Antiautoritarismo, Autodeterminazione, Critica femminista, R-Esistenze

Perchè non sono e non sarò mai più un’abolizionista

485282_450337008366798_658619614_nDa Gatte Randagie, un post da leggere. Lo condivido qui. Buona lettura!

>>>^^^<<<

Ho pensato di affrontare questo tema delicato, cercando di snocciolare le questioni che a suo tempo mi facevano essere abolizionista e di come ho ripensato a tali argomenti, cambiando di fatto opinione riguardo al sex work.

-Pensavo che nessuno può vendere il proprio corpo perché abbiamo tutti lo stesso valore.

Ho sempre pensato che fare la prostituta creasse un bel problema filosofico. Se abbiamo tutti lo stesso valore, se siamo “sostanza, intelletto, individualità e natura” (Determinazione Boeziana) perché non mi torna che delle persone vendono il proprio corpo? Perché le prostitute non vendono il proprio corpo. Non distribuiscono pezzi di sé; fegato, milza, pelle. I clienti non portano via braccia o gambe. Quella della prostituta è una prestazione. Una prestazione sessuale. Lei dà un valore monetario a quella sua prestazione, ma non alla sua sostanza. E non legittima nessuno a comprarla o a possederla. Il possesso è una lettura che il maschilismo vuole dare a questo lavoro, come a tanti lavori che vengono realizzati dalle donne. Come la promoter, l’hostess per es. E potrei raccontare infiniti aneddoti che mi hanno raccontato le amiche che si occupano di estetica.

Seguendo la logica abolizionista molti lavori dovrebbero scomparire. Perché danneggiano l’immagine della donna e sono la causa del maschilismo. In pratica la causa maschilista è la donna che invece di fare la madre e la moglie se ne va in giro a provocare il maschio alfa.(???)

Ero preoccupata della pericolosità del lavoro e degli incontri spiacevoli che una sex work doveva affrontare.

11569_392989867535526_3447016224314601481_nSi narrano molte storie sulla qualità dei clienti. Sulla loro igiene personale, sulle loro perversioni e sul loro essere degli approfittatori malati di sesso. Sono tutti brutti, rognosi e cattivi.

Io non nego che sicuramente ci siano delle persone che non hanno capito cosa fanno le prostitute e che vanno a prostitute, pretendendo da loro qualsiasi prestazione, per soddisfare qualsiasi voglia e desiderio. Questo grazie anche alle abolizioniste, che non fanno altro che trattare queste donne con un misto fra pietismo e buonismo o in maniera inquisitoria istigando una caccia alle streghe.

Ma i clienti che identifichiamo come mostri sono i nostri fratelli, padri, colleghi di lavoro, di università ecc. Sono persone che magari si rivolgono all’amore di una sex worker (Si,proprio così, Amore!) perché non ne ricevono, perché hanno una disabilità, perché non sono pronti o non vogliono una relazione. Ci sono tanti motivi per cui una persona si rivolge ad una sex worker. A volte solo per parlare, per essere ascoltati, per una chiacchierata.

Il lavoro certo è pericoloso, ma è reso tale soprattutto perché a queste donne vengono negati dei diritti. In qualsiasi tipo di lavoro nero c’è mafia e speculazione. Per combattere il malaffare è necessario regolarizzare e questa secondo me, è la sola soluzione.

-pensavo che nessuna se potesse, sceglierebbe questo lavoro perché va a danneggiare la propria dignità.

Non è vero. Le donne sono capaci di intendere e di volere e di scegliere quale occupazione gli appartiene. Anche sul mio lavoro ci sono diverse dicerie. Io mi occupo di persone disabili. Mi occupo di corpi, di spigoli, pelle, rotondità. Di culi e di fighe, di mestruazioni, feci e saliva; di abbracci, baci e a volte di vuoti, di corpi silenziosi ma vivi, perché esistono delle persone autistiche che non parlano ma attraverso il corpo, i gesti e a volte anche l’auto-lesionismo cercano di comunicare, di dire la loro. E’ un lavoro che ho scelto, un lavoro che non cambierei con nessun altro lavoro al mondo. Vorrei tanto gridarlo: il mio lavoro non ha niente a che fare con la mia dignità! La dignità ha a che fare con il rispetto, con l’ascolto. Comunque ne ho parlato qui. (Grazie ad@abbattoimuri che mi ha dedicato uno spazio sul suo blog per raccontare che per me non c’è differenza tra il mio lavoro e quello delle sex-worker.)

Volevo fare questo lavoro perché penso di essere dotata di determinate qualità necessarie per svolgere determinate mansioni. Ma non è una vocazione, come tanti lavoro per necessità, per pagare l’affitto, fare la spesa e levarmi qualche sfizio. Se non avessi fatto questo lavoro avrei fatto altro.

Quindi mi chiedo, quante persone oggi fanno un lavoro che le aggrada? quante fanno un lavoro in regola? quanti diritti ci sono stati negati e quante ore ci vengono strappate dal nostro tempo libero, sempre più scarno? Il lavoro ci prende tanto tempo, ma un essere umano non è il lavoro che svolge. Identificarsi col proprio lavoro è ciò che permette al capitalismo di rubarci anche quel poco tempo che ci rimane per dedicarci ai nostri affetti, a noi stessi. Nel mio lavoro questo disagio ha un nome, lo chiamano burnout.

-pensavo fossero tutte vittime di tratta

Anche questo non è vero. La tratta esiste perché c’è chi sfrutta l’immigrazione, perché questo paese è sempre meno accogliente e perché la mafia, come detto prima, dove non c’è regolamentazione prolifera. Qualunque tipo di sfruttamento è una vergogna. Ma abolire il sex work perché ci sono alcune donne che vengono sfruttate mi sembra ridicolo.

Fra noi comuni mortali sappiamo benissimo che in ogni tipo di lavoro esistono casi di sfruttamento. Ricordo con rabbia la rivolta dei proletari di Rosarno (calabria) di cinque anni fa e mai ho pensato che il problema fosse la tipologia di lavoro, ma viceversa la mancanza di diritti.

Esistono oltre alle vittime di tratta delle donne che scelgono di fare questo mestiere e non vengono né considerate né tutelate. Lo stato paternalista racconta attraverso i media di prostitute picchiate, maltrattate ed uccise. Sono tutte vittime della morale, del mancato ascolto, del sentirsi prevaricate dal ruolo dei salvatori, rispetto a chi non vuole essere salvata, vuole solo pagare le tasse e avere un lavoro regolamentato! Se fosse così, se questi diritti fossero concessi sarebbe anche più facile far emergere la tratta in superficie, stringere il cerchio su chi sfrutta. Andare incontro al lavoro estenuante dei servizi sociali e delle forze dell’ordine che invece di punire chi viene sfruttato possono lavorare meglio e liberarsi dal ruolo autoritario, punitivo in cui sono costretti.
Anche se a dirla tutta io sono anarchica ed auspico un mondo dove non siano necessarie le forze dell’ordine.

-Mi avevano detto che se fai la prostituta non ti innamori più.

Poi ho testato con mano che non è vero. E l’ho capito dal momento in cui ho seguito il mio cuore, quello che desideravo. E ho messo in discussione tutto ciò che mi era stato insegnato, imposto. Ed è quando mi sono emancipata, quando ho chiuso relazioni che non andavano più, quando ho cambiato diversi mondi e abbracciato diversi corpi che ho capito che solo io potevo dire cosa mi faceva stare bene. E mi hanno chiamata puttana. Puttane sono tutte quelle donne che nella vita dichiarano senza vergogna ciò che le fa stare bene. Non è una questione di numeri, di contatto con la pelle di altri, tanti. Nessuno attraverso il contatto può colonizzare il tuo corpo, farlo suo. Il corpo appartiene sempre a te stessa.

Pensavo molte cose, ignoravo parecchie sfumature sulla questione. Ne ho elencato alcune, non per dire che è la verità assoluta quello che sostengo e rinnego ciò che pensavo prima. Ma solo per lanciare un invito alla discussione. Per dire che possiamo scavalcare le barricate e abbandonare la rigidità delle idee. Perché la rigidità è morte, è fascismo.

Leggi anche:

 

1 pensiero su “Perchè non sono e non sarò mai più un’abolizionista”

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.