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La crisi della rappresentanza e il femminismo strumentale

di Natalina Lodato

Con i beceri e violenti insulti a Laura Boldrini, si è chiusa una delle settimane forse più buie della vita politica in questi ultimi vent’anni. Abbiamo visto di tutto in Parlamento: il ricorso arbitrario alla ghigliottina, che concorre al prolungamento di uno stato d’eccezione permanente; l’approvazione di un decreto che regala 7 mld alle banche segnando definitivamente il passaggio a una repubblica del debito. Poi la bagarre in aula, foto di roghi di libri di giornalisti colpiti da fatwe farsa, per finire, appunto, con la vergogna del video postato con annessi insulti sui social network.

Ci si avvia in sostanza alla degenerazione del dibattito parlamentare – ha scritto Giuliano Santoro- in una «zuffa da trasmissione di Maria De Filippi», alla irruzione nei luoghi della rappresentanza del Reality show. Il tutto, in un insolito effetto a “coda lunga”, si fonde con Internet e i social network, anche nelle modalità terribili che abbiamo visto. Siamo tutte solidali con Laura Boldrini , e non potrebbe essere altrimenti, perché è presa di mira in quanto donna che ricopre un ruolo istituzionale. D’altro canto, si pone in tutta evidenza una questione maschile, che interpella gli uomini chiamandoli ad interrogarsi sul linguaggio, sulla loro propensione più o meno latente alla violenza e su tutti i nodi di cui ormai si discute da tempo.

Questi nodi non possono venire al pettine sui social network e forse, per quanto lapalissiano sia, val la pena di ricordarlo, vista l’atmosfera da reality permanente in cui siamo immersi. Eh sì, perché nei bailamme virtuale, al tempo della contrapposizione tra l’endiadi antiberlusconismo&antirenzismo da un lato, e antigrillismo dall’altra, tutto irrimediabilmente si banalizza. Mi ha colpito in particolare per la sua emblematicità un post su una pagina nata a sostegno della Presidente Boldrini- che per di più attinge a un vasto repertorio fotografico agiografico della stessa- nel quale un utente scrive: “Ma come è possibile dire certe cose di una donna che ha lavorato per le Nazioni Unite?”.

Il sottotesto di questa domanda retorica pare essere che, in qualche modo, quel genere di insulti potrebbe essere più tollerabile per una donna meno “rispettabile”, meno provvista di capitale culturale. Non ci siamo proprio, insomma, ma non è questo il punto su cui intendo soffermarmi. Mi interessa invece portare l’attenzione sul femminismo strumentale veicolato dai media in questi giorni, tanto più sospetto se si considera il silenzio o la sufficienza con cui è stata raccontata la manifestazione del 1 febbraio scorso contro la legge spagnola sull’aborto, che ha portato in piazza le donne di tutta Europa.

A questo proposito Fabio Fazio e Che tempo che Fa costituiscono una specola privilegiata per leggere le tendenze e gli orientamenti generali e, infatti, la compunzione ossequiosa del conduttore dinanzi all’immagine da Mater dolorosa della Presidente durante l’intervista non mi è parsa affatto ingenua, posto che Fazio ingenuo non lo è mai. A colpire, in primo luogo, è l’assenza totale di cultura politica della Presidente Boldrini (“Tra due rigidità, tra due fuochi io ero in mezzo”) che, del resto, è il tratto unificante precipuo dei parvenu della politica in quest’ultimo periodo; ed ancora il feticcio della governabilità e l’insostenibile retorica del fare convogliata dalla foga del nuovismo (“Il Parlamento non può solo parlare, ma decidere e votare”), saldata al culto delle istituzioni e del Presidente della Repubblica in primis.

Il sospetto è che attorno alla figura di Laura Boldrini si stia cristallizzando quello che prima definivo un femminismo strumentale, di comodo, che ovviamente femminismo non è, ma che all’insegna della cortina fumogena del politically correct intende anestetizzare e neutralizzare il dissenso e l’opposizione. Opposizione che non si esaurisce con il M5S, né tantomeno con i Fratelli D’Italia o la Lega, ma che si presenta nel Paese con una geometria ben più variabile e trasversale di quanto il sistema della rappresentanza sia in questo momento in grado di fotografare.

In tale sforzo di addomesticamento mi pare si stia mettendo in campo un dispositivo a salvaguardia della governabilità a tutti i costi, che affianca al piglio paternalistico di Giorgio Napolitano- la cui figura appare incrinata dagli insuccessi del governo Letta e dalla profonda sintonia Renzi-Berlusconi- una sorta di maternage istituzionale che si identifica nella figura della Presidente della Camera. Con una notevole chiaroveggenza Cristina Morini aveva messo in guardia, ragionando sull’elezione a simbolo della Boldrini e le insidie della «cappa» del politically correct, dalla difesa generalista e apolitica delle donne in quanto donne, che «non infastidisce affatto il potere maschile ma viceversa, forse senza volerlo nel migliore dei casi, lo rafforza», è da questo che bisogna ripartire.

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