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Critica del digiuno. Ovvero l’elogio della fame

Guardando una mia foto di molti anni fa mi vedo magra, fin troppo, eppure mi sentivo brutta. L’insicurezza era visibile nello sguardo, nei gesti, nei movimenti. Digiunavo per evitare che si vedesse la mia vulnerabilità. Eppure la mostravo per intero.

Avevo costantemente fame: di amore, approvazione, comprensione, solidarietà. Nei momenti in cui la fame si nutriva di emozioni positive remavo verso una solida sicurezza. Diversamente non bastava mai.

Pensavo che il digiuno mi offrisse l’opportunità di mostrarmi in pubblico forte e fiera. Non è nella magrezza però che si può rintracciare forza e fierezza. Mi vergognavo di aver mangiato troppo anche quando questo non mi derubava della bellezza. Pensavo di essere trasparente, che si notasse ogni cosa, che gli altri potessero scorgermi fin dentro le ossa. Mi sentivo nuda, ero già malata.

I disturbi alimentari sono iniziati nell’adolescenza. Anoressica o bulimica, un’altalena mai effettivamente conclusa. Con gli anni ho provato a non trincerarmi dietro la magrezza e a voler bene alla mia carne, in tutto il suo spessore. Osservarmi meglio, con quei chili in più, così esposta alle radiografie sociali, mi offre la speranza di attraversare la fragilità quando non faccio nulla per nasconderla a me stessa. Avere fame vuol dire accettare il fatto che c’è qualcosa che ti manca. Il digiuno parte dall’idea che tu abbia qualcosa che puoi e devi perdere.

Non ho nulla che in realtà posso cedere. Non l’ho mai avuto. Invece sento il bisogno di tenere stretta ogni consapevolezza e debolezza, perché da quelle parto per lavorarci su e crescere. La fame va considerata, contestualizzata, analizzata, a partire dalle cause. Qual è la cosa che mi manca e mi fa sentire priva di nutrimento?

Il cibo è un surrogato, anestetizzante, palliativo. Se individuo il bisogno forse riesco a trovare risposte che cerco fin da ragazzina. Una vita per capirlo e cento ancora per risolverlo.

Il problema non è la fame. E’ il digiuno. Quest’ultimo rappresenta una fuga, è finzione, mascheramento, un rischioso gioco a nascondino. La fame è rassegnazione, dapprincipio, poi accettazione. E’ lo specchio che ti dice esattamente ciò che hai di fronte.

Ho sempre avuto fame: di libri, di mondi, di parole, di narrazioni. Per saziarmi ho letto, scritto, viaggiato, ascoltato. Nulla mi vietava di farlo. Dunque perché ho sofferto la fame quando volevo qualcosa di intangibile?

Eretica Antonella

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