotomia – donna passiva/uomo attivo – continuando però ad alimentarla in alcuni campi (uno è quello della violenza per esempio)

    Sono stata abbastanza confusa? :-), ciao e cerca di tenerti forte.

  3. Non so se quello che ti sta succedendo e’ legato totalmente a quello che scrivi sul web o ha origine anche da legami personali e privati che non ci riguardano. Nel primo caso io penso che l’edificio mentale che hai costruito e costruisci ogni giorno deve essere necessariamente costruito sulla roccia costituita da chi ti segue che, ne ho la convinzione, sta nella quasi totalita’ dalla tua parte indipendentemente da comuni o divergenti opinioni su quello che scrivi. Devi per forza ricevere lenimento, fiducia, coraggio dall’esistenza dei followers, che non sono un numeretto ma persone reali in carne ed ossa con pensieri e sentimenti, altrimenti le tue umanissime ferite rischiano di trasformare la roccia in sabbia, cioe’ che gli attacchi e le offese ricevute forse vadano aldila’ del loro intrinseco significato a svelare che il rapporto con loro e’ nato e cresciuto falsato, involontariamente, da questioni irrisolte nella tua anima

      1. oh ragazzi 😀 io ho preso per buona questa frase: “una che razionalizza e analizza i fenomeni, prendendo distanza perfino da me stessa, usandomi come cavia da laboratorio per raccontare quel che accade quando sei vittima di cyberbullismo, l’accerchiamento, la sensazione di essere assediata”. Per questo ho cercato di andare oltre e di fare un’analisi induttiva (dal “suo” particolare al generale).

        Tra l’altro a me pare che sia il metodo migliore per far sì che la propria esperienza diventi qualcosa di utile.

        Di “striscio” e molto marginalmente rispetto a lei (essenzialmente a causa della minor visibilità, del minore impegno e anche di quella sana dose di vigliaccheria autoconservativa che fa parte di me, e la riconosco come difetto utile 🙂 ho vissuto anch’io la sensazione che si prova a seguito della derisione, dell’accerchiamento per aver espresso opinioni in contrasto con la maggioranza del branco di turno nel luogo virtuale frequentato, (più di uno) con l’autoassoluzione per metodi sottilmente scorretti come andare a ricercare presenze sul web costruendo e distorcendo ad hoc il tuo pensiero accomunandolo al peggio che trovavano nelle vicinanze (il più delle volte anche con ardite costruzioni arbitrarie sul concetto di “vicino” e “lontano”).

        Non lo chiamerei cyberbullismo per quanto mi riguarda, ma è semplicemente quello che ti tocca quando esprimi un pensiero troppo diverso da quello corrente.

  4. Per quel che può servire sono solidale.
    So quanto può essere sottile e subdola la violenza che esercitano le donne, quanto è diversa da quella che esercitano gli uomini e più difficile da gestire. Il fatto che non sia violenza fisica ma psicologica non la rende meno dolorosa.
    Tra l’altro questo tipo di violenza, almeno per quello che ho visto, fatto di pettegolezzi e veleni assortiti, tende a puntare il dito spesso sui costumi sessuali della vittima, sul suo aspetto (troppo sexy o troppo poco curato, in ogni caso ci saranno pettegolezzi ed esclusione), sulla sua incapacità della gestione domestica… in breve, sulla sua non aderenza a ciò che, nella testa delle brave bambine, delle “cittine sì” come diceva mia mamma a me, deve essere una donna.

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