Antiautoritarismo, Autodeterminazione, R-Esistenze

Tutt* hanno diritto di lavorare in sicurezza. Allora perché la legge non protegge le Sex Workers?

Una donna scrive ‘Sicurezza per le Sex Workers Adesso!’ – Primo marzo, giornata internazionale per i diritti delle sex workers. Dublino, Irlanda (Foto di Artur Widak)

 

Non si tratta di stabilire se il lavoro sessuale sia o meno degradante o emancipante – si tratta di affrontare la realtà di 70.000 donne che oggi scambieranno sesso per denaro e che non sono protette dalla legge

Di: Niki Adams, Portavoce del collettivo inglese delle prostitute

Articolo originale pubblicato il 1° Marzo 2019 sull’edizione online inglese del quotidiano Huffington Post: qui – Traduzione di Francesca e Nicoletta del gruppo Abbatto i Muri.

Sheila ha cominciato a prostituirsi per saldare i debiti e mantenere suo figlio dopo che era stata obbligata a lasciare altri lavori a causa delle sue disabilità. Lavorava da sola.

“In pochi mesi, sono stato aggredita, violentata ripetutamente, legata, tenuta in ostaggio e quasi strangolata. Ho testimoniato contro il mio aggressore ma l’ha fatta franca. Ho sofferto per anni di incubi e attacchi di panico e ho deciso di non lavorare mai più da sola”, mi ha detto.

Ha iniziato a lavorare con amiche perché era più sicuro. Ha descritto come si sono organizzate collettivamente: “Ognuna teneva i propri soldi, ma insieme pagavamo l’affitto, le bollette e la pubblicità”.

Alcuni mesi dopo, è stata fatta irruzione nell’appartamento in cui lavorava e lei è stata arrestata e accusata di gestire un bordello. Le accuse sono state infine abbandonate dopo una campagna guidata dall’ECP – English Collective of Prostitutes (Collettivo Inglese delle Prostitute, NdT) che ha portato oltre un migliaio di persone a scrivere al proprio deputato per protestare. Ma la signora Farmer non avrebbe mai dovuto essere accusata. Ha violato la legge che rende illegale per due o più prostitute lavorare insieme. Per rientrare nella legge, le sex workers devono lavorare da sole.

Maria Santos ha lavorato con altre cinque donne in un appartamento a East London. Una notte, cinque uomini armati di coltelli hanno fatto irruzione e le hanno derubate. Lei ha chiamato la polizia, ma quest’ultima non ha fatto nulla contro questa violenta gang e, per contro, qualche giorno dopo le ha inviato una lettera minacciandola di essere perseguita legalmente per gestione di bordello. E di nuovo, è stata necessaria una campagna per fermare l’accusa e la sua espulsione dal Paese (La donna è di origine brasiliana, NdT).

Anche se nel Regno Unito è legale essere una prostituta, è illegale lavorare con altre persone, il che costringe le donne a lavorare da sole e a rischiare la loro sicurezza quotidianamente. Per strada le donne scappano dalla polizia e sono impossibilitate ad usare anche le più elementari misure di sicurezza come: lavorare con altre donne che possano prendere nota delle targhe; evitare aree isolate; condividere informazioni sugli uomini aggressivi; prendendosi del tempo per selezionare i clienti, ad esempio, assicurandosi che non ci siano passeggeri nascosti, o stabilendo i termini della transazione prima di salire su un’auto.

Più di 180 sex workers sono state uccise dal 1990 e due terzi hanno subito un attacco fisico. Queste cifre sono probabilmente sottostimate, dal momento che la criminalizzazione e lo stigma associati alla prostituzione impediscono alle donne di esporsi pubblicamente sulla natura del loro lavoro. Questo dovrebbe provocare una reazione in tutta la nazione. Eppure non è così.

Ancora peggio, le leggi in vigore esasperano i rischi che le sex workers affrontano, costringendo le donne a lavorare in maniera isolata e impedendo loro di denunciare la violenza e ottenere protezione per paura di essere esse stesse arrestate. Questa epidemia di violenza contro le prostitute rende la nostra nuova campagna #makeallwomensafe più necessaria che mai.

La maggior parte delle “sex worker” sono madri che lavorano per mantenere le famiglie.  Coloro che si oppongono alla politica dell’austerità e dei tagli – l’86% dei quali hanno colpito le donne – dalle donne comuni ai movimenti dal basso al relatore delle Nazioni Unite, hanno evidenziato che un numero sempre maggiore di donne, in particolare madri, è spinto alla prostituzione dalla povertà.

Amnesty International, che ha votato a favore della depenalizzazione del lavoro sessuale, ha rimarcato l’urgenza di affrontare la povertà e ha invitato i governi a fornire una rete di sicurezza sociale.

Tentativi di screditare Amnesty sono pervenuti da critici che affermano falsamente che Amnesty stia così promuovendo lo sfruttamento della prostituzione. Ma lo sfruttamento della prostituzione è estorsione e violenza, e ci sono leggi apposite contro questo crimine. Le sex workers segnalano che non è vero che la maggior parte delle “sex worker” siano vittime della tratta e che, in ogni caso, la legge contro la tratta di esseri umani rimarrebbe in vigore per aiutare coloro che sono vittime della tratta. La criminalizzazione dei clienti viene proposta come un modo per reprimere la prostituzione. Eppure un rapporto del Comitato per gli affari interni chiarisce che le attuali leggi che regolano “il sesso a pagamento” si basano sul presupposto che la prostituzione sia moralmente sbagliata, quando la legge non dovrebbe avere lo scopo di formulare giudizi morali.

La depenalizzazione è stata introdotta in Nuova Zelanda con comprovato successo. Oltre il 90% delle prostitute afferma di avere diritti legali, alla salute e alla sicurezza; Il 64,8% ha trovato più facile rifiutare i clienti – questo è un indicatore chiave dello sfruttamento – e il 70% ha avuto più possibilità di segnalare episodi di violenza alla polizia.

La nostra campagna non sta chiedendo cosa pensi la gente del “lavoro sessuale”. Non vogliamo discutere se il “lavoro sessuale” sia degradante o un processo emancipante in modo univoco, o se si tratti di lavoro o di vittimizzazione – provando a formulare la stessa domanda applicandola ai lavoratori dei call center si può capire quanto sia assurda.  Vogliamo discutere della realtà di oltre 70.000 donne che oggi o domani o qualche volta nell’arco di questa settimana scambieranno sesso per soldi. Le leggi ci costringono a farlo in modi che sono pericolosi: devono essere abolite.

Firma la nostra petizione per chiedere che il governo agisca con urgenza prima che altre donne perdano la vita. È un primo passo per cambiare il mondo, per garantire di non essere più criminalizzate. Tutt* noi abbiamo diritto alla sicurezza e alla protezione e ad un salario di sussistenza, comprese le mamme, così che nessuna debba essere costretta dalla condizione di povertà a fare sesso con nessuno.

Niki Adams è la portavoce del ‘Collettivo inglese delle prostitute’, una rete di donne che lavorano in diverse aree dell’industria del sesso – sia per strada che al chiuso- che organizza campagne per la depenalizzazione del lavoro sessuale e per la sicurezza delle prostitute.

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