Antiautoritarismo, Comunicazione, R-Esistenze

#Gaza: parlarne, non parlarne, e nel frattempo la Palestina muore!

[Nel video la regista Israeliana Naomi Levari che parla ai palestinesi. In basso la traduzione in italiano]

Giorni e giorni, status, post, commenti, dedicati all’opportunità, o meno, di discutere di quello che sta succedendo a Gaza. E’ meglio parlarne o non parlarne? E giù i motivi per cui sarebbe meglio che no piuttosto che si, e nel frattempo lì stanno crepando bambini, donne, uomini, persone, e mancano i medicinali, e hanno invaso gli ultimi metri di terra che gli israeliani non avevano ancora rubato con le ruspe, a demolire case, ad appropriarsi, metro dopo metro, della terra, a togliere luce e sole e acqua ai terreni che stanno al confine di quel grande muro che bisognerebbe abbattere.

Cattiva Hamas, cattivo il governo di Israele, ma chissenefotte. C’è una totale disparità d’uso di mezzi e armi e lì è in atto l’esproprio totale della sovranità territoriale di un popolo e noi siamo qui a rigirarci i pollici e a battere sulla tastiera considerazioni su quanto sia opportuno o meno parlarne o non parlarne? Con tutto il rispetto e anche l’affetto verso chi non la pensa come me ma qui il punto è che tutte quante, parlando di femministe, sono brave a mobilitarsi, giustamente, per il blocco della proposta di legge sul doppio cognome ma di mobilitazione, indignazione, su quello che succede in Palestina io ne vedo poca.

Diciamo pure che è un tema che divide, non le coscienze, ma proprio le persone perché si posizionano in modo diverso, perché politicamente vivono questa cosa in maniera differente, perché hanno diverse priorità o perché hanno una diversa concezione di quello che succede da quelle parti. Io ascolto tutti. Ascolto chi mi dice che Hamas è merda, chi dice che lo è il governo di Israele, chi mi racconta della paura degli israeliani, chi dice che in Palestina la gente non dorme quasi mai. Guardo le immagini, e non mi lascio, giuro, trascinare dall’onda emotiva perché, spero che me ne darete atto, io, ma penso anche altr*, restiamo lucid* mentre diamo una valutazione politica precisa di quello che succede.

Si, è a distanza. Si, non siamo lì. Si, forse di medioriente non sappiamo un cazzo. Si, non abbiamo il pedigree. Però usciamo per andare in piazza a raccontare al mondo che i palestinesi non sono soli. Vorremmo fare di più ma cosa possiamo fare di più, noi militanti, noi precari, noi che non contiamo un cazzo, se non, almeno, compiere l’azione di provare ad amplificare la voce di chi lì sta morendo? Se non ci si assume la responsabilità politica di fare almeno questo, così come si fa quando si parla di altri disagi e altre discriminazioni, di altre guerre e altre uccisioni, allora cosa facciamo?

Mi chiedo perché mai non ci sono in prima fila inviate speciali che restano nei luoghi di guerra per raccontarci e poi scrivere libri e poi candidarsi alle elezioni. La guerra in Palestina non è altrettanto interessante? Non sarà l’Iraq, o altri bei posti in cui nelle caverne si cercava il fantasma di Bin Laden, ma c’è gente che muore e allora, lasciatemelo dire, penso che le intellettualizzazioni sul “che facciamo, dove andiamo” ora servano a poco e appaiano anche un tantino snob.

Non volete parlarne sui blog o sui quotidiani o sui vostri status facebook? Allora fate altro. Non so. fate qualcosa. Voi che contate di più. Voi che avete più spazio e ascolto e più risorse. Sarebbe il caso, credo. Sarebbe una buona cosa.

E sennò restiamo qui a bearci dei nostri bei ragionamenti, immobili, ammutoliti, scegliendo il silenzio invece che provare a migliorare le nostre strategie per misurare i conflitti, anche quelli politici. Scegliamo di contare i morti, uno, due, tre, quattro. Toh, laggiù un bambino crepa, però non è proprio il caso di parlarne. Proprio no.

Che dire, io mi sento impotente, ‘sto post può essere terapeutico e catartico per me,  ma spero che non pensiate che sia il motivo per cui l’ho scritto, perché l’incazzatura ce l’ho adesso mentre scrivo e mi resterà anche dopo. Sarò incazzata, lo saremo in tant*, mentre le bombe frantumano le vite di bambini e i carri armati faranno a pezzi il respiro di chi da anni prova a resistere. Non servirà proprio a niente, questa mia incazzatura, ma se da queste parti esiste un compagno, una compagna, qualcuno che ha più contatti di quelli che ho io, vi prego: uniamo la rabbia, che non sia occasione per botte di antisemitismo perché io non ho niente contro quella popolazione, ma diciamolo forte, tutti quanti, anche se non ci ascolteranno, che quello che lì si sta compiendo è un crimine e i crimini vanno pronunciati.

Se questa cosa non la sappiamo noi che ci occupiamo anche di violenza sulle donne allora chi altri può dirla?

Dal video, tramite il Bergamo Post, ecco la traduzione dell’intervento di Naomi Levari:

Cara gente di Gaza,
Qualsiasi cosa stia per dire sembrerà priva di senso di fronte a ciò che state attraversando. Però al momento è l’unico strumento che ho – le mie parole. Mi chiamo Naomi Levari e vivo in Israele. Mi vergogno e vi chiedo perdono. Mi preoccupo per voi, piango per voi e soffro per le vostre perdite.
Questi sono giorni bui e so che questo non può consolarvi in alcun modo. Ma qualcuno di noi sta facendo tutto quello che può – che non è molto – per mettere fine a tutto questo: dimostrazioni, momenti pubblici, e nei nostri cuori stiamo chiedendo che le nostre preghiere siano ascoltate nel cielo al di sopra delle nostre anime. A voi non è più rimasta alcuna parola.
E io spero che tutto questo cambi presto. Mi appello ai governanti di Israele perché si comportino come persone responsabili, come leader, e che pongano immediatamente fine a questo spargimento di sangue. Ricordo al popolo di Israele che questo non è un videogame, che non ci sono vincitori e vinti, punteggi e classifiche: ci sono solo sconfitti. La gente continua a essere uccisa, le case ad essere distrutte, i sogni ad essere seppelliti. La società israeliana sta perdendo la sua tolleranza e sta diventando una banda di delinquenti.
L’unica cosa che possiamo fare è – ancora una volta – chiedervi perdono e usare tutti gli strumenti che abbiamo per fermare tutto questo. State al sicuro.

 

—>>>Vi segnalo un bell’articolo di Chantal Meloni pubblicato oggi su Il Fatto Quotidiano

 

Leggi anche:

#Gaza: femministe silenti e marketing militare israeliano

#Gaza: Le sfumature di rabbia di Rafeef Ziadah

Il comunicato di Queers for Palestine

Il comunicato di Bella Queer

Il comunicato delle Cagne Sciolte

#Gaza: la guerra è mancanza!

Slides sul Pinkwashing

Critica della Vittima di Daniele Giglioli

Intervista a Judith Butler su Ebraicità e critica del sionismo – da Lavoro Culturale

7 pensieri su “#Gaza: parlarne, non parlarne, e nel frattempo la Palestina muore!”

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.