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Come sono fatte le madri delle altre madri in difficoltà?

Le madri in difficoltà che stanno raccontando a me e a voi le proprie storie dialogano tra loro, si leggono, si capiscono. MammaQualunque, ovvero colei che ha iniziato questa difficile e straordinaria carrellata, mi scrive:

“Ho seguito, e sto seguendo, con interesse il seguito della discussione sulla maternità. Mille scelte, mille vite.
E da qui, mi è partita spontanea una riflessione, forse una provocazione che ti invio.
Leggendo e leggendo, mi sono detta: la mamma, c****, la mamma in questi situazioni dovrebbe essere tutto. E intendo, la nostra mamma, la mamma delle donne che sulla tua pagina hanno raccontato le loro storie. Le nonne, per essere chiara. Non voglio escludere dalla questione il genere maschile, che a volte c’è e a volte fa venire il voltastomaco, ma per logica le nostre mamme ci dovrebbero sentire più vicine a loro, e viceversa. Sono madri, hanno vissuto almeno una gravidanza, una maternità e ci sono passate, bene o male, abbastanza anni fa per averne ora una visione più lucida, e soprattutto, la maggior parte di loro si è probabilmente conformata a quel modello, che oggi incatena le nuove generazioni a mille aspettative. Tuttavia, proprio perché incatenate a quel modello, spesso non ascoltano i malesseri e le difficoltà delle proprie figlie o, nel migliore dei casi, cercano di riportarle entro i binari con qualche parola mal piazzata. Ora, arrivata fin qui ho provato a riflettere.

Ma quel modello non prevede l’accettazione di tutte le fatiche materne senza alcun lamento, senza alcun pentimento, senza alcuna fatica? Ma quel modello non prevede una madre abnegata alla propria prole comunque essa sia? Urlante, faticosa, ingestibile o insopportabile, sofferente o esaurita? Ma quel ruolo non vuole che una madre metta se stessa in secondo, terzo, quarto o quinto piano, per il bene e le esigenze della progenie? Allora io, forse, non ho capito. Si tratta di un modello “a scadenza”? Insomma, una donna deve essere la mamma perfetta e abnegata fino al compimento del x anno dei propri figli e poi può fottersene e lasciarli a loro stessi? Oppure, forse, dal momento che la prole passa dal lato genitore smette di esser prole e quindi le regole del gioco possono essere cambiate? È un modello che funziona con i figli maschi o con le figlie femmine a dipendenza del tema in questione? Che ne so, se un figlio è omosessuale posso disinteressarmene, se lo è una figlia magari l’accetto di più, se è un maschio e non vuole fare il padre lo ascolto, ma se lo stesso problema ce l’ha una femmina me ne allontano? Insomma, mi son detta, chi mi spiega come funziona?

Lasciare una figlia in difficoltà nella propria maternità senza tenderle la mano o l’orecchio dopo averle sussurrato un “Non sei sola, io ci sono” è più accettabile che esternare queste difficoltà? Io, questa cosa, non la capisco. Non è che io non riesca a capire l’ipotetico meccanismo malato che sta dietro a una madre che a un certo punto non ascolta più, che non vuol sentire cose che lei nemmeno ha osato pensare, ma non capisco come fanno alcune ad ergersi paladine della maternità perfetta e a dormire sonni tranquilli dopo aver guardato con delusione le loro figlie, come fanno ad indicare con certezza l’unica e giusta via per essere una buona madre e a cadere così rovinosamente, come fanno, loro, a non vedere la sofferenza di una figlia adulta che ormai parla e usa il pianto solo per esternare il proprio dolore e ad essere state così brave ad interpretare ed accettare con serenità e calma i mille pianti di quelle stesse figlie quando erano piccole, accogliendole affettuosamente e pazientemente fra le loro braccia, sempre. Basterebbe che dicessero la verità, che loro si sono sacrificate e hanno sopportato senza possibilità alcuna nemmeno di fiatare, e che ora si aspettano che noi facciamo lo stesso, perché così è e deve essere, perché così quel peso immane chiamato abnegazione si divide in modo solidale fra donne, nella speranza e nell’illusione che si soffre tutte, ognuna di noi soffre un po’ meno. Almeno ci sarebbe una logica, crudele, ma coerente con il fatto che si sono adeguate ad un modello che ora ci ripropongono tale e quale. Senza sconti.

Ecco, questo mi fa forse più riflettere dell’ultimo post di Evinrude, dove è evidente e chiaro che il padre è una comparsa e parecchio mal riuscita.”

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5 pensieri su “Come sono fatte le madri delle altre madri in difficoltà?”

  1. Scusa, ma io sinceramente non riesco a capire il punto. La maternità non è un modello, i bambini umani hanno bisogno di tot cure fino a un tot tempo. Questo è chiaro da sempre. Tutte le società umane si sono organizzate in vari modi e in genere i figli non vengono mai cresciuti dalla sola madre. Nella nostra società capita che i nuclei famigliari siano così esigui che spesso una donna si trova da sola con il proprio figlio da crescere. Questo è un ovvio problema. Dopodiché un figlio ti mette in secondo piano e non perché ci si adegua a un modello, ma perché così è la vita, a meno che ti possa permettere di farlo crescere da altri. E a nessuna viene chiesto di essere la mamma perfetta. Mia nonna ha fatto quattro figli, tre femmine e un maschio e stava sempre a casa. Le sue figlie (poi tutte separate) al massimo due e non si sono mai negate uscite fuori e lavoro. Chiaro che nei momenti quotidiani avrà fatto notare la sua bravura nell’aver cresciuto quattro figli da sola, con il marito fuori a lavorare, con molti meno soldi e comodità che abbiamo oggi. Però così va. Con fatica, come è ovvio, con i pianti e gli scazzi, ma questo è. Come pensi che dovrebbe essere altrimenti? Poi la loro madre ha fatto la nonna. Certo se hai una madre stronza avrai una nonna stronza, così come un marito stronzo, ma questo cosa c’entra con i modelli la maternità o chissà cos’altro?. A me sfugge la questione. Mi pare di leggere in queste testimonianze una recriminazione a prescindere. Nella vita si cerca di stare assieme proprio per soffrire un po’ meno tutti. Questo è abbastanza chiaro da capire non c’è bisogno che qualcuno lo spieghi.

    1. O mi sono espressa male oppure hai inteso male…comunque sia, no…peccato che tu possa credere che si tratta di “recriminazioni a prescindere”, peccato. Non sono un’incazzata a priori…cercavo solo di riportare una riflessione, che ho riconosciuto io stessa essere provocatoria (il che annulla qualunque intento recriminatorio) su quella che a me sembra un’incoerenza. Il tutto, preciso, strettamente connesso ai post e ai relativi commenti in merito alle “maternità vissute altrimenti”. Tutto qui.

      1. Non penso che ti sei espressa male, forse mi sono espresso male io, ma è perché ho usato il termine recriminazione perché mi sfugge la questione. Anche quest’idea delle maternità alternative. Ma alternative a cosa? A me sembra che state descrivendo dei modelli fittizi per raccontare quello che ritenete “altro”, quando questo altro è la quotidiana normalità. Il modello della mamma perfetta esiste solo mediaticamente, nessuna donna ha mai pensato se stessa come perfetta, non si è mai pentita, non ha mai pensato che era meglio non fare figli eccetera, sono le normali incongruenze della vita. E se ci sono madri peggiori o migliori è solo la casualità a stabilirlo, non l’adesione a un modello, come invece la tua riflessione o queste riflessioni fanno riferimento. Quindi l’idea di riflettere su come sono le madri mi rende perplesso. Ognuna è fatta a modo suo. E siccome nessuno pretende realmente che una madre sia perfetta non capisco il senso di attaccare un modello inesistente. La maternità è complicata e faticosa, e questo non un modello. Tutte le madri sono in difficoltà. Tutte le madri si “sacrificano” perché così deve essere, ma tutte lo fanno fiatando eccome. È qui che vedo quello che ho chiamato “recriminazione”. Poiché quest’idea che ci sono state donne sacrificate e silenti è falsa. Io ho sempre ascoltato mia nonna lamentarsi di quanto ha tribolato (faticato, penato), le mie zie lamentarsi, mia madre, spesso litigando fra madre e figlie; ora mia cugina che ha figli. È normale, nessuno impedisce a nessuna di lamentarsi. L’incoerenza che tu vedi è la debolezza umana. Ci sono nonne più vicine e nonne più assenti. Ciò che non capisco è questo riferimento a dei modelli cui le donne si sarebbero adeguate, per poi farlo scontare alle nuove. Ti sembra veritiero? Proprio ieri sera a una cena fra amici una donna raccontava della sua amica che già alla prima poppata non sopportava più il figlio e gli diceva “dai, sbrigati”. Io leggo con piacere molti racconti che passano su questo blog, però noto un continuo riferimento ai modelli imposti. Quando tu parli di un modello che incatena le nuovi generazioni posso sapere di cosa parli e se questa cosa è vera o no? Perché a me sembrano più le difficoltà che le persone vivono e non vogliono più vivere chiamate con altro nome e con responsabilità scaricate altrove. Mi pare che tutte queste aspettative non siano per niente imposte e invece auto-imposte a forza di parlarne. Leggo di catene, gabbie eccetera. Però non le vedo nelle persone che incontro. È questo che chiamo atteggiamento recriminatorio.

  2. mia madre è la madre che descrivi… è la madre che mi ha aiutato un sacco quando facevamo casa, è la madre che dal momento in cui le ho comunicato del test positivo non mi ha più fatto alzare un secchio d’acqua a casa mia, venendo ogni settimana a far le pulizie, ha trascorso con me quasi 30 ore di travaglio, è la madre che mi ha pulito casa e vestiti e cucinato per 4 mesi e oltre dopo la nascita della bimba, mentre io mi accucciavo con la piccola e la allattavo, e viveva per quei momenti in cui gliela passavo per cambiarle il pannolino… non so se il modello che mi ha trasmesso è giusto o sbagliato, è però un modello non di rinuncia e dovere ma di amore… devo dire che ogni tanto io e mia sorella qualche “botta” gliela diamo, ma sebbene tradizionalista mia madre è aperta alla riflessione e attraverso di noi sta imparando un nuovo mondo e una nuova visione… non posso che ringraziarla per la sua presenza con me e adesso anche con la mia bimba, che adora e di cui si occupa mentre sono a lavoro… noi siamo una famiglia, sarà anche dovuto al fatto che abbiamo vissuto “fuori” per 15 anni, ma siamo un pugno forte e coeso e la mia gravidanza non è stata “mia”, ma di tutti noi… ricordo quando sono tornata a casa dall’ospedale, mi fecero trovare il letto preparato con le lenzuola di lino ricamate e la coperta buona, un simbolo dell’accoglienza alla nuova venuta e alla nuova “me” che rientrava a casa in una nuova veste, ma non per questo abbandonata a se stessa, ma coccolata e supportata in questo cammino di gioia ma di grande impegno fisico e psicologico.

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