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Wonder Woman: un film che normalizza e ricontestualizza il suo eroismo

ho visto il film che racconta parte della storia di wonder woman. in parte incuriosita da critiche e non critiche proposte da un paio di persone sulla pagina facebook di abbatto i muri e un po’ per capire cosa è rimasto di quella fantastica donna narrata dai fumetti. ricordo di essere stata appassionata alle puntate dei “telefilm”, come si chiamavano allora, in cui Diana Prince faceva piroette per mutare abbigliamento. Era l’effetto scenico più divertente, per quel che mi riguarda.

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Maternità. Cosa ne sappiamo? Come ne parliamo?

di Beatrice Toniolo

L’impegno di andare a trovare una coppia di amici fuori città era preso da giorni. Che qualche giorno fa fosse la Festa della Mamma e io sia riuscita a passarla con una futura mamma, la mia amica, è stato un caso – confortante, perchè avrò pure novant’anni, ma ogni tanto ho bisogno di sentire qualcosa o qualcuno di materno anche io.
Ma ripeto, non era voluto.
Questa coppia di amici, di cui non farò i nomi, sta aspettando una bambina. Ho seguito il loro percorso genitoriale da lontano, tramite messaggi vocali, a causa del mio lavoro, per cui viaggio su e giù per lo stivale. Adesso che sono di nuovo nella  “nostra” regione, posso fare anda e rianda da Firenze per trovarli, perchè non voglio che questa mia amica si affatichi sparandosi ore di treno. Naturalmente, questa gravidanza è l’argomento sovrano e ritengo sia giusto così, soprattutto alla luce del fatto che ha sollevato diversi interrogativi: cosa sappiamo della gravidanza? Come ne parliamo e come parliamo delle donne che diventano madri?
Ne sappiamo poco o nulla, ne parliamo male e delle madri ne parliamo peggio.

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Perché devo subire un bombardamento pubblicitario pro maternità obbligata?

15577567_10207849371662751_1452196924_nLei scrive:

“Caro Internet, Vorrei dirti che la vita è fatta di scelte, e che le mie scelte, fino a questo momento, sono state diverse. Vorrei dirti che sì, probabilmente sto attraversando una fase in cui il mio corpo è fertile ed è socialmente accettabile, adesso, che io possa rimanere incinta e sposarmi, ma io ho scelto un altro dei tanti percorsi possibili. Vorrei dirti che ci sono donne, splendide donne di 24, 25, 26 etc anni che hanno deciso di avere dei bambini, e questa è una loro scelta: loro sono felici, ed a me fa piacere vedere la loro felicità. Sono bellissime mamme che devono esser fiere di loro stesse. Ma spesso, con coraggio, hanno dovuto rinunciare a qualcosa – lo studio, il lavoro – per i loro figli. Io non escludo, nella mia vita, di avere un giorno dei figli con l’uomo che avrò accanto.

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#FertilityDay: La fertilità NON è un bene comune!

Cartolina-5-300x300Vorrei aggiungere alla controversa discussione sull’iniziativa del ministero della salute, quella del fertility day, una riflessione politica su uno degli slogan che ho trovato su quel sito. Dire che la fertilità è un bene comune significa dare al corpo delle donne un valore in quanto riproduttrici alle quali viene negata la libera/personale scelta. Quel che è “bene comune” diventa di controllo pubblico e va bene se si parla dell’acqua, che non va privatizzata, ma una donna non privatizza la scelta di gestione del proprio corpo, non lo fa in senso liberista. Il corpo è privato, è mio, lo gestisco io, e farlo diventare bene pubblico, semmai, diventa un modo per renderlo subordinato a biocapitalismo che fonda le proprie basi sulla riproduzione e sul ruolo di cura.

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Perché ad una madre è vietato parlare dei propri disagi?

Lei scrive:

Mi chiedo dove sbaglia una mamma quando dice che fatica con i propri figli, se sbaglia a dire che pur amandoli profondamente rimane una sottile distanza fra lei e loro incolmabile perché la fatica di occuparsene è troppa. Mi chiedo perché una mamma che ha deciso di tenere un figlio che non voleva debba stare in silenzio di fronte alle difficoltà e debba ascoltare giudizi o consigli non richiesti, quando forse le basterebbe potersi aprire e sapere che non c’è nulla di malato in quello che prova.

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Oltre il Muro della Muraro: c’abbiamo l’anima nell’utero!

cop.aspxSottotitolo: “Essenzialismi uterini. Come essere irriconoscenti verso la Madre“…

Avevo pensato di limitare la recensione di questo libro a due righe, una delle quali diceva che sembra scritto da Adinolfi. Il punto è che non basta perché a quanto pare le femministe della differenza lo usano come fosse la nuova bibbia femminista. Descriverò passo passo quel che ho pensato mentre lo leggevo.

Parto dal titolo “L’anima del corpo. Contro l’utero in affitto”. A parte usare termini offensivi – utero in affitto, surrogata, e via così – per criminalizzare la Gestazione per Altri c’è il problema di quest’anima che ricorda tanto i dubbi delle ere trascorse, quando i filosofi dicevano che le donne non avevano un’anima; poi altri filosofi dissero che le donne avevano l’utero in movimento; ora trovo una sintesi anacronistica dove forse si immagina di aver finalmente trovato l’anima delle donne. Starebbe nell’utero. Noi c’abbiamo l’anima nell’utero. Quando non avete un utero o lo usate male, per esempio con la GpA, si rafforza così il detto “donne senz’anima”. Bastava dire questo, rivolgendosi alle donne che prestano l’utero per dare figli a coppie etero, la maggior parte, o gay. Non serviva scrivere un intero libro.

L’avvertenza dice che non si rimuove il conflitto e io sono qui apposta a ricordare la promessa. Che conflitto sia.

Dopo aver letto altri testi della Muraro, incluso quello sul “Ordine simbolico materno”, da me rinominato come dis-ordine simbolico della beddamatresantissima, non pensavo potesse esserci altro da conoscere del Muraro pensiero. Avevo ragione. Il libro ripete cose dette e ridette dagli anni ottanta a frantumarci le ovaie fino ai novanta. Concetto ribadito: si contesta il termine gender, genere, che secondo lei non può essere sostituito alla parola “sesso”. Qui Muraro dimostra disattenzione, per usare un eufemismo, rispetto a quello che gli studi di genere e le culture queer invece raccontano. Nessuno ha mai voluto sostituire la parola “sesso”. Tu hai un sesso ma hai anche un genere che può non corrispondere al sesso biologico, così come hai un orientamento sessuale che è ancora altra cosa. Il genere è una costruzione culturale, e capisco che per il pensiero della differenza questo sia inaccettabile. Per me invece è assolutamente plausibile. Inaccettabile è l’idea che i ruoli delle persone siano divisi per “natura”, con un recupero del termine “naturale” che la Muraro riprende nelle pagine successive.

A pagina 11 liquida con leggerezza le coppie “sterili”, quindi le donne, gli uomini, chiunque non goda del sacro dono della fertilità. Il che è anche molto falso perché l’uomo, giusto per parlare dei gay, non è di per se’ sterile né inutile e non lo si può definire tale fintanto che le donne si servono degli spermatozoi per fare un figlio. Non si può parlare delle donne come di esseri la cui fecondità è assolutamente autonoma perché le donne non hanno capacità di auto generarsi in quella linea di continuità, di madre in figlia, come se un padre non esistesse.

Ma le parole che denotano disprezzo non terminano qui. Sterilità, mercenario, schiavismo, uteri assoldati. Ne parla come di una guerra e presumibilmente immagino sia così: lei è in guerra. Le donne che prestano l’utero quindi dovranno scontare questi stigmi e chi gode di quei doni dovrà fare lo stesso. In tutto ciò scorre il terrore della tecnologia, le nuove pratiche scientifiche, in un ribadito neoumanesimo che Muraro riconferma dopo averlo espresso, così come ricordo, nei primi anni 2000 al festival della filosofia di Modena/Carpi/Sassuolo. Il tono che lei usa è quello di chi in altri tempi pensava che la scienza fosse opera del demonio. La terra è piatta, avete capito? E guai a dire che invece è tonda e che puoi anche guardarla dallo spazio. Chi siamo noi per stravolgere l’ordine naturale delle cose? In fondo il “desiderio” di guardare la terra da lontano non può essere soddisfatto perché così facendo si confermerebbe solo il fatto che con i soldi si può tutto. Chissà cosa penserebbe oggi Ipazia di tutte queste affermazioni paurose e piene di superstizioni e pregiudizi.

Chissà cosa pensano le persone realmente povere, precarie, che non vengono citate mai, perché non hanno un utero o perché ce l’hanno ma impiegano altre parti del corpo – anch’esse senz’anima, ché l’anima sta solo nell’utero – per sostenersi economicamente. Quel che importa è avallare l’ipotesi che torni a esistere uno Stato Etico il quale deciderà per noi quel che è giusto oppure no.

Continua ancora nelle definizioni piene di disprezzo: “cose meschine e crudeli”, “malfatto”. Dopodiché ci guida, dall’alto del suo pulpito, per dirci che non dovremmo “sbagliare”. Lei dunque sa quello che è giusto. Il resto del mondo invece no. Continua, a pagina 19, con una citazione da L’arte della Guerra e tra le scelte sbagliate da non intraprendere nomina quella di fabbricare armi atomiche. Attenti a voi, allora, perché fare figli con la Gestazione per Altri prelude a una storia di distruzione per tutta l’umanità. I figli come la bomba atomica, oh cosa mi tocca leggere.

Al meglio delle sue abilità discorsive cita l’eugenetica, e qui siamo all’evocazione dello spirito dei nazisti. Non lo dice chiaramente ma di fatto lo dice. Anche quella era una strada da non intraprendere. Immagino che lo stesso si potrebbe allora dire del trapianto di organi, dell’aiuto chirurgico ai malati di cuore, delle cure per leucemici, delle trasfusioni di sangue, dei vaccini, dei farmaci che saranno interamente giudicati come opere del diavolo. Gli scenari che lei presenta sono apocalittici. Manca l’invasione delle cavallette, la peste, la fine del mondo e altri due o tre segreti della Madonna di Fatima.

Siamo a pagina 23. Secondo lei l’utero non è più mio ma sta sul mercato. Mi chiedo se eviti accuratamente di conoscere le spinte alla maggiore natalità che il mercato fornisce quando vede che l’umanità invecchia sempre più. Le donne vivono in questo tempo e luogo e di certo non hanno bisogno di chi dica cosa possono o non possono considerare proprio. L’utero è mio e lo gestisco io e se decido di prestarlo per la Gestazione per Altri non vi rinuncio ma, in ogni caso, continua a essere mio. Una persona che presta l’utero non manca di etica ma fornisce un apporto altamente etico e dunque non va assolutamente stigmatizzata. Si parla dell’alternativa rappresentata dall’adozione, come non fosse descrivibile in quanto estranea alle esigenze di mercato, non solo per l’enorme burocrazia che costa decisamente tanto ma anche per il fatto che ci sono bambini in vendita. Già nati, come quelli che vengono ottenuti grazie ad agenzie di intermediazione, avvocatura varia ed eventuale, nei paesi poveri. Figli asiatici, latinoamericani, africani. Ricordo di una persona che conoscevo, guadagnava bene, mise da parte un gruzzolo. Un bel giorno partì per il Brasile e tornò con un bambino brasiliano. Fu costoso. Sfido chiunque a dire che il mercato delle adozioni non richieda alcun costo. Eppure quei desideri sono considerati leciti, addirittura nobili.

In quel caso, infatti, cos’è che un genitore soddisfa se non il desiderio di crescere e amare un figlio? Perché mai ci si deve vergognare di quel desiderio che caratterizza la scelta di genitorialità in qualunque latitudine e longitudine? Voi, femministe della differenza, quando e se avete avuto figli, è capitato perché non richiesto? Era volontà di Dio? O l’avete desiderato? Perché a me pare che misticheggiando misticheggiando si arrivi al nocciolo della questione e in realtà no: i figli non vengono per volontà di Dio, o di una Dea che dir si voglia. Arrivano per scelta, perché li vuoi, o, se non li volevi poi scegli di averli ed è il tuo desiderio che viene appagato e non certo quello di madama Dorè con tutte le sue storie.

Demonizzare le tecniche di procreazione (aiuto, la tecnologia!) e parlare di “attacco demolitore della relazione materna” per me non è diverso da chi dice che se un bambino rifiuta la relazione con un genitore violento sarebbe un attacco alla relazione genitoriale in genere, materna o paterna che sia. E poi c’è un’informazione sbagliata: quando dice che “non è arbitrario dire che la coppia genitoriale che si avvale della GpA, ha un’impronta più maschile che femminile”. Perché mai, per esempio, in una coppia etero che chiede un figlio tramite GpA prevarrebbe un “simbolico maschile”? Cosa sono questi sensi di inferiorità? Non stiamo più al tempo del padre padrone che ordinava figli per affermare il proprio nome con la discendenza. Non c’è alcuno “sbilanciamento verso il maschile”. Non è “innaturale” (opposto del “naturale” usato dalla Muraro) e anche basta parlare di ordine simbolico materno. Smettiamo, please, anche di tirare fuori l’ecofemminismo (madre terra!) per riaffermare l’imposizione naturale che incastra le donne ad obbedire a ruoli predisposti. Perché mai, chiedo, Muraro vorrebbe così tanto farci del male? Perché evoca addirittura l’autodistruzione se non obbediamo alla “natura”? E perché mai non si solleva lo stesso problema quando si parla di mutilazione di persone nate di entrambi i sessi? Perché la “natura” in realtà si usa soltanto come argomento che serve ad affermare una cultura su altre.

Pagina ventinove. Qui Muraro allude al fatto che il figlio frutto della Gestazione per Altri potrebbe “venire al mondo e trovarsi a dover fare i conti con lo scarso amore, l’incostanza del desiderio o con il malaffare”. Cioè: tu che sei un genitore di un bambino da GpA – ed è già brutto dover specificare la sua provenienza come se “figlio di surrogata” significasse “figlio di puttana” – nutrirai “scarso amore”, incostanza del desiderio, e così via. Invece tutti i figli che restano con le partorienti, madri biologiche o gestatrici, sono amati costantemente. E qui mi pare di sentire le parole di varie canzoni di Sanremo che usano retoriche da ventennio per esaltare il materno.

Il sermone insiste sulla faccenda relazionale. Se cresci nella pancia di una donna stabilirai una relazione e se quella relazione si interrompe ti colpirà la peste, l’umanità finisce, e invito tutti voi a prendere i pop corn per continuare a vedere questo bel film anni ’50. Che brutta maniera di descrivere la paternità, con definizione di ruolo secondo mentalità vecchie che destinavano i padri al di fuori della relazione tra madre e figlio.

Pagina 33. Non poteva mancare la descrizione di un’altra apocalisse. La libera scelta in realtà non è mai libera. Se le donne potessero scegliere deciderebbero di chiamarsi tutte Luisa Muraro. Diversamente devono ammettere (orsù, confessate) di essere asservite, come le prostitute, come se Mozart si trovasse a dare lezioni di pianoforte. Chissà se Muraro saprà mai che i compositori che non erano campati dall’aristocrazia, in vari periodi storici, per lavoro facevano proprio gli insegnanti di musica.

La Gestazione per Altri, per libera scelta, non implica alcuna schiavitù, come d’altronde non la implica il sex working quando corrisponde a una libera scelta. E si: non tutte le donne scelgono di essere libere alla maniera di Luisa Muraro. So che sarà un duro colpo saperlo ma è così. Luisa, accettalo. Femministe della differenza, accettatelo. E leggendo le pagine successive, ancora al limite della paranoia complottista, penso che vorrei rassicurarla, dirle che andrà tutto bene. Luisa, andrà tutto bene.

Continua parlando della differenza tra l’uso de “l’utero è mio” nel caso di GpA come nel caso dell’aborto. Io in realtà, come ho già scritto, non trovo assolutamente alcuna differenza. Se consegni il corpo alla tutela dello Stato, diventa un oggetto di Stato, non si tiene più conto della tua soggettività, ergo, non sarà rispettata la tua libera scelta, giacchè tu, da femminista, e lo Stato, su tua sollecitazione, non potete mettere in discussione oggi la mia libertà di scelta e poi, invece, accreditarla quando parlo di aborto. O sono libera di scegliere sempre o non lo sono mai. O consegno il mio corpo allo Stato sempre o poi non potrò chiederlo indietro per fare quel che voglio e che penso sia meglio per me.

A pagina 39 Muraro mette in discussione anche l’art. 3 della costituzione, dove si dice di considerare tutt* uguali. Secondo lei quell’articolo realizza solo un neutro maschile e quindi si dovrebbe riconoscere la “differenza” biologica che comporterebbe anche una diversità di trattamento. Qui mi chiedo seriamente se stia scherzando ma no, mi rendo conto che è convinta di questo. C’è chi si sgancia dal ruolo di cura, dall’obbligo riproduttivo, ci sono corpi biologicamente donneschi che realizzano un genere maschile e corpi biologicamente maschili che realizzano un genere femminile, ma per lei l’uguaglianza è discriminazione. Si sente discriminata perché uguale, perché persona tra tante persone. E dire che il femminismo era quella faccenda che serviva affinché le donne, finalmente, fossero riconosciute come persone. Quel che a me sembra è che lei, invece, voglia solo affermare la dicotomia maschio/femmina che metterebbe fine all’accettazione di ogni altra differenza. Dopodiché all’esigenza di caratterizzare il diritto secondo stereotipi sessisti dico ovviamente che mi pare pura follia. Chi ha redatto la costituzione, evidentemente, era assai più avanti di Muraro.

Da pagina 41 mette in discussione il paragone tra madre surrogata e la madonna. Dice che la differenza è che la Madonna si tiene quel figlio e non lo dà all’arcangelo Gabriele e consorte. Potrei obiettare dicendo che in realtà quell’uso capione non è servito ad affermare la maternità della Madonna come primaria, perché quel figlio era a tempo e dopo quel tempo, Dio e lo Spirito Santo, hanno detto bye bye alla madre surrogata e se lo sono ripreso in cielo, lì, seduto alla destra del padre. Quindi prendere a modello quella storia per confermare la bruttezza della GpA e affermare la bellezza della maternità secondo me non va bene. Meglio avvicinarci al 2016 e a quel che oggi accade, direi, ascoltando donne che hanno avuto quell’esperienza e la raccontano con grande serenità.

Da pagina 45 si parte con sintesi e ripetizioni di quanto detto prima e Muraro cita se stessa e il femminismo della differenza un po’ di volte a proposito di: relazione con la beddamatre santissima, creazione, mater semper certa (aiuto!!!). Scomoda Nietzsche per dire che la genitorialità maschile avrebbe “i difetti maschili dell’attivismo e volontarismo”. Bello, no? E insiste con l’appropriazione di senso di concetti come “grembo indispensabile” (e lo spermatozoo no?), “terra madre”, dove in realtà si intende una ragione per evitare che le multinazionali si approprino della terra derubando i poveri coltivatori. Nella Gestazione per Altri non esiste appropriazione del corpo della donna. Tra l’altro la donna non è un luogo da inseminare per sfamare il mondo. Anzi. Dare alla donna/madre un ruolo del genere mi pare lievemente esagerato. Chi dice che io voglia il peso di una simile responsabilità sulle spalle?

Tra scenari devastanti e ulteriori consegne di ruolo, Muraro, dice quel che per lei, e, ripeto, per lei, è il femminismo. La differenza sessuale, il pensiero della differenza, donna e uomo, differenza che, secondo lei, comincia con la relazione materna. Se non ammetti questo stai disconoscendo la madre, la nonna, la bisnonna, e tutte le donne del tuo passato. Qualcuna me lo ha anche scritto, in realtà, che se non sono d’accordo con loro ho scordato la madre, mia madre. La relazione che ha continuità, quella tra madre e figlia, sarebbe preludio di insegnamento sulla capacità di generare. Mi chiedo a questo punto quanto arido dovrà essere il rapporto tra madre e figliO. Che fa una madre in questi casi? Non si relaziona? Non c’è un rapporto unico? Non ci si parla? E se la figlia dovesse diventare trans FtM? O se non dovesse voler generare? Come sarà giudicata? Un’aberrante aborto della “natura”?

Ma no. Lei insiste parlando dell’istinto materno, ovvero quello che secondo lei e altre che la pensano come lei, contrariamente a chi afferma, a ragione, che l’istinto materno non esiste, porterebbe una donna ad essere una brava beddamatre santissima fin da subito, come se avesse studiato anni per farlo. Mi chiedo dove collochi le donne che non amano i figli nati, quelle che non vogliono crescerli, quelle che, semplicemente, non sanno cosa fare, che hanno paura, che devono imparare, ogni giorno, quello che certamente non è noto o, se lo è, deriva soltanto dall’eredità di una cultura pronunciata da chiunque attorno a loro. Quando è nat@ mi@ figli@, per esempio, io non sapevo niente. Non avevo nipoti, bambini attorno, e, semplicemente, ho svaligiato la biblioteca per saperne di più, ricordando ogni pregiudizio, incluse le stupide superstizioni, tramandati di generazione in generazione. La cultura, a differenza dell’eredità tramandata di donna in donna, mi ha evitato di credere a tante sciocchezze. La demonizzazione di determinate cose, incluso il sesso in gravidanza o la voglia di alcuni alimenti, il martirio, la violenza ostetrica. Quindi no. La maternità si disimpara, casomai, e poi si impara in modi nuovi, perché altrimenti non ci sarebbe stata alcuna evoluzione tra una generazione e l’altra.

Pagina 62: Muraro liquida la scelta di donne giovani di donare un figlio a coppie che non possono altrimenti averne, come “generosità giovanile”. Come dire “siete piccole, voi, non potete capire”. E grazie di aver infuso maternage per dire che hai, avete, ragione solo voi, postsessantenni.

Pagina 66. L’apoteosi del disprezzo per la figura paterna. Muraro condivide il ricordo di un padre che, in un treno, teneva il figlio sulle ginocchia “senza altro contatto, non aveva l’istinto di stringerlo a sé”. Quindi i padri non soffrono di distacco dai figli per influenza di culture machiste, ché abbracciare gli affetti era considerato poco virile. Invece, guarda un po’, non abbraccerebbero i figli per assenza di istinto. E ancora: se non è per eliminare la figura della madre perché mai tu vorresti essere padre? C’è un “ordine simbolico materno” da rispettare. Lo sperma sarebbe una “continuità impersonale che, senza l’esame del laboratorio, non si saprebbe tra chi e chi passa. Un uomo diventa padre facendo sesso e neanche lo sa.“ E poi “non sorprende, a pensarci, il gran numero di “verità” garantite oggi dalle provette e dai microscopi” – della serie che ‘sto padre, sostanzialmente, non esiste e se esiste è solo perché qualche demonio tecnologico lo ha affermato.

Sono a pagina 69 e dopo aver letto tanta, troppa Muraro, ho voglia di un’orgia queer, ma continuo, forse per evitare che tante sciocchezze rimangano acriticamente radicate in me, a sortire quella spaventosa “continuità” tra lei, madre, e me, presunta figlia. I figli delle “surrogate” continuano a essere descritti come vi fosse una divisione tra buoni e cattivi. Quelli “separati” alla nascita, dalle “surrogate”, saranno in qualche modo meno, nel senso di minori, inferiori. Non si capisce meno di cosa ma si intuisce che andranno incontro a un futuro infausto. Scrive: “la creatura (…) capirà? Perdonerà?” e manca solo un pentiti e redimiti con passaggio purificante dei nati da madre surrogata. E poi si immagina la donna che dona quel bambino spezzata, traumatizzata, una vittima dell’oppressione maschile, perché la madre, la figlia, la spirita santa. I figli imparano a parlare dalla madre, scrive, invece quelli che stanno con i padri sono tutti muti, ipotizzo, senza voce, incapaci di sviluppare una “verità soggettiva”. A questo punto entra in scena Dante con la “lingua della nutrice”, in un tempo e luogo in cui ovviamente i bambini stavano solo con le madri o le balie. Ma oggi, cara Muraro, non è più così. Per fortuna. Ci sono donne che hanno imparato a leggere e scrivere e parlare dai padri. Donne che sono state favorite nell’istruzione dai padri. Donne che hanno smesso di essere mute perché i padri le hanno incoraggiate a sfuggire all’opprimente pressione materna. Chiedete in giro: le madri sono meravigliose. A volte. I padri sono meravigliosi. A volte.

Affermare che l’unica lingua possibile, quasi che fosse quella universale, sostituendo, senza sovvertirlo, lo stereotipo dell’universale maschile con quello dell’universale femminile, sia quella della madre, dirlo con questi toni e con certe parole a me fa solo intendere che la lingua della “madre” viene proposta in quanto lingua della conservazione. Come linguaggio reazionario che immobilizza la nostra capacità di disancorarci dall’eredità materna, includendo il nesso culturale con le retoriche che la caratterizzano. Così voglio immaginare che le tante donne che conosco, che leggono, che hanno capacità critica, sappiano che evolversi dalla madre si può e si deve, perché madre non è sinonimo di giustezza, e perché guardare oltre resoconti tanto privi di capacità di ascolto nei confronti di chi la pensa in modo diverso, non è segno di ingratitudine. Io sono perché tu, madre, e tu, padre, e tu, sorella, fratello, compagno, compagna, eri, sei stat@, sarai. Perciò io sono libera di diventare altro da te. Tu figlia sei libera di essere altro da me (questo si impara crescendo una figlia), senza dovere di continuità, e io non mi sentirò ferita per questo, giacché il cordone ombelicale è rotto e tu non sei una mia proprietà. E tu, cara Muraro, sei obbligata ad accettare l’altr@ da te. Questo è l’unico termine di continuità che posso definire accettabile.

Disobbediente sempre all’ordine “simbolico” della beddamatre santissima

Vostra

Eretica

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La mia maternità “tradizionale” all’interno di una famiglia “tradizionale”

Somigliava ad una stella di neve, mio figlio, uno dei miei figli, mentre scivolava – inconsistente ed incompiuto – lungo una cannula translucida da un’ampolla di laboratorio dritto dritto fin dentro il mio utero. Un pugnetto di cellule pari invisibili allo sguardo umano. Carne, una promessa di carne, che tornava alla carne che l’aveva generata. Ne seguivo il percorso immaginario attraverso un monitor ecografico, le lattine dei miei incanti e dei miei disincanti ben allineate sul muretto della buona sorte. Il quinto tentativo di fecondazione assistita. Un figlio già abortito spontaneamente, un altro che non sapevo avrei abortito a breve. Il gemello immobile del figlio poi nato, un bimbo con lo sguardo da alieno e troppa, troppa poca crosta tra la spinta dell’aria e i suoi organi interni. Anche oggi, a distanza di anni, quando lo vedo correre pare che il vento lo attraversi e lo gonfi, sollevandolo sulle sue gambe magre da ragazzino approdato qui da galassie che non conosco. Mio marito continuava a sussurrare come sei piccolo, come sei piccolo. La vestaglia buona con i risvolti di raso avorio, la tovaglietta coordinata con il portaposate ricamato a mano, i bicchieri con il porta bicchieri di plastica giallo sole, il rotolo di carta igienica , l’uva, i libri che mi portava mio marito insieme ai suoi occhi buoni e al ruolo di buon padre, padre immaginario, padre immaginato nei tanti pomeriggi in cui ne scorgevo il profilo nudo della spalla, quella cavità d’uomo a forma di amaca, levigata, ospitale e mi ci immaginavo, adagiata nel sonno, la testa di un neonato. Io, appena ingravidata dalla tecnica e dal miraggio tremulo dell’amore, percorrevo un corridoio notturno d’ospedale – l’ennesimo – illuminato dal blu catodico di un televisore, cercando una conferma, un sollievo, camminando avanti ed indietro, come fossi già una partoriente, per lenire il dolore di una domanda che non potevo eludere: perché volevo diventare madre?

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Autodeterminazione, R-Esistenze

Pentite di essere madri

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di Olivia Carballar (lamarea.com)
traduzione di Grazia

  • Rimpiangere la maternità: unanalisi sociopolitica”, uno studio elaborato dalla sociologa israeliana Oma Donath, indaga un aspetto della maternità che è praticamente un tabù nel mondo.
  • “É il più grande errore della mia vita, concludono le donne intervistate”

Sì, esiste nella nostra società qualcosa di peggiore del non voler essere madre. Pensare, e soprattutto, dire che esserlo diventata è stato un errore. “Rimpiangere la maternità: unanalisi sociopolitica”, uno studio elaborato dalla sociologa israeliana Oma Donath, indaga un aspetto della maternità che è praticamente un tabù nel mondo. Donath raccoglie e analizza con acutezza 23 testimonianze di donne che assicurano essersi pentite di essere diventate madri. “É il più grande errore della mia vita”, concludono. Sono testimonianze di donne israeliane che però potrebbero essere valide per qualunque parte del mondo occidentale più convenzionale, in cui le emozioni e i sentimenti legati alla maternità sono un monolite culturale.

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Antiautoritarismo, Autodeterminazione, Critica femminista, La posta di Eretica

Non chiamatela “madre” se non si ritiene tale

Lei scrive:

Ciao Eretica,
vorrei aggiungere la mia voce al dibattito sull’utero in affitto.
Voglio condividere con voi la mia indignazione nei confronti di un la frase in particolare, che ultimamente corre molto di bocca in bocca: “chi vende il proprio figlio non è degna di essere chiamata madre”… Beh, sticazzi! Chi vi ha detto che la donna che presta l’utero abbia mai preteso di essere chiamata madre? Ma ancora di più, chi vi ha detto che ne abbia mai avuto il desiderio? Ma certo, è ovvio che voglia considerarsi madre, perché non dovrebbe? In fondo si tratta dello stato più ambito per una donna, l’unico meritevole di riconoscimento, il solo a cui una “donna con la D maiuscola, una DONNA e non una semplice FEMMINA” (espressioni che mi sono ahimè ritrovata sovente sotto gli occhi nella giornata di oggi) dovrebbe ambire.

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Antiautoritarismo, Antispecismo, Autodeterminazione, Critica femminista, Precarietà, R-Esistenze

Tutto è in vendita, anche la maternità

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da AnimAliena:

Di tutti gli articoli scritti nell’ultimo periodo intorno al tema della gestazione per altr*, quello di Muraro intitolato “La maternità non è in vendita” rappresenta la summa delle contraddizioni espresse dagli argomenti di chi si definisce contrari* ad essa – a maggior ragione quando, come in questo caso, le critiche prendono le mosse da una posizione femminista.

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Antiautoritarismo, Autodeterminazione, Critica femminista, Femministese, R-Esistenze

Io c’ho l’utero e tu no. Gnè gnè gnè (l’universalismo e il femminismo della differenza)

Continua il delirio da parte delle femministe della differenza, a proposito di step child adoption, utero in prestito e coppie gay. Parlo di un pezzo pubblicato su Il Manifesto (anche se potrebbe sembrare l’Avvenire).

Vi regalo una specie di decostructing del pezzo de Il Manifesto. (Mio il corsivo)

Titolo: Con l’universalismo è lei che ci perde (che fa il paio con le tesi sulla sparizione della donna, pianificata come complotto ordito dal patriarcato, dalle bande frocie e dal gender.)

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Ho “abbandonato” mio figlio e sto benissimo

Sono Monica, ho 42 anni e ho avuto un figlio all’età di 19 anni. Non ero pronta per lui e non ero pronta per niente. Sono rimasta ad allattarlo per qualche mese e poi l’ho lasciato a suo padre che ha promesso di prendersene cura. Lui poi si sposato, ha cresciuto il bambino e ha fatto altri due figli ed è felice così. Io sono semplicemente andata per la mia strada e non ho mai avuto ripensamenti.

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'SteFike, Autodeterminazione, Critica femminista, R-Esistenze

Instagram censura la tetta che allatta. Tutta colpa del Gender!

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Su D di Repubblica c’è la pagina dedicata ad una notiziona senza la quale non ci sarebbe stato possibile dormire la notte. Su un social è stata censurata l’ennesima foto di donna che allatta. Al solito si sono formati gruppi agguerritissimi. Le madri che rivendicano un posto al sole e altre persone che dicono che le tette allattanti devono stare coperte perché sono nudità inaccettabili da esibire. Quello che vi racconto ha a che fare con la tipologia di commenti che accompagnano una news del genere.

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#Lanciano #NoOmbrina: La costa è fregna anche senza la trivella!

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Il prossimo sabato si svolgerà a Lanciano una manifestazione che riunisce tante persone e tante anime politiche contro il decreto Sblocca Italia che consentirebbe anche progetti di “trivellazioni (petrolio), stoccaggi gas, megagasdotti e relativi impianti di rifiuti che dovranno gestire gli scarti di queste opere inquinanti e pericolose“. Dettagli e altre informazioni potete trovarle QUI. A margine di questa iniziativa accade un’altra cosa che riguarda un manifesto, così come alcune compagne femministe e alcuni commenti scandalizzati a proposito del fatto che le cause dovrebbero essere sempre rappresentate senza mai contraddire lo spirito catto/familista che le anima.

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Ho un figlio che non amo. Voglio andare via!

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La mia vita è stata costellata da episodi di violenze delle quali non mi va di parlare. Sono cresciuta in una famiglia numerosa anche se, praticamente, non non potevo mai contare sui miei genitori. Uno dei due infine è morto e poco dopo sono rimasta incinta. Mi sono detta poi che io cercavo una famiglia, era un modo per riparare al dolore. Non sapevo quale direzione prendere e volevo ritornare a vivere dopo un tempo infinito in cui la mia vita scorreva con me che stavo sempre a letto e cercavo protezione e amore.

Ero felice, lo eravamo entrambi, io e il mio compagno. Di questo si ricordano tutti. Quel che hanno dimenticato è la paura, lo sconforto, la voglia di abortire, perché sono cose che io non ho mai detto a nessuno. Non volevo deludere lui e non volevo che mi lasciasse. Temevo di restare sola e non potevo sopportarlo. Se quello era il prezzo in qualche modo lo avrei pagato. E allora ho portato avanti la gravidanza, ho tentato di passar sopra all’invadenza della nuova famiglia, al disprezzo di mio padre, al senso di inadeguatezza e solitudine.

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