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Volevo suicidarmi, a causa delle bulle…

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Mi hanno accerchiata, una cominciò a spintonarmi, l’altra le disse “lasciala perdere”, e si allontanarono accompagnando un fastidioso chiacchiericcio con risatine ed espressioni dispettose. Avevano più o meno dieci anni e frequentavamo la quinta elementare. Non fosse per il fatto che non avevo modo di trasferirmi avrei smesso di frequentare quella scuola e ne avrei scelta un’altra. Mia madre disse “prova a pazientare” e ogni volta che mi vedeva tornare a casa in lacrime il giorno dopo veniva ad accompagnarmi a scuola, parlava con la maestra, e quella rivolgeva un rimprovero superficiale e quando mia madre andava via tutto ricominciava come prima. Anzi peggio. Il fatto di rivolgermi a mia madre mi faceva sembrare ai loro occhi ancora più meritevole di disprezzo, perfidia, sarcasmo. Quanto male può fare una bambina di dieci anni? Moltissimo, credetemi, perché io ne sono uscita molto male, con mille insicurezze e con la convinzione di non poterci fare proprio niente. Ero senza via d’uscita e non immagino quel che deve essere la vita delle vittime di bullismo oggi, con l’uso di computer e telefonini, che permettono alle bulle di fare ancora più male all’oggetto della loro perfidia.

Alle medie solo un paio di quel gruppo mi seguirono nell’altro istituto. Una di loro era la capobranco e per un po’ pensai che fosse cambiata. Mi sbagliavo. Stava solo aspettando il momento in cui avrebbe di nuovo avuto un seguito, perché una capobranco senza il suo squadrone di bulle non è niente, non è nessuno. Ricominciò a sfottermi, per il mio peso, perché ero brutta, perché ero timida, e quando non sapevo cosa fare piangevo. Il pianto esercitava su di lei una strana influenza. Più io piangevo e più lei diventava cattiva. Era puro sadismo e io mi sentivo arrabbiata e impotente. Decisi di non dirlo a mia madre perché pensavo che sarebbe stato ancora più brutto essere sfottuta davanti a tutta la classe, davanti alle compagne e ai compagni, tra i quali c’era uno che mi piaceva. Però cominciai a sviluppare disturbi somatici. Mal di testa, mal di pancia. Una volta mi venne perfino la febbre. L’unico modo che avevo per proteggermi era di restare a casa, rinchiusa, da sola.

Riuscivo a studiare poco e male. Cominciai ad avere attacchi di panico. Quando era il momento di andare ad una interrogazione mi mancava l’aria, perché non sopportavo l’idea di essere sovraesposta agli sfottò. Quando venivo interrogata dagli insegnanti le bulle cominciavano a sfottermi dai banchi o ridacchiavano e io ero sicura che ridevano per me. Per come ero vestita, per le mie cosce cicciotte, per i miei timidi tentativi di rendermi desiderabile. Ricominciai a pisciarmi addosso. Ero incontinente durante la giornata, e questo voleva dire avere paura di puzzare, usare gli assorbenti di mia madre anche se non avevo le mestruazioni, così da contenere le prime gocce che venivano fuori prima di arrivare al cesso. La notte, poi, ero un fiume in piena. Mia madre mi rimproverava, il medico diceva che erano solo capricci, e io mi sentivo ancora più colpevole e piena di vergogna.

girl-bully-300x267Mi vergognai moltissimo quando mia madre, di sua iniziativa, venne a parlare con un’insegnante, perché a scuola tenessero conto del mio disturbo e mi facessero andare in bagno almeno tre volte durante la mattinata. Non so come venne a saperlo la bulla ma a quel punto non avrei voluto che al mio posto ci fosse una disabile, una bambina priva di strumenti per pensare, andare avanti, risollevarsi. Per me non fu semplice e cominciai a isolarmi sempre di più. Difficilmente mi fidavo delle compagne e quando, raramente, mi concedevo qualche sincera conversazione, scoprivo che venivo tradita e i miei segreti diventavano di dominio pubblico.

Voi non avete idea di quanto male faccia essere presa costantemente in giro, massacrata psicologicamente. Così è da bambina e la stessa cosa avviene se sei grande. Può causarti alcune malattie, inclusa la depressione, e io divenni, senza accorgermene, una bambina depressa. Immaginavo di suicidarmi e poi di assistere al mio funerale, così avrei potuto dare una lezione a quelle bulle. Non so come o perché ma mi resi conto, a un certo punto, che in realtà avrei fatto loro un favore. Quelle stronze non avrebbero mai ammesso un bel niente e anzi avrebbero avuto conferma del fatto che io non fossi così normale.

ragazze bullismoSono così le bulle. Pensano di essere sempre nel giusto e non temono di ferirti, fino a lasciarti quasi morta, perché pensano sia giusto, così sfogano su di te la loro acida insicurezza, la loro ingiustificabile cattiveria. E arrivò il momento dell’esame di terza media, al quale arrivai non so come perché pensavo di non riuscire a sopravvivere a tante angherie. Un giorno quelle stronze al solito iniziarono il dileggio, l’aggressione verbale, e io temetti di non essere più in grado di sopportare proprio niente. Così tornai a casa, mi arrampicai su per le scale per arrivare alla terrazza/tetto e mi avvicinai al muretto basso tentando di trovare il coraggio per buttarmi giù. Credo di essere rimasta lì per moltissimo tempo, perché quando mia madre mi trovò mentre piangevo, e in quel momento intuì quello che avrei voluto fare, era già tardi, quasi ora di cena.

Per la prima volta mia madre non disse proprio niente. Erano gli ultimi giorni di scuola e poi ci sarebbero stati solo gli esami. Mia madre ottenne che io potessi essere interrogata nei momenti di buca degli insegnanti e giustificò tutto dicendo che non stavo bene. Superai l’anno. Mia madre venne con me, tutte le volte, mentre facevo gli esami. Poi mi chiese in che scuola superiore avrei voluto iscrivermi e io indicai un istituto che sapevo non sarebbe stato quello preferito dalle bulle. Lontano, in periferia, ma se potevo evitare quelle violente ne valeva la pena. Naturalmente non fu sufficiente, perché scuola che vai e bull* che trovi. La vita è strapiena di bulli e bulle che sfrutteranno la tua fragilità perfino quando tu sei adulta. Mio padre mi accompagnò allora da una terapeuta e la frequentai per almeno due anni. Non credo mi abbia dato forza per resistere meglio al bullismo ma, per lo meno, mi diede gli strumenti per riconoscerlo evitando sensi di colpa e di pensare che potesse essere mia responsabilità.

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I bulli e le bulle hanno questa sadica abilità. Per quanto tu sia umana loro passano il tempo a disumanizzarti, demonizzarti, a criminalizzarti e si convincono del fatto che tu sia deleteria al punto tale che è quasi necessario farti fuori. Ucciderti socialmente. Causarti problemi di salute. Perché non riconosceranno mai di avere torto e mai ti chiederanno scusa. Perciò sei tu che devi stabilire, per te stessa, che tu non hai fatto nulla per meritarti tanta violenza. Proprio nulla.

Sono adesso un po’ più grande. Ho finito l’università, lavoro, sono sposata e ho un bambino e una bambina. Sono molto attenta con loro perché so cosa significa crescere nel mezzo di un clima ostile. Anche mio marito è molto attento. So che riusciremo ad evitare loro quelle sofferenze. Ce la faremo. E anche voi fate attenzione ai alunni e ai vostri figli. Potreste non vedere quel che gli succede, o comportarvi in modo tale da causare loro più sofferenze. Fate attenzione. Parlate con loro. Non lasciateli/e soli/e.

Ps: questa è una storia vera. Grazie a chi me l’ha raccontata, ogni riferimento a cose, fatti e persone, è puramente casuale. Per chi vuole raccontare la propria esperienza di vittima di bullismo: abbattoimuri@grrlz.net

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2 pensieri su “Volevo suicidarmi, a causa delle bulle…”

  1. Anch’io all’elementari sono stata vittima di bullismo, ma c’è bastato poco per cambiare il ruolo, il gregge che segue il capo branco come vede che tu sei piu forte poi segue te. Io sono stata una bambina molto minuta e magra, ma ciò nn conta la nostra forza viene da dentro. Mi è bastato essere fan di Bud Spencer e Teren Hill. Quindi agli adulti bambini ragazzi e genitori a volte la violenza serve. Un pugno, uno schiaffo, un calcio nelle palle, una tirata di capelli nn fa male ne a te ne a nessun altro che nn merita. Ci sono un milione di sport come karate judo ecc iscriveteli e poi vediamo chi è la vittima poi, nn voglio istigare alla violenza, ma quando ci vuole ci vuole.

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