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#FertilityDay: Lorenzin, non è un problema di forma ma di sostanza!

Immagine a cura di Una Manu
Immagine a cura di Una Manu

 

Quel che la ministra Lorenzin non ha capito è che si tratta di una questione di sostanza e non di forma. Non è cambiando un paio di immaginette che riuscirà a farci piacere il Piano nazionale per la Fertilità. Le immagini, d’altronde, rappresentavano egregiamente i contenuti del piano che, per chi lo ha letto, risulta perfino peggiore delle orribili vignette. Quel Piano, d’altronde, nasce con l’intento di far parlare del “prestigio” della maternità, così come spiegava la consulente di Lorenzin solo qualche tempo fa. E se la Consulta di Bioetica pisana assieme a un vastissimo gruppo di psicologi e psicologhe, si oppongono, a partire dai contenuti, al Piano, Lorenzin, invece, pare assolutamente intenzionata ad andare avanti.

Il Piano consta di 137 pagine tra le quali trovi di tutto. Per esempio:

Gli scopi del Piano dicono, al punto 4, che quel che concerne la fertilità deve diventare “bisogno” dell’intera società. Al punto 5 precisa che istituendo il #FertilityDay si vorrà diffondere parole d’ordine che hanno a che fare con il “Prestigio della Maternità“.

Cosa ci sia di prestigioso non si capisce. Un po’ come far pensare alle donne di essere un tantino superiori di altri umani perché madri, con tutto quel che ne consegue. Mancato rispetto e stigmatizzazione nei confronti di chi non può avere o non vuole avere figli. Norme che propendono verso la tutela della donna in quanto madre e non in quanto persona. Un modo come un altro per rendere le donne orgogliose di assumersi il carico di ruoli riproduttivi e di cura perché lo chiede la patria che, durante il Fertility Day, poco ci manca che ti consegna una medaglia come miglior madre dell’anno. Dejù vù a parte continuiamo a leggere insieme il piano.

Ci avvisa che la denatalità metterebbe a rischio il welfare. Di quale welfare parli non si sa giacché non possiamo godere di molti servizi che, tra l’altro, sarebbero utili anche alle madri. Asili nido, strutture di sostegno, protezioni delle donne che lavorano, e altre cosìne del genere. Poi si spiega che:

“Il peso della cura dei bambini è molto rilevante per le donne più istruite e con lavori di responsabilità che si confrontano con alti costi opportunità e si trovano a dover ridurre la loro attività lavorativa.”

Vi sfidiamo a trovare in tutto il piano un passaggio in cui si parla di assunzione di responsabilità permanenti da parte dei padri. Essi non esistono. Quel che conta è che le donne studiano, vogliono lavorare, e addio bambini. Colpaccia nostra, ecco.

Quando si tocca il tasto dell’istruzione, o quel che per loro sarebbe una specie di educazione sessuale nelle scuole finalizzata puramente a parlare di figli, si dice che:

Le giovani donne devono sapere che la “finestra fertile” femminile è limitata…

Come dire: spicciati, ragazza, perché te lo chiede la patria.

Ad un certo punto arriva un passaggio che parla di consultori familiari e dei suoi compiti. Si scrive che:

(…) Il Piano Nazionale per la Fertilità propone, in collaborazione con le Regioni e le Asl, una valorizzazione dei Consultori come primo anello e filtro nella catena assistenziale delle patologie riproduttive. Il Consultorio dovrà essere la prima tappa del percorso sanitario dedicato al paziente infertile, in stretto dialogo col successivo livello terapeutico ospedaliero. La sequenza assistenziale efficace dovrebbe iniziare dal Medico di Medicina Generale, oltre che dal pediatra di libera scelta per l’adolescente, e dovrebbe proseguire con l’invio dei pazienti al Consultorio dove gli Specialisti eseguiranno una accurata anamnesi e prescriveranno le indagini più opportune per raggiungere una diagnosi e delineare un’ipotesi terapeutica appropriata che potrà eventualmente essere messa in atto nella struttura ospedaliera.

La mia domanda è: quale personale sanitario penserà a fare questo? E sarà personale obiettore? Come accoglieranno donne che vogliono abortire o vogliono assumere contraccettivi? Dove ci si potrà recare per non dover incorrere nel personale con fertilometro che ti annusa non appena entri in quel luogo? E non ci sono già strutture sanitarie che possono svolgere quel lavoro? Perché cercare un modo per invadere i consultori, pensati per fare altro? Perché, da quel che mi viene in mente, si cerca appunto di fare in modo che sia svuotato di ruoli cambiandone gli obiettivi. Bella mossa. Non c’è che dire. La Regione Lazio ci ha provato per un paio di mandati di governo.

Continuando nel documento si ripete ancora e ancora il fatto che la donna avrebbe sulle spalle il destino economico della nazione. Colpa della femmina? Studiare, pretendere di fare carriera e di essere economicamente indipendente, per esempio.

esaminando l’atteggiamento sociale e psicologico verso la procreazione in relazione a fattori quali l’età della coppia, la professione, i ruoli di responsabilità, in particolare femminili, e gli effetti che la crisi economica globale, il ritardo nell’uscita dalla famiglia di origine, l’accresciuto livello di istruzione, la lunghezza del corso di studi hanno prodotto sulla decisione di rinviare la prima gravidanza. Si assiste, infatti, ad una pericolosa tendenza a rinviare questo momento, in attesa proprio di una realizzazione/affermazione personale che si pensa possa essere ostacolata dal lavoro di cura dei figli. La maternità, invece, sviluppa l’intelligenza creativa e rappresenta una straordinaria opportunità di crescita. L’organizzazione ingegnosa che serve a far quadrare il ritmo delle giornate di una mamma, la flessibilità necessaria a gestire gli imprevisti, la responsabilità e le scelte implicite nel lavoro di cura, le energie che quotidianamente mette in campo una madre sono competenze e potenziali ancora da esplorare e capire come incentivare e utilizzare al rientro al lavoro.

Chiaro? Essere madri ci regala quel di più che ci renderebbe più adatte nel lavoro. Peccato che eviteremmo volentieri di organizzarci ingegnosamente o di gestire gli imprevisti, senza l’apporto dei padri o degli altri genitori. Peccato poi che i datori di lavoro di questa pseudo formazione se ne freghi.

Si parla poi, ancora, di “maternità e famiglia” e di “conciliazione delle esigenze della famiglia” (la famosa strategia di conciliazione famiglia/lavoro che porta le donne di nuovo in casa e le rende disoccupate),

Il paragrafo delle “culle vuote”, neanche a dirlo, parla ancora di madri.

Perché le culle sarebbero vuote?

trasformazione dei costumi sociali, del modello di famiglia tradizionale e delle preferenze femminili in particolare, renderebbero la scelta di avere figli non più prioritaria fra gli obiettivi vitali.

Le “preferenze femminili in particolare” non si capisce quali siano. Poi si parla di matrimoni e calo degli stessi e dato che i figli si farebbero da sposati il calo sarebbe dovuto al fatto che non ci si sposa come un tempo. Da dove abbiano tratto queste certezze non chiedetemelo perché ne so tanto quanto voi. Brutta cosa sembrerebbe quella di fare figli fuori dal matrimonio e di fare figli unici. Sfornatene dieci a testa, capito donne?

Ma le donne non ascoltano ed è presto spiegato il perché. Scrivono sul piano:

Da un punto di vista psicologico sembra diffuso un ripiegamento narcisistico sulla propria persona e sui propri progetti, inteso sia come investimento sulla realizzazione personale e professionale, sia come maggiore attenzione alle esigenze della sicurezza, con tendenza all’autosufficienza da un punto di vista economico e affettivo. Tale disposizione, spesso associata ad una persistenza di un’attitudine adolescenziale, facilitata dalla crisi economica e dalla perdita di valori e di identificazioni forti, si riflette sulla vita di coppia e porta a rinviare il momento della assunzione del ruolo genitoriale, con i compiti a questo legati. Nelle donne, in particolare, sono andati in crisi i modelli di identificazione tradizionali ed il maggiore impegno nel campo lavorativo e nel raggiungimento di una autonomia ed autosufficienza ha portato ad un aumento dei conflitti tra queste tendenze e quelle rivolte alla maternità.

(…) Col tempo, invece, sempre più donne hanno raggiunto livelli di istruzione elevati fino a superare, anche se di poco gli uomini, negli anni di studio, concentrandosi sul raggiungimento di una sostanziale parità con il genere maschile

(…) Gli ultimi decenni della storia italiana sono caratterizzati dalla crescita del livello di istruzione delle donne. Nella fascia di popolazione fra i 25 e i 44 anni le donne con un titolo di studio superiore sono oggi relativamente più numerose degli uomini. Fra gli inizi degli anni ‘70 e i primi anni del 2000 il tasso di conseguimento del diploma per le donne è più che triplicato. I rapporti di forza si sono invertiti anche per quanto riguarda la laurea e ormai il numero di donne che raggiunge questo traguardo ha superato quello degli uomini di vari punti percentuali (28% vs 19%).

(…) L’analisi non può prescindere dal mettere in relazione la tematica più generale dell’istruzione con il ritardo nei tempi della maternità/paternità. La crescita del livello di istruzione per le donne ha avuto come effetto sia il ritardo nella formazione di nuovi nuclei familiari, sia un vero e proprio minore investimento psicologico nel rapporto di coppia, per il raggiungimento dell’indipendenza economica e sociale.

Capito come? Se le donne studiano non fanno figli. Ergo, sarebbe meglio non farle studiare e spingerle a ritenere altamente prestigioso e qualificante il fare figli. Leggendo tutto ciò non viene in mente anche a voi di farvi blindare le tube del falloppio?

L’altra ipotesi pregnante, e non a caso uso il termine pregnante, dice che le donne non fanno figli perché farebbero i dispetti agli uomini che secondo il piano ne vorrebbero a bizzeffe. Chissà poi come farebbero a mantenerli.

“L’atto del partorire rimanda indissolubilmente al genere femminile. (…)La rivoluzione demografica sta necessariamente conducendo verso una trasformazione dei ruoli all’interno della coppia e lungo tutto il percorso del ciclo di vita familiare. Si è, però, giunti al punto di domandarsi se il tema della conciliazione sia solo un fattore legato al tempo, cioè ai convulsi stili di vita dei nostri giorni, acrobatici e funambolici, in antagonismo puro con il ruolo di madre, insidianti la stabilità della coppia, oppure se non si tratti di un vero e proprio conflitto di genere.

“(…) Cosa fare, dunque, di fronte ad una società che ha scortato le donne fuori di casa, aprendo loro le porte nel mondo del lavoro sospingendole, però, verso ruoli maschili, che hanno comportato anche un allontanamento dal desiderio stesso di maternità?
La collettività, le istituzioni, il competitivo mondo del lavoro, apprezzano infatti le competenze femminili, ma pretendono comportamenti maschili.

Dunque esistono ruoli maschili e ruoli femminili? Aspirare a prendere una laurea e ad avere un lavoro equivalente significa essere maschie? ma che bravi questi del Ministero…

Continua:

“Dopo avere valorizzato le caratteristiche di indipendenza e realizzazione di sé delle bambine e giovani donne, dopo aver fatto in modo che si tendesse ad una parità di genere, che ha portato alla conquista di un titolo di studio, spesso di secondo livello e un lavoro agognato, magari di responsabilità, la maternità appare improvvisamente alle donne come un preoccupante salto nel buio, un ostacolo ai progetti di affermazione personale. Nel paese degli stereotipi di genere, quello “mammone”, dei “bamboccioni” e della pubblicità con il “mulino”, una donna su cinque non fa più figli.”

Sulla divisione dei ruoli di cura poi nel Piano scrivono:

“In una recente indagine del Dipartimento per le pari opportunità, condotta insieme all’ISTAT sugli stereotipi di genere è stata rivolta a uomini e donne la seguente domanda: “un uomo e una donna che lavorano a tempo pieno devono suddividere equamente il lavoro di cura?” Un numero elevatissimo di soggetti ha dato risposta assolutamente affermativa. Sembrerebbe, da un punto di vista ideale, sia in atto una sorta di convergenza verso un modello simmetrico. Alla domanda successiva: ”quanto pensate che sia equa la divisione dei ruoli fra i partner all’interno della coppia?”, la stragrande maggioranza sostiene che è equa.

Una buona parte delle donne sottolinea, però, che gli uomini “ non sono adatti al lavoro di cura” e solo il 50% delle donne si oppone al fatto che in un periodo di crisi “è bene dare la priorità al lavoro degli uomini rispetto a quello delle donne”.”

Solo il 50% si oppone? Solo la metà della popolazione, dunque? Quindi gli uomini dovranno essere i primi a poter lavorare perché non sarebbero capaci di fare i genitori. A noi che siamo braverrime, invece, va lo scettro della casalinghitudine. Che generosità!

Tale fenomeno loro lo definiscono:

modello di pater familias per così dire modernizzato, dove l’uomo lavora e magari aiuta un po’; la donna si occupa molto della famiglia e magari lavora.” (che culo!)

Non vi dico poi quanto sia divertente leggere il capitolo sulle “primipare attempate“. Della serie sonocazzivostri! A questo paragrafo segue poi quello in cui si spiega che le femmine sono in realtà fertili fin dalla mestruazione, e dunque, orsù, perché mai vi riducete a partorire a 40 anni quando potreste farlo a 13? Il ministero non la dice così ma io sono libera di interpretarla come voglio, giusto?

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Medici e insegnanti sarebbero chiamati a spiegare la responsabilità del singolo rispetto ad una fertilità quale “bene comune”. Come se non bastasse la quantità infinita di preoccupazioni di un ragazzino dovrà anche maturare un’ansia da infertilità a partire da chi coniugherà un nuovo modo per definirvi poco virili. Siete macchine per fare figli, dopotutto. Nulla più che questo.

Segue un capitolo sull’educazione sessuale che però

“non è meramente igiene sessuale ed uso corretto degli organi genitali ma e’ fondamentale per la protezione della salute riproduttiva.”

Deduco che non si parlerà moltissimo di consensualità. O sbaglio?

Leggo poi che:

“Le adolescenti vanno quindi incoraggiate a proteggersi dalle IST e da gravidanze indesiderate, prendendo in considerazione di ritardare l’avviamento dell’attività sessuale (…)”

Mi chiedo perché mai si dovrebbe dire a una ragazza di ritardare il sesso. Raccontando che è bello farlo solo nel matrimonio e per fare figli?

Quello che praticamente il Piano descrive è un modo fascistoide di concepire le relazioni sessuali, il rapporto con il proprio corpo, la priorità di cui occuparsi parlando di salute personale prima che riproduttiva. Il fatto di intendere la fertilità come bene pubblico implica la consegna del mio destino sessuale, della mia scelta, ad una istituzione che mi farà sentire sbagliata se vorrò evitare di fare figli, se vorrò farli con una compagna, se vorrò partorirlo per darlo ad una coppia gay. Non una parola sul fatto che accogliendo persone di altre nazioni si potrebbe serenamente risolvere la questione del “welfare” di cui tanto parlano. La fertilità è in ogni caso roba mia e come ogni cosa che mi riguarda rientra nel mio spazio decisionale. Io decido e non c’è nessun piano e nessuna giornata della gioventù fertile che mi convincerà a farmi piacere un piano che mi pare solo un inutile dispendio di denaro. Perché qualcosa costa, giusto? E chi paga? Possiamo dire che paghiamo noi?

Immagine a cura di Una Manu
Immagine a cura di Una Manu

 

Fonte: http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2367_allegato.pdf

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4 pensieri su “#FertilityDay: Lorenzin, non è un problema di forma ma di sostanza!”

  1. Una inutile propaganda. Dessero alla gente opportunità lavorative vere e non lavori precari e mal pagati. Dessero servizi efficienti. Dessero tutto quel che manca alla gente per vivere vite dignitose. Dessero ascolto alle richieste di chi figli ne ha ed affronta mille problemi economici, sanitari, logistici ecc ecc e forse, magari chi ne avrà desiderio ci penserà anche a procreare ma non certo perche bene comune o valore aggiunto o punto di arrivo. Un figlio lo si fa perché lo si vuole e se ci sono le condizioni per farlo e non certo per tutte le cazzate che questa signora qui ed i suoi accoliti si sono inventati.

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