MumbleMumble, c’è chi va in cerca di altre pornomostruosità per pornoindignazione. Vedete come scema il traffico e come diventa fiacca la discussione se non c’è una rissa? Il flame serve. Dura un attimo, poi si passa al successivo, ma proprio per questo vende bene. Li vedi tutti in cerca del dettaglio demonizzabile, del soggetto da mostrificare, per ottenere più audience. Quanto noi utenti e utentesse agiamo al di fuori di questo meccanismo? Quanto lo cavalchiamo per ottenere consenso? Quanto serve la polarizzazione, forzata, pro o contro una persona, o di qua o di là, per meglio acchiappare tifoserie? E perché mai funziona meno fare ragionamenti critici articolati, analisi di buon senso e senza integralismi di sorta? Le opinioni che girano in rete, i post, la comunicazione prodotta è anche il risultato di quello che la gente vuole e fa.
Se gli umori della gente sono orientati alla rissa allora i media, le tv, la politica, regalano la rissa. Se la gente smette di godere nel fare da tifoseria, nell’alimentare, foraggiare, certi meccanismi della comunicazione, allora, forse, la comunicazione cambia strategia. La comunicazione politica, quella sul web, è un prodotto ed è suscettibile delle stesse regole del mercato di ogni altro prodotto in vendita. Se boicotti il prodotto, se smetti di considerarlo desiderabile, di propagarlo, veicolarlo, allora la ditta che vende cambierà il prodotto o riaggiornerà il marketing. Se invece immagini di esprimere cose diverse pur veicolando lo stesso, identico, metro di comunicazione, non hai risolto niente. Se, per esempio, l’antisessismo o presunto tale, si muove alla stessa maniera di forme di sessismo e in entrambi i casi sullo sfondo vedi la voglia di linciaggio, le gogne, l’atteggiamento forcaiolo, che a seconda delle persone nominate si esprime in modo diverso, dove sta l’innovazione? Dove lo scardinamento? Dove il ribaltamento dello schema?
QUI alcuni esempi di comunicazione antiviolenza, per esempio, per comprendere come si muove il consenso a seconda dei metri narrativi. Si può fare la stessa cosa anche con le vicende di questi giorni. I contenuti che hanno ottenuto più consenso in rete sono quelli schierati in maniera quasi fideistica. O di qua o di là. E la gente si fa pubblico ridotto a tifoseria e se non stai né di qua né di là ti insulta, insiste, ti obbliga a prendere una posizione che è la loro. Devi scegliere tra due opzioni possibili. L’orientamento di chi sta in rete, per esempio, è quello.
Perciò: davvero chi scrive lo fa sempre perché pensa quel che scrive o lo fa, a volte, per ottenere consenso catturandolo nelle direzioni che più sono influenti? Resistere a quella influenza e insistere con un pensiero proprio e indipendente quanto paga e quanto invece diventa l’alibi per linciaggi e squadrismi organizzati allo scopo di normare e collocarti in zone semplificate e immediatamente comprensibili? E tra i sentimenti forcaioli di chi vuole mettere al cappio una donna e quelli di chi vuole mettere al cappio l’insultante, c’è una differenza? O sono entrambi i metodi il frutto della stessa pulsione forcaiola protesa, ciascuna, nelle direzione che sente più congeniale? Chi usa la forca come metro retorico e simbolico a favore delle donne è diverso e migliore di chi la usa dall’altro lato? Non nutre forse lo stesso immaginario? Per sconfiggere quella cultura, non bisognerebbe forse prima agire il proprio linguaggio e la propria comunicazione?
Così, due pensieri sparsi.
—>>>La discussione, molto interessante, sta continuando QUI
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Riporto (per prendere appunti) il commento di Beatrice che scrive:
“Temo che il problema stia nella capacità di ragionamento critico (e articolato), che pare abitudine alquanto desueta (ciò va di pari passo anche con una mancata comprensione del testo: è molto più semplice capire un’opinione ‘bianca o nera’ che un ragionamento articolato). Per rispondere alla seconda riflessione del tuo post, credo che ci siano due aspetti del problema (almeno per quanto riguarda il dibattito politico), che generano un effetto uroburos: da una parte l’incapacità (e la mancanza di volontà; la comprensione critica se non si ottiene, certo si migliora molto con la disponibilità all’esercizio) della maggioranza dei cittadini di comprendere posizioni articolate e argomentative per cui imbonitori e urlatori hanno gioco facile nell’attrarre consensi, dall’altra l’esigenza da parte di chi fa politica di essere comprensibile in modo se non immediato, almeno chiaro e di non essere autoreferenziale (milito in un partito che, fra le altre pecche, soffre proprio quella di non riuscire ad uscire da questo dualismo e quindi peccare molto di incomprensibilità). Il problema ha, secondo me, radici ben più lontane che gli anni recenti (una certa dialettica bianco/nero fa parte di tutta la storia italiana dal dopoguerra), ma il progressivo impoverimento culturale (nel senso più ampio del termine) e la perdita rovinosa di quella che era ‘la cultura di sinistra’ hanno acuito la situazione. A questo va sommato che lo sviluppo repentino dei nuovi media (e dei social network in particolare) ha trasformato (con aspetti sia positivi che negativi) i tempi della comunicazione e dell’informazione (e ancora probabilmente non siamo molto avvezzi o non tutti allo stesso livello, all’uso e all’abuso di questi strumenti).
Ha senso parlare di queste cose? Certamente, anche perché da qualche parte bisogna pure cominciare a cambiarle, no?”
Claudia:
“L’ annullamento del confronto, della capacità dialettica, dell’autocritica e dell’auto ascolto prima dell’ ascolto dell’altro, ci sono voluti anni ma ormai è completa, la politica è come una partita di calcio. io ho notato la velocità con la quale si bruciano le notizie, ci si incazza, ci si augura la morte e poi due giorni dopo, è la volta di un altro post, di un’altra notizia per porno indignarsi. Si dimentica la notizia ma non l’odio indotto che l’ha generato. Prima ci si scannava sul piano dialettico e se non intervenivano attacchi personali ci si rispettava e dopo una volta approvata una mozione, si dimenticava pure che la discussione era stata violenta. La ragione di risentimento è sempre l’attacco sul piano personale. Ora esiste solo quello. social network agiscono da piazza per pubbliche esecuzioni, calmano la conflittualità sociale riducendosi a canalizzatori di odio contro qualcuno o qualcosa. C’è veramente troppo risentimento per futili motivi. Quando mi assento dalla rete per disintossicarmi dormo meglio. Solo che rimango tagliata fuori, mi perdo persino gli inviti a cena.”
Io:
“il pubblico chiede anche la polarizzazione contro o pro una persona. gode nel vedere gogne. altrimenti come parteciperebbero se non con un dagli all’untore? E Beatrice: l’aspetto che metti a fuoco tu è fondamentale. da un lato, è vero, l’impoverimento culturale ma dall’altro lato i partiti non riescono a ribaltare la situazione e semplificando il linguaggio finiscono per cavalcare semplicemente l’onda. ci provano anche quelli che chiacchierano in maniera autoreferenziale ma non ci riescono. il fatto è che spesso chi parla in senso autoreferenziale in realtà recita un codice di comunicazione vecchio, quello delle assemblee, di altri luoghi di incontro in cui ci si capisce tutti perché si parla lo stesso linguaggio. non aver analizzato questo limite, l’incapacità di parlare uscendo fuori dalle proprie nicchie, secondo me porta all’eccesso opposto. Si immagina che la buona comunicazione sia quella evocativa, che intercetta pulsioni della gente e le nomina senza comunque essere in grado di capovolgerne il significato. Non c’è subvertising, che sarebbe molto utile di questi tempi. invece.”
Risponde Beatrice:
“Questo però porta a un altro problema specifico (parlo per generalizzazioni e quindi in modo necessariamente approssimativo): che bisognerebbe avere una classe dirigente all’altezza di 1. comprendere questo tipico di dinamiche relazionali e di comunicazione; 2. capace di elaborare o almeno padroneggiare strategia per uscire dalle dinamiche di cui sopra; 3. avere il coraggio di contenuti forti, precisi e concreti (con gli slogan e le narrazioni astratte si va poco lontano). Ora per me questo non è questione generazionale (nessuna generazione è meglio di un’altra a priori), ma di capacità di analisi, comprensione, azione politica e in ultima istanza di cultura. Peccato che (e ancora parlo per generalizzazioni) queste qualità siano abbastanza rare (anche perché continuamente devalorizzate) e quando ci sono vengono comunque percepite come un pericolo e non come una risorsa e dunque emarginate.
“