Alcune persone che ci seguono ci chiedono come mai in questi giorni si parla della Legge Merlin, quella contro le case chiuse per intenderci, e di cosa si parla in realtà.
Detto semplicemente: la legge Merlin dichiarò illegali le case chiuse, volute in epoca fascista a gestione di maitresse con le prostitute a lavorarvi dentro. Le legge dichiarò illegale lo sfruttamento della prostituzione, ovvero di chi ci guadagna sfruttando chi la esercita, in special modo se si tratta di minorenni. La legge istituisce anche il reato di favoreggiamento ed induzione alla prostituzione. Indurre alla prostituzione significa portare una persona ad esercitarla e favorirla significa agevolare l’esercizio della prostituzione.
Detto in parole povere: se qualcuno invita delle ragazze a delle feste e poi le paga inducendole a prostituirsi o se una persona affitta un locale o condivide l’abitazione con una prostituta che paga l’affitto o mantiene l’altro convivente. Qui la legge si fa abbastanza criptica ed è di questo che si sta discutendo. Al di là delle opinioni e degli scazzi tra abolizioniste (le uniche consultate da giornali ecclesiastici come Avvenire, giusto per dirne una) e le parti in causa nel processo su escort/feste/imprenditori/Bari questo è quello che succede:
nel processo che si trascina dai tempi in cui scoppiò lo scandalo barese delle donne pagate per agevolare l’incontro tra imprenditori che discutevano di affari (discutevano è un eufemismo) le parti coinvolte (in questo caso la procura) hanno inoltrato alla Corte d’appello la richiesta di chiarire un dubbio sulla costituzionalità della legge a proposito delle accuse di reclutamento e favoreggiamento della prostituzione. La corte costituzionale ha deciso che la legge va bene e ha stabilito – contraddicendo la sentenza precedente – che non viola la determinazione delle prostitute che liberamente decidono di esercitare quel mestiere.
La questione ovviamente va letta entro i confini di un processo in cui l’accusa cerca di aggravare le pene per gli accusati ma, purtroppo, la sentenza della Corte tocca i diritti di tutte le sex workers che lavorano in Italia. E parlo non di quelle che vengono indotte e sfruttate per guadagno da papponi vari ma di quelle che lavorano autonomamente e che purtroppo devono fare i conti con una legge che non chiarisce bene le circostanze di applicazione delle parti che parlano proprio di favoreggiamento.
Noi sappiamo che in Italia le prostitute vengono più facilmente sfruttate se lavorano per la strada. Oltretutto le condizioni di lavoro non sono sempre igieniche e sicure. Perciò si potrebbe pensare che una sex worker possa scegliere di affittare un appartamento per lavorare al chiuso dove igiene e sicurezza saranno controllate. Ebbene: questo, secondo alcune sentenze, non si può fare. Vale a dire che chi affitta un appartamento ad una sex worker pur ottenendo semplicemente la cifra decisa nel contratto di affitto può essere ritenuto reo di favoreggiamento. Ovvero egli starebbe favorendo l’attività di prostituzione.
Questo reato può essere imputato anche ad una amica (o altre persone) che convive con chi esercita il sex working. Per esempio: tu vivi con la tua amica che lavora come sex worker, la tua amica fa la spesa e paga le bollette e il fatto che metta in comune soldi guadagnati con la prostituzione secondo alcuni giudici potrebbe essere segno che tu, amica della sex worker, sia rea di favoreggiamento e perfino di sfruttamento. Il punto importante è: cos’è più sicuro per una sex worker? Lavorare in mezzo alla strada in balìa di sfruttatori, stupratori e rapinatori o assieme ad un’amica e nella propria casa dove decide chi può entrare e chi no e può più facilmente ottenere solidarietà e supporto quando serve?
In questo senso anche le associazioni in difesa dei diritti delle persone prostitute da tempo immemorabile chiedono che quelle parti ambigue e che vanno contro l’autonomia e la sicurezza della sex worker siano riviste e cancellate. Ma i tempi attuali corrispondono ad un regresso culturale che colpisce tutta Europa e anche oltre. Premono le abolizioniste che al pari dei catto/integralisti chiedono che le prostitute, tutte, incluse quelle che fanno questo lavoro per scelta, siano redente, perfino con la forza se necessario.
Loro credono che alcune donne non sappiano pensare autonomamente, ovvero siano incapaci di intendere e volere e con toni paternalisti e autoritari stabiliscono che quelle donne vanno poste sulla retta via. Ecco il perché della polemica di questi giorni. Le abolizioniste plaudono al risultato della sentenza della Corte Costituzionale. Gli imputati nel processo barese si dispiacciono per proprio tornaconto e quelle che davvero ci vanno di mezzo sono le sex worker che si trovano a subire da un lato decisioni come questa e dall’altro gli scleri della Lega che continua a ululare sulla riapertura delle Case chiuse (che le sex worker non hanno mai chiesto).
Le sex worker stanno in mezzo a due fanatismi diversi e speculari e non fanno che chiedere spazio di parola. Ma chi, in questa Italia che dice di interessarsi tanto al volere delle donne, darà mai ascolto alle sex worker? Non la sola e unica sopravvissuta in tour che vaneggia pensando di poter parlare a nome di tutte. Parlo delle tantissime sex worker che lottano ogni giorno per ottenere riconoscimento dei propri diritti, affinché smetta la persecuzione poliziesca e ideologica, affinché loro possano decidere come, quando e con chi esercitare quella professione.
Della faccenda parlo ancora e approfonditamente QUI. Per il resto vi invito a leggere i post segnalati in basso.
—>>> vedi anche: Sentenza Bari. Legge Merlin Incostituzionale. Il sex work non è reato
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