Antiautoritarismo, Autodeterminazione, Critica femminista, R-Esistenze

Ddl del Pd su Prostituzione: è solo Paternalismo di Stato!

Dalla manifestazione dei/delle sex workers a Roma il 30 aprile.
Dalla manifestazione dei/delle sex workers a Roma il 30 aprile.

 

Alcuni parlamentari del Pd hanno presentato una proposta di legge – la n. 1838 – che ancora una volta parla di prostituzione. Tra le firme vediamo quella di Valeria Fedeli che pure aveva firmato l’altra proposta – la n. 1201 – su iniziativa di Maria Spilabotte. Nella n. 1201 si potevano vedere una serie di altre firme che raccoglievano trasversalmente il consenso di varie espressioni di diversi partiti. Se la proposta Spilabotte, unita ad altri componenti dei settanta sottoscrittori di un manifesto pro/legalizzazione, dedica ampio spazio alla regolamentazione della prostituzione, quella di Pina Maturani, la n. 1838, parla tutt’altro linguaggio.

Con una sintesi di Matteo Orfini, presidente dell’assemblea del Partito democratico, costoro decidono che lo sfruttamento della prostituzione si attesterebbe al 95 per cento, lasciando che solo ad un 5 cento scarso sia riconosciuto il diritto di potersi dire espressione di un mestiere gestito in modo autodeterminato dalle sex workers.
In Italia non esiste un osservatorio che si dedica a questo fenomeno e nulla di certo si può dire in proposito, salvo il fatto che nei Paesi europei, nei quali si impone la logica abolizionista, si usa pressappoco lo stesso parametro che corrisponde alla quota di donne migranti che varcano la soglia dei vari Paesi.

Dunque si dà per scontato che tutte le donne straniere siano sfruttate, non mettendo in discussione mai il fatto che se alcune avessero possibilità di ottenere un permesso di soggiorno come lavoratrici sessuali, quella stessa cifra scenderebbe in modo netto. La proposta parla di un aggravio di pene che erano previste dalla Legge Merlin, con un pugno di ferro rivolto contro quei locali nei quali si nasconde l’esercizio della prostituzione e senza tenere mai conto della prostituzione maschile o trans. Più volte si cita la risoluzione Honeyball, votata lo scorso febbraio dal Parlamento europeo grazie all’accordo trasversale tra deputati dell’area socialista e quelli del Ppe più altri dei gruppi di estrema destra.

Tra le persone che hanno votato la risoluzione si possono notare persone antiabortiste, omofobe, razziste. Non l’hanno votata vari parlamentari del Gue, cioè la sinistra, e di correnti della zona socialista non influenzate da paternalismo e conservatorismo spinto. Quella risoluzione nacque male, grazie ai toni usati da chi voleva a tutti i costi imporre quel punto di vista, in special modo quelli di chi diffamò le organizzazioni in difesa dei diritti civili dei/delle sex workers, in lotta per la regolarizzazione della professione, attraverso la divulgazione, tra tutti i parlamentari europei, di una menzogna che metteva in relazione quelle organizzazioni con i papponi.

Come se non bastasse quel po’ po’ di delegittimazione, va ricordato quel che disse Daniela Danna, sociologa e coordinatrice per la relazione destinata alla Commissione europea, prima che si parlasse della risoluzione. Da quel che si può leggere in una sua intervista rilasciata al sito http://www.verdidebatt.no/, dal titolo: “A fanatic EU Committee”, Danna fu costretta a dimettersi e a ritirare quel contributo scientifico che avrebbe dovuto essere la base di un ragionamento da fare in vista della risoluzione, perché il contributo scientifico non era allineato alla posizione delle abolizioniste.

Sicché il deputato laburista, femminista radicale, Mary Honeyball, spinse molto affinché fosse assegnata, alla commissione Femm, la responsabilità per la preparazione della relazione da consegnare alla Commissione Ue.
Quel che venne fuori fu un voto in favore di una risoluzione non vincolante per gli Stati membri e che in realtà ripropone, come un mantra, le stesse teorie che le RadFem portano ovunque, dagli Stati Uniti all’Europa, dalla Svezia alla Francia, fino al tentativo di rivedere le legislazioni di quei paesi in cui la prostituzione è in qualche modo regolamentata.

Parte del mantra è anche la parziale informazione che parlerebbe di un fallimento della legislazione tedesca. L’unico fallimento concreto però è quello che riguarda i media che riportano informazioni parziali e prive di riferimenti scientifici. La legge tedesca che regolamenta la prostituzione non è stata infatti applicata ovunque in quella nazione. E dire questo è molto diverso dal dire che la legge non ha funzionato.

Quel che si sa è che le RadFem, che qui evidentemente trovano sponda in qualche fascia del Pd, pensano che tutte le prostitute siano vittime, non ne esiste nessuna che abbia scelto liberamente e non esiste una prostituzione libera al di fuori dalla tratta. Quindi per loro prostituzione libera e tratta sarebbero la stessa cosa e di fondo c’è la convinzione presuntuosa, da parte di costoro, di voler imporre un punto di vista che nega l’esistenza delle prostitute che fanno quel mestiere per scelta e così le esclude, delegittimandole, dal dibattito politico che pure dovrebbe tenere conto della loro posizione e della loro proposta politica.

Pur concordando con quella parte della proposta piddina che è dedicata al reinserimento lavorativo di chi vuole uscire dal mondo della prostituzione non vedo comunque come si possa omettere una realtà precisa: le prostitute pagano già le tasse facendo si che lo Stato sia visibile per quel che al momento è, ovvero uno Stato pappone. Se quel che le prostitute guadagnano è denaro illecito allora perché l’agenzia delle entrate chiede moneta sonante alle prostitute ed è in questo aiutata perfino da sentenze della cassazione? (Cass. sent. n. 20528 del 1.10.2010)
Delle due l’una: vogliono che la prostituzione sia dichiarata del tutto espressione di un’attività criminale allora che i parlamentari includano un paragrafo o un articolo in cui si dice che non devono pagare le tasse. Diversamente, come avviene per ogni lavoratore e cittadino che è chiamato a contribuire alle spese dello Stato, se una prostituta paga le tasse allora ha il diritto di poter gestire il proprio lavoro alla luce del sole, come una qualunque attività d’impresa e nelle migliori condizioni igieniche, economiche, contributive e di sicurezza.

Un’ultima cosa: pensare leggi sulle prostitute parlando in nome di altre non è femminismo. È solo un modo per disconoscere soggetti che si autorappresentano. È un modo per stigmatizzare ancora di più quelle che vogliono parlare per sé, e questa cosa si chiama in un solo modo: paternalismo di Stato.

[Già pubblicato su Il Garantista]

 

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3 pensieri su “Ddl del Pd su Prostituzione: è solo Paternalismo di Stato!”

  1. Sulla tassazione della prostituzione, i vari divieti della Legge 75/1958 “Merlin” sono derogati, anche se solo in campo fiscale, grazie all’articolo 36 comma 34bis della Legge 248/2006, in modifica dell’articolo 14 comma 4 della Legge 537/1993. Il tutto confermato dalla Cassazione con le Sentenze n. 20528/2010, 10578/2011, 18030/2013. http://www.webalice.it/cstfnc73/prostituzionetasse.htm
    Questi parametri non sono una mia invenzione, come qualcuno continua a credere!
    Spero di essere stato chiaro.

  2. va bene che se uno ci guadagni ci sia una tassazione perché diventa un lavoro. Però, secondo me, la regolamentazione non può limitarsi alle tasse. Se vogliono lavorare come prostitute, devono avere una regolamentazione che stabilisca dei diritti e dei doveri, per loro e per tutti. Ciò indipendentemente dal motivo per cui si prostituiscono. Non può esistere un’attività permessa che non abbia alcuna regolamentazione.

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