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Sessismo, insulti e l’incapacità di accettare il pensiero autonomo

Gli insulti sessisti e moralisti sono di vari tipi. Ve ne definisco due. La prima tipologia è quella che è più semplice individuare. Fa riferimento alle tue qualità fisiche. Sei donna perciò non puoi essere altro che un oggetto. Al tuo passaggio quel che hanno da dire è un volgare apprezzamento, che tu sia di destra, di sinistra, pdl, pd, m5s, grillin@, infine qualcuno ti darà sempre della bagascia, troia, puttana. C’è chi farà riferimento, spesso, al tuo corpo, la tua fisicità, perché se sei bella, vivi, cammini, respiri, pensi, non puoi che essere arrivata dove stai solo perché l’hai data a qualcuno. E il giudizio sul darla è moralista perché separa la svendita di se’ in due parti precise: è più grave se dai via le idee o la figa? Il dilemma è sempre uguale. Lo stesso insulto riferito agli uomini al massimo è a sfondo omofobico, con terrore anale incluso. Puoi aver dato via il culo, mai le idee. L’insulto sessista è anche quello che risponde male all’accusa d’essere potenziali stupratori, perché le donne non puoi classificarle secondo un indice di stuprabilità. Che si possa essere grate, riconoscenti, per essere stuprate è una fantasia offensiva. Uno stereotipo sessista che viene veicolato senza coscienza perché introiettato o per convinzione. Un luogo comune. Un errore.

Questo tipo di insulti non sono slegati da altri, ancora a sfondo sessista e moralista, che spesso vengono proferiti da chi si dichiara antisessista e dallapartedelledonne. Vergognati, tu non sei degna di definirti donna. Non puoi reputarti seria con un nickname come FikaSicula. La mia tetta è anche più bella della tua ma io non sono come te. Zoccola. Svenduta. Serva. Nel senso di servire ad altri per fare quel che fai. Dunque un “serva” non è diverso da pompinara. E’ esattamente la stessa cosa. Sempre di servizio reso in cambio di qualcosa si tratta. Per non parlare poi di squallida, bagascia, la dai ai maschilisti per fare carriera, e dillo che ti riserveranno un posto all’Ars, mi fai vergognare d’essere donna. Dovrebbero stuprarti per capire il dolore. Dovrebbero stuprare tua figlia, se ce l’hai, così capisci. Ti auguro di essere vittima di un uomo violento e di sopravvivere con tante cicatrici, così poi vediamo se la pensi allo stesso modo. Sei una misera che lecca cazzi per ottenere visibilità. Appena ti vedo ti sputo addosso. Scommetto che a te piace essere stuprata, non è vero? ma il fatto che piaccia a te non vuol dire che deve piacere a tutte. Sei una iena e meriti tutto il peggio che ti possa capitare.

E tutto ciò mentre c’è chi istiga e, distorcendo, mistificando, realizzando gogne (a fin di bene, con la pretesa d’essere migliori rispetto ad altri) o raccontando balle, costruisce attorno a me l’identità di un personaggio negativo, nemico delle donne, dunque meritevole di uno stigma che certo poi diventa giustificazione per insulti e ipotesi di violenza, verbale ma non solo, lapidazioni, demonizzazioni, roghi, che scadono sempre sul personale. Non ve ne dico altri ma sono veramente troppi gli insulti ricevuti in privato e in pubblico, e troppi, spesso, arrivano da donne e non da uomini. Arrivano da chi immagina che gli insulti dedicati a me siano “critiche” e invece quelli contro altre, di pensiero affine, siano insulti. Arrivano da chi, in fondo, con quelli che danno della pompinara ad altre condividono lo stesso scarso rispetto per l’autonomia personale.

Le persone sono tante e diverse, non la pensano allo stesso modo, ed è l’assoluta incapacità di rispettare l’autonomia dell’altra, è la spinta a ricacciarla dentro un branco di motivi e semplificazioni comprensibili ai più, la ragione di tante offese.

In ogni caso, che gli insulti arrivino da un uomo o da una donna, quel che li accomuna è il fatto che sei un oggetto e dunque riconducibile alla sfera di appartenenza a seconda delle necessità del branco. Non si riconoscerà mai che tu sei soggetto, donna autodeterminata e dunque eventualmente stronza, responsabile delle tue decisioni e per le tue idee, indipendente e autonoma senza che ci sia bisogno di verificare se e quanto tu sia stata contaminata da cazzi e mazzi e  ramurazzi altrui.

Da cosa si dimostra la purezza di un pensiero? E questa cosa, per esempio, deriva anche da un certo modo di intendere il femminismo, con quella brutta parentesi che io chiamo donnismo. Noi siamo donne? Dunque identiche? Dunque unite dal medesimo sentire? Perciò se tu dici cose non omologate che non corrispondono alla logica di branco si dirà che non sei una donna (e c’è un insulto transfobico strisciante che sottende a questa accusa, come se l’essere donna fosse indice di meravigliosità nel mondo e come se non fosse una qualifica acquisibile neppure se ti sottoponi ad operazioni di alcun genere). Dunque o non sei donna, e sei perciò uoma, con tutti gli stereotipi di genere che questa accusa si porta dietro, ché l’uomo sarebbe identificabile nella mostruosità, se pensi male è perchè sei come lui, se dici una cosa che io, avente utero, non condivido non puoi che essere maschio, oppure sei una pompinara, svenduta, serva di qualcuno. Di nuovo uomini. Che un servizio possa eventualmente essere reso ad altre donne non viene neppure in mente.

Parlare donna, pensare donna, agire da donna. Sessisti e sedicenti antisessisti sono lì a normare i miei comportamenti ed entrambi, fosse per me, dovrebbero stare in quarantena metaforica, insieme, a raccontarsi balle l’un l’altr@, perché sono esattamente speculari, si servono a vicenda, gli uni servono alla sopravvivenza delle altre e viceversa.

Di vittimismo si nutre il sessismo pronunciato dagli e dalle antisessiste e lo stesso dicasi dall’altro lato.

Chiedo: è proprio così difficile pensare che una donna valga, conti, si realizzi, a prescindere dai miserrimi piani che ciascuno può avere per lei? E lo chiedo in generale. Una donna dal pensiero indipendente, che non si presta a compiacere matriarche e paternalisti, sessisti e presunti antisessisti, è davvero una “serva” o riceve piuttosto una spinta feroce affinché si ponga a servizio di qualcun@ in particolare?

Chi dice che io non sia libera, ad esempio, e che l’essere libera e liberata corrisponda al parametro colonialista di chi mi dice “sii libera di pensarla come me!“? Perciò quanto e come, in realtà, infastidisce in generale una donna autonoma, autodeterminata, indipendente?

Io non sto facendo certo la distinzione tra umani puri e impuri, nel senso che semmai esiste chi “serve” per denaro o opportunismo non merita uno stigma, secondo me. La prostituzione è un lavoro e come tale andrebbe inteso. Che c’è chi si autoattribuisca patentini di superiorità morale e dia a bere il fatto che non agisce MAI per una propria finalità per me risulta spesso poco credibile, e lo dico senza moralismo. Questo vale per tutti. Ma proprio perché la penso così, francamente, se io avessi venduto qualcosa lo direi senza problemi.

Dunque, per esempio, adesso, io faccio un po’ come mi pare. Nessuno mi obbliga a scrivere quello che scrivo se non una certa dose irrinunciabile di onestà intellettuale. Non faccio sconti a nessuno. Di allisciatine gratis non ce n’è per nessuno. Scrivo quello che mi piace e in cui credo.

Vi serve la mia penna per farmi dire quello che vorreste? Allora pagatemi e rendete pubblico, per onestà, il fatto che sono al vostro servizio. Grazie.

Ps: rispetto agli insulti ricevuti, in questo clima da crociate sante, o voi indignati/e che siete così facili alle querele e a inguaiare la vita della gente tra spese legali e auspici di galera, che mi suggerite di fare? Perché io distinguo quanto mi viene detto virtualmente rispetto a quello che può accadere fisicamente. Se l’equazione è: insulti=potenzialiviolente, dovrei davvero preoccuparmi o è bene, più semplicemente, che io continui a ragionare lucidamente come ho sempre fatto? 🙂

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