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Sono tutte (sante) madri con le vite delle altre

Una donna ha avuto il coraggio di guardarsi dentro e raccontare, a me, quello che sente e che ha provato negli ultimi anni, nei confronti di un figlio che non voleva e che non riesce a farsi piacere neppure adesso. Io ho tratto dalla discussione tra me e lei una sintesi in forma di lettera recuperando il senso pieno di quel che voleva dire e tentando di aprire un varco che consentisse a donne come lei di trovare spazio per raccontarsi e per sentirsi meno sole.

Il post non ha aperto un varco: ha fatto crollare una parete intera. E’ venuto giù il velo di ipocrisia che resta sempre presente quando si parla di amore materno. Ha messo in luce che la retorica che pratica esaltazione del materno in realtà è una gabbia nella quale molte donne, madri, restano imprigionate senza riuscire a concedersi debolezze, imperfezioni, tratti tipicamente umani che sono tollerati quando si parla di chiunque altro ma non quando si parla delle madri.

La discussione che è venuta fuori, e che potete leggere qui, qui, qui, qui, va oltre ogni aspettativa. Non solo è diventato molto più chiaro il perché di una madre che in solitudine non se la sente di buttar fuori brutti pensieri per paura di essere giudicata e bruciata al rogo, ma è stato chiarito, fino in fondo, che a censurare lo sfogo, la narrazione di sentimenti che bisogna pur esprimere in qualche modo, non sono solo uomini, ma anche tante donne, quelle che sono tanto brave a fare le madri con l’utero delle altre. Per fortuna ci sono anche alcune ottime analisi e messaggi di solidarietà e poi c’è il risultato migliore scaturito dal regalo che ci ha fatto questa donna. Altre donne si stanno raccontando, anonimamente, in privato, perché lo stigma che sentono sulla loro pelle è feroce e il senso di colpa, la vergogna, le massacra.

Qualcuna si è sentita liberata e con più libertà mi racconta che, per esempio, alla nascita del secondo figlio, non voluto, partorito per dovere e rispetto delle convenzioni sociali, una donna non è riuscita a guardare e prendere in braccio quel bambino per sei mesi. Non l’ha allattato, si tappava le orecchie quando il bambino piangeva e, giacché era aiutata, per fortuna, dalla madre e dalla sorella, si è concessa, pensa un po’, anche una profonda depressione che l’ha quasi portata al suicidio. Tanto era il dolore, la frustrazione, per il fatto di non riuscire a dire che si sentiva vittima di una scelta obbligata, di una maniera coatta di assumere uno status che la società le imponeva. E’ uscita dalla depressione e dopo un po’ di tempo, mesi, per l’appunto, è riuscita a guardare quel bambino senza viverselo come un nemico. Ancora oggi non sta comunque benissimo.

Un’altra ha somatizzato il rifiuto al punto tale da fare sparire il latte. Non aveva latte da dare al figlio. E’ andata avanti tra mille giustificazioni e una ferita grandissima e tutti erano lì a dirle che l’importante era il contatto tra madre e figlio e lei, invece, era giusto quel contatto che non voleva. Pensava di essere matta, piangeva da sola la notte, non riusciva a fare più nulla che le desse gioia, anche lei depressa, anche lei senza nessuno che l’ascoltava per dirle anche solo: butta fuori quel che senti, non sei “anormale”, non sei “cattiva”, sei solo umana. Non ha mai risolto in realtà. Ha solo rinviato il momento in cui avrebbe dovuto assumersi quella responsabilità con scuse di vario tipo. Mille impegni, lavoro, corsi di studio, interessi, mille cose che la tenevano lontana da casa più tempo possibile e quando tornava, praticamente, il bambino era già mangiato, lavato, e stava per addormentarsi.

Un tempo c’erano le balie che risparmiavano il disagio di maternità non volute alle donne che potevano permettersi quell’aiuto. Se non potevano permetterselo, vivevano quel ruolo tra milioni di difficoltà e senza che nessuno mai opponesse alla retorica dominante almeno un dubbio, qualcosa. Cos’è che ti fa madre? L’istinto? E’ una cazzata, l’abbiamo detto mille volte. Cos’è che fa innamorare una madre del proprio figlio o della propria figlia? Come succede? Che alchimia è? A tante domande vengono date risposte scontate, obsolete, colpevolizzanti nei confronti delle madri, i cui corpi sono merce di scambio per soddisfare l’assillo della natalità, la purezza della razza, la discendenza per la patria e anche ora che ci sono mezzi per poter prevenire una gravidanza o interromperla legalmente, quella retorica, quella, cultura schiacciano le donne ad un ruolo obbligato che sembra impossibile da porre tra le opzioni possibili, dopo una libera scelta. Libera. Scelta.

Un’altra donna mi ha raccontato che ha avuto una figlia a 36 anni. Era talmente rincoglionita dalle tante frasi ricorrenti che si riferiscono all’orologio biologico – se non lo faccio ora non lo faccio più, poi non mi resta nessuno che stia con me, serve una compagnia per quando siamo anziani, va fatto e basta – che alla fine ha ceduto, non convinta, di dare discendenza al partner che in realtà era anche meno convinto di lei. E’ stata molto male, dice di essersi giocata anni di vita, di sentirsi inadeguata, è pentita, anzi, pentitissima, e nessuno la capisce, neppure il suo compagno. Triste, anche lei, e prossima alla depressione, se va avanti così, se non ne parla con nessuno, se non prende una vacanza, se non si riconcilia con se stessa e se nessuno la aiuta.

Allora, mi pare che quel che viene fuori da queste storie è la reazione, sofferta, risentita, livorosa, di chi ha bisogno di bruciare la strega, ché se l’avessero tra le mani la squarterebbero, in nome della difesa di un embrione o di un bambino, e poi l’altra reazione, soprattutto, che mi pare di negazione, propria di chi rimuove frustrazione per vestire l’abito felicemente materno che la società ti ricuce addosso, e ancora quella non giudicante, solidale, di chi conosce il senso pieno della solitudine e della costrizione legata a tutto quel che riguarda i nostri corpi.

Sono storie che ci arrivano come pugni allo stomaco, perché tutt* siamo stat* figli e se mi dite che a nessuno di voi è venuto in mente che vostra madre, forse, non voleva partorirvi, non vi credo. Qualcuna di noi è stata o è anche madre e questi racconti sono dolorosi perché toccano molle che comunque ci riguardano, perché a tante è capitato di sentirsi male, sole, senza prospettive e di guardare quei figli come limiti invece che come ricchezza. Cosa fa la società della “famiglia naturale” votata alla cura dei figli, quando una madre ha bisogno di aiuto? A quali strutture di sostegno può rivolgersi? Chi può contribuire a cancellare lo stigma che resta impresso sulla pelle delle madri non conformi. Chi può prestare ascolto? Perché tra tante conclusioni che possiamo tirare, per adesso, per una discussione che credo sia necessario far durare parecchio, c’è quella che riguarda l’ipocrisia sociale propria di chi dice che tutela le famiglie, si straccia le vesti affinché i figli nascano e poi li lascia alle madri, incluse quelle che si sentono senza scampo e vorrebbero disertare.

La discussione è aperta. Scrivete a abbattoimuri@grrlz.net e nessun@, giuro, vi giudicherà.

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9 pensieri su “Sono tutte (sante) madri con le vite delle altre”

  1. Buonasera a tutti. Questa storia ha scatenato in me una riflessione.
    Se da un lato penso che SI DEVE NECESSARIAMENTE iniziare a parlare di queste situazioni psicologiche. (Il problema esiste. Basta leggersi qualche triste notizia di cronaca.), dall’altro non posso nascondere però lo sconcerto dopo averla letta.
    Mi sono domandata cosa cavolo ci voleva ad abortire senza dir nulla a nessuno e farsi mezza giornata in ospedale… Mi sono domandata molte cose. E ho pensato che sicuramente c’era un perchè. Proprio per non giudicare. Sono arrivata alla conclusione che il problema non riguarda solo la donna, ne la paura del giudizio altrui ma il problema è ben altro. E la cosa mi innervosisce.
    Io sono davvero stanca. E sapete di chi? Di tutte queste persone (uomini e donne) con la testa strapiena di inezie, gente che vorrebbe mangiarsi il mondo perchè fa figo, che vorrebbe vestirsi di questo carattere vincente, ma in realtà sono solo dei grandi ignoranti.
    E questo sì è un giudizio e lo do consapevolmente. Pensano che la vita sia un continuo divertimento. Sono spugne di tutte le cavolate che ci propina la società del consumo. Sono l’emblema della società dei bisogni indotti.
    Questa gente genera dei bambini per poi ignorarli.
    Per poi abbandonarli davanti a un televisore e due ore dopo davanti a un videogioco. Bambini a cui si dice sempre di sì perchè dire un NO significa sentirli nelle orecchie dieci minuti. E loro proprio non ce la fanno. Allora è di questo che sono stanca. Queste persone stanno contribuendo a crescere una generazione di decerebrati apatici. Perchè sono adulti apatici a loro volta, che si sposano perchè qualcuno lo dice, fanno figli per convenzione e poi li abbandonano completamente. Io vedo attorno a me infanzie infelici. E quelle volte che sono andata a fondo ho capito il perchè. Questi adulti soddisfano solo bisogni primari come mangiare(male per di più, visto che pure cucinare un pasto sano è troppo sforzo), vestirsi e dormire. STOP. Il resto della giornata sti bimbi li passano tra scuola, doposcuola, ludoteca.
    Ma chi vi obbliga a fare sti bambini? Lo fate perchè “si usa”!!
    Sapete perchè penso che molte donne non abortiscano?
    Non è affatto per il giudizio altrui ma è perchè sono convinte loro per prime che sia sbagliato perchè fanno un bel pò parte di questa Italietta ipocrita. So quelle che puntano il dito alle altre. Sono quelle che giudicano male le altre ma poi sono le prime a covare il mostro dell’odio verso il bambino che hanno fatto per sembrare buone/brave/belle.
    E no non applaudo al presunto coraggio che ha avuto questa donna a dare questa testimonianza. Il coraggio erano i fatti. Il coraggio è lasciare in pace chi decide di abortire invece di dire che sono delle infami. Non fare un figlio e poi odiarlo in segreto. Questa è ipocrisia e ignoranza pura.
    Alla fine di tutto questa storia è un altro ottimo motivo da sbattere in faccia ai ferventi cattolici sui dodicimila motivi per cui abortire
    Chiedo scusa se vi sono sembrata poco sensibile ma sono umana anche io e sono molto triste perchè vorremmo tanti bambini ma non possiamo farli perchè io e il mio compagno non abbiamo un lavoro….

    1. chiaro che tu puoi farti l’idea che vuoi ma ci tengo a chiarire che la donna non ha espresso alcun giudizio contro chi abortisce, invece ha detto molto contro chi impedisce l’aborto o lo fa diventare una sorta di peccato mortale. 🙂

      1. Il giudizio per me è implicito nell’azione nel momento in cui ti fai condizionare dall’esterno a scapito del bambino. Penso che forse anche lei stessa era una antiabortista. Ma sai quante donne lo fanno di nascosto? Ciò che vieta l’aborto è una gabbia mentale. Non entro nel merito degli obiettori ma io mi sono cercata una ginecologa non obiettore a prescindere. E non vivo in una grande città.

        1. E se l’ultima cosa a cui pensavi quando sei rimasta incinta era poter odiare tuo figlio e poi, alla sua nascita, per qualche malefico motivo, niente, zero sentimenti, solo disperazione e rifiuto? Che fare? Che devo fare?

    2. Credo che non sia così facile abortire se tutto il mondo ti fa sentire uno schifo. Sono la prima a biasimare, per esempio, chi si sposa in chiesa senza volerlo fare perché i parenti protestano, ma l’aborto è una cosa ben diversa. L’aborto non è solo l’opinione che gli altri hanno di te. Essere miscredente è meglio che essere giudicata un’assassina, magari dal tuo stesso marito. E nel momento in cui smetti di credere, non dico in Dio, ma nella Chiesa, allora di per sé non ti senti sbagliata a celebrare le nozze in Comune. Al contrario, cresci così martellata dalla convinzione che l’aborto sia una cosa pesante e orrenda che, anche se sei seriamente convinta che quelle due cellule non siano, di fatto, una persona, ti senti male uguale. Come puoi superare una cosa simile se nessuno, NESSUNO ti supporta? Come puoi superare una cosa simile se persino in ospedale ti fanno sentire feccia? In queste situazioni, ma anche per molto meno, ci si sente fragili. Vivi benissimo da sola, nella tua cameretta, senza bisogno di tanto contatto umano a parte un caffè con gli amici ogni tanto, poi vieni ricoverata in ospedale per un malore – nulla di grave- e all’improvviso ti senti sola e del tutto in balia degli altri, il sorriso di un’infermiera o di una compagna di stanza diventa tutto, per te. Come puoi affrontare l’aborto in quelle condizioni, se sei plagiata in modo da farti schifo da sola e non puoi contare nemmeno sul tuo stesso supporto?

  2. volevo aggiungere solo una piccolissima considerazione, a mo’ di difesa preventiva verso chi potrebbe mettere in mezzo le odiose etichette “natura” e “contronatura”: succede anche nel mondo animale, mammiferi inclusi, che le madri non accettino i cuccioli, e non solo per questioni legate a malattie e debolezza del nascituro, a volte li abbandonano “inspiegabilmente”.

  3. Qui si parla di madri “a loro discapito”, e io capisco, dal basso dei miei 22 anni e del mio stesso rifiuto di maternità, quanto possa essere terribile, per una donna, ritrovarsi legata ad un figlio misconosciuto. Ora racconto la mia, di storia.
    Io sono secondogenita, nata sana, in seguito a una gravidanza tranquilla, al contrario di mio fratello, la cui gestazione era stata complicata dalla cardiopatia di mia madre. Mia madre si è innamorata subito di mio fratello, ma non di me (per fortuna per mio padre è stato un colpo di fulmine). Quello che voglio riportare è il dolore del rifiuto che un* figli* è costretto a sopportare, per colpa di uno stupido scherzo ormonale, piuttosto che delle consuetudini sociali, piuttosto che della mancanza di carattere di una donna che non ha il coraggio di non mettere al mondo una creatura che non amerà. Con la consapevolezza di non essere stata amata da principio io combatterò tutta la vita.
    Ma poiché la sorte è ironica e beffarda, ora è mia madre, malata di una malattia neurodegenerativa (corea di Huntington), ad avere bisogno di cure, come una bambina. Il suo primogenito tanto amato le disprezza, nella sua malattia, e invece io, dopo 10 anni, ho deciso che dovevo vivere anch’io, e che sono ancora arrabbiata con lei, che mi ha messa al mondo con lo stigma del rifiuto, invece di abortire. Sono cattiva, severa, crudele con queste donne deboli o fragili che partoriscono figli che non vogliono, ma tant’è. Sarà che ho imparato troppo presto il disprezzo.
    Ulteriore ironia: mio padre è un’ottima mamma, come ha accudito me, ora accudisce la moglie. E credo che lo faccia non perché si diverte, ma perché lui sì, che è capace di amare sinceramente qualcun*.

  4. È difficile dare un giudizio ,, a queste dichiarazioni, così dolorose, si, perché dietro un rifiuto c’è tanto dolore, io penso che sono persone che anno bisogno di aiuto, perché a sua volta non essere stati amati da qualcuno , soprattutto dai genitori scatena qualcosa di nn spiegabile, e chi ne paga le conseguenze sono dei bimbi innocenti , che a mio parere. Sono la cosa più bella che la vita ci possa donare, sono mamma da quando avevo 18anni ,, e nn mi pentirò mai di aver messo al mondo la mia bimba che oggi è una donna,e de la cosa più bella che la vita mi abbia donato,

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