Antiautoritarismo, Autodeterminazione, Comunicazione, Critica femminista, R-Esistenze, Violenza

L’antiviolenza che legittima nuove forme di patriarcato

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Ancora dal mondo del Rugby. Evidentemente non è una cosa che si sta facendo solo in Italia. I codici di linguaggio sono gli stessi. In Italia hanno lanciato un appello con i toni che seguono:

I veri uomini rispettano le donne e usano le mani per accoglierle e proteggerle“.

Una azienda di cosmetici, assieme a un centro antiviolenza, ha usato un giocatore di rugby come testimonial con slogan del tipo: “Uomo contro donna: fermiamo questo match” e, riferito ai violenti, “siamo dei perdenti” o “non c’è arbitro che intervenga“.

Troviamo ora questa campagna (grazie a Stefania per la segnalazione!) a cura della nazionale croata rugby che non lascia spazio all’immaginazione. I ruoli proposti sono anche qui chiarissimi.

Alcune cose le ho già scritte in un post in cui analizzo le campagne in cui a parlare sono uomini contro la violenza sulle donne.

Sintetizzo: la gara è tra veri uomini e falsi uomini. Un gioco di parti in cui il ruolo della donna è solo quello della vittima bisognosa di protezione invece che di protagonista della propria liberazione. Il vero uomo che “protegge” le donne è una faccenda in cui si divulga un messaggio normativo per gli uomini. Tu, uomo vero, sarai tale se ti comporti da tutore, che è l’unica alternativa dicotomica-positiva al ruolo del carnefice. Dunque o fai l’illustre protettore ovvero sei un mezzo uomo. Che alle donne di cotanta protezione non importi nulla non viene neppure in mente. D’altronde questo genere di messaggi sullo stile paternalista, dove la donna deve essere salvata anche da se stessa e non viene neppure ritenuta in grado di scegliere per se’, è alla radice della legge securitaria che vorrebbe combattere la violenza domestica.

Nel secondo messaggio, come dicevo qui, viene messo in “campo” un tutoraggio eroico in stile epico. Ancora gara virile a chi vince o perde tra gli uomini e tutto ciò sulla pelle delle donne. Sempre più forte è il dubbio che si ricorra a campagne contro la violenza sulle donne per realizzare, inconsapevolmente e in buona fede, backlash gender, ovvero per ricalibrare una identità maschile fatta sui vecchi codici e comportamenti patriarcali. Usare le rivendicazioni delle donne per legittimare paternalismo e nuove forme di patriarcato sociale e istituzionale.

La foto, infine, potete vederla anche voi. Lei è in posa di difesa, seduta, addirittura neanche guarda in faccia l’uomo che vorrebbe picchiarla, come fosse rassegnata a subire ed ecco dunque che entra in campo il giocatore di rugby che agisce laddove lei non è neppure in grado di spostarsi di un metro. Sciocchezze estreme, in definitiva. Si vittimizza la donna, la si presenta come oggetto inattivo, passivo, non in grado di spostarsi di un millimetro e di fermare quella violenza da sola, e si erge su tutti la figura eroica dell’uomo che la salva.

Non trovate anche voi che tutto ciò sia tremendamente offensivo? Che si tratti solo di stereotipi sessisti? Avete presente quale sia l’immaginario che si costruisce attraverso queste forme di comunicazione?

Una vittima di violenza va rappresentata in tutta la sua forza, investendo sul suo percorso di autostima, sulla sicurezza che deriva dalle scelte complicate che ogni giorno compie. Non è sull’autostima del “tutore” che bisogna fare marketing. La rappresentazione della vittima piena di lividi e passiva è solo funzionale a legittimare patriarcato e autoritarismi. Questo messaggio dunque è fondamentalmente anacronistico e dannoso.

Voi che ne pensate?

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15 pensieri su “L’antiviolenza che legittima nuove forme di patriarcato”

  1. I violenti in genere qualche segnale lo danno da subito: sono iperpossessivi,gelosi, tendono a distaccare la donna dalle amicizie e quando arriva il primo schiaffo in genere si è già isolate. La mia domanda allora è: perchè la vittima accetta una tale intrusione nella sua vita e non se ne va prima? E’ possibile che buona parte di questi stereotipi ci vengano appioppati perchè buona parte delle donne ci tiene ad aderirvi?

      1. Semmai porterebbe alla conclusione che la scelta è loro e che magari sarebbe il caso di fare una seria informazione su quella che è la sintomatologia del violento al di là delle botte. Alla base c’è tutta una cultura fatta di donne che dicono che vogliono “sentirsi protette” dal loro uomo, e di uomini che trovano normale considerare la donna come una proprietà , che è in pratica una delega della propria integrità che in buona parte si può sovrapporre alla cavalleria e alla mitologia del rapporto passionale.

  2. L’articolo è interessantissimo e scritto molto bene, onesto e chiaro. Sarebbe interessante però approfondire due aspetti molto importanti per staccarci definitivamente dall’idea della donna vittima e indifesa. Due aspetti che vengono solo accennati (e mi pare già tanto visto che la maggior parte degli articoli che ho letto non solo non affrontano questi aspetti, ma criticano la propaganda moralistica antiviolenza con argomentazioni ancora più aberranti della propaganda che contestano).
    Questi argomenti sono
    1- La scelta della donna di stare nel ruolo si vittima. Non voglio parlare del caso in cui per vittima intendiamo la “semplice” rinuncia all’autodeterminazione, non perchè l’analisi sia completamente diversa, ma prevede delle ulteriori considerazioni. Ma quando parliamo della scelta di rimanere in una situazione in cui si subisce violenza non possiamo prescindere dal considerare la vittima e il carnefice come due pedine di questo gioco al massacro, non possiamo prescindere dal considerare che entrambi sono il risultato di anni vissuti nell’abbandono e nell’indiffirenze,quando non nelle botte. Ed ovviamente parlo degli anni dell’infanzia. E di questo aspetto nessuno ne parla e nessuno se ne cura, perchè a quel punto avremmo due vittime e nessun carnefice, e allora come si fa?
    2- Il ruolo costruito dell’uomo, esattamente come quello della donna: Nessuno parla delle rinunce che l’uomo è “costretto” a fare per aderire al ruolo che gli viene appioppato (il carnefice o il salvatore). Nessuno ne parla perchè nessuno se ne rende conto, in primis gli uomini (tranne qualche raro illunimato che spera di avere con le donne solo un bel rapporto paritatio). Si parla solo delle rinunce della donna, e dei benefici dell’uomo. Quando è evidente che in questa pantomima dei ruoli entrambi sono costretti a pagare un prezzo altissimo: quello di poter essere se stessi. Pagano un prezzo altissimo per aderire a dei ruoli che essi stessi si sono costruiti, e dai cui entrambi traggono dei vantaggi, per quanto questi siano solo apparenti. A mio avviso le contraddizioni per le donne sono solo più evidenti, forse è per questo che abbiamo avuto una autocoscienza femminile, e non ancora una maschile. E non ancora un’autocoscienza dell’individuo.punto.

  3. La radicata mentalità patriarcale è dura da sconfiggere per gli interessi che continuano ad interessare ampie fasce della società da millenni impostata in questo modo. La crisi d’identità maschile e a volte i sensi di colpa nel non riuscire ad avere un ruolo maschile positivo, portano ad un non affrontare queste tematiche da parte degli uomini.

  4. Solo un appunto: “nuove” forme di patriarcato? Non sono solo vecchissimi modelli che vengono riproposti ancora e ancora?
    E la cosa bella è che a quasi nessuno questa cosa puzza di vecchiume, di già sentito 😦

    1. :DDD
      ehhh storia lunga. vedi? non è che è semplice riconoscere il patriarcato quando si traveste da femminismo. perché è quello che sta succedendo. patriarchi e paternalisti che si rifanno l’ego sulla pelle delle donne.

  5. Non vorrei fare un paragone troppo azzardato, ma l’impostazione delle campagne di cui parli, mi ricorda alcuni “codici” delle gang o della criminalità organizzata, dove l’uomo con “l’onore” è quello che difende “la sua donna” da chi osa toccarla o anche solo guardarla, (giù coltellate). In queste realtà la donna viene vista come una proprietà; preziosissima, ma pur sempre proprietà in esclusiva al suo uomo, col rischio di ritorsioni nel caso rivendicasse una sua “autonomia”. E qui mi vengono in mente le manganellate di cui parlavi, alle cagne sciolte a roma. (di cui non condivido molto del loro pensiero, ma questo è un altro discorso).

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