Autodeterminazione, Comunicazione, Critica femminista, R-Esistenze

Femminismo Islamico: introduzione di Zahra Ali

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Quella che segue è la traduzione dell’introduzione della curatrice Zahra Ali a Féminismes islamiques, pubblicato nel 2012 dalla casa editrice francese La Fabrique . Si tratta di una raccolta di testi di figure di riferimento del femminismo islamico tradotti dall’arabo o dall’inglese per la prima volta in francese. A questo indirizzo è possibile leggere l’introduzione originale in francese, provvista del denso apparato di note perlopiù bibliografiche che qui non è stato integrato per non appesantire il testo. I termini seguiti da un asterisco sono spiegati nel lessico posto alla fine del testo. (Si ringrazia Elisabetta per la traduzione e Berta per la correzione) 

Introduzione

Zahra Ali è impegnata da diversi anni nei movimenti musulmani, femministi e antirazzisti. 

É dottoranda in sociologia all’EHESS (École des Hautes Études en Sciences Sociales) e all’IFPO (Institut Français du Proche Orient). Specializzata in studi di genere, in particolare nelle questioni “Genere e Islam” e “Genere e Medio-Oriente”, le sue ricerche si concentrano sull’emergere di una dinamica femminista musulmana in Occidente e nel mondo musulmano, e sui movimenti di donne nel mondo arabo, soprattutto in Iraq.

Nell’ambito della sua tesi specialistica in sociologia all’EHESS, diretta da Nilüfer Göle, si è interessata all’emergere di una coscienza femminista musulmana in Francia. La sua tesi di ricerca attuale riguarda il movimento delle donne in Iraq dopo il 2003, la storia delle donne iraqene e più in generale le questioni legate a genere, nazione e religione nell’Iraq contemporaneo. 

L’associazione dei termini femminismo e islam si presenta solo alla forma interrogativa: “Esiste questa associazione?”, “É possibile?”. Verosimilmente però, bisognerebbe cominciare ogni interrogativo che associ i termini “donna”, “femminismo” e “islam” con la decostruzione della sua evidenza.

Affrontare il tema della “donna nell’Islam”, interrogarsi oggi sullo “statuto” delle donne musulmane e sul possibile adeguamento tra l’islam e la parità dei sessi è il frutto di un’elaborazione storica.

Non ci poniamo con la stessa frequenza domande sulle “donne nel giudaismo” e non vediamo trattata a destra e a manca la “questione della donna nel cristianesimo”. E ciò di certo non concerne la natura dei testi sacri ebrei e cristiani, ancora meno le condizioni di vita delle donne cristiane e ebree che variano in maniera considerabile, a  seconda che esse vivano a Nord o a Sud.

A questo punto salta agli occhi come solo i musulmani siano designati a partire dalla loro religione e come all’islam ascriviamo un’influenza fondamentale sulle loro condizioni di vita.

Più in generale, attraverso il vocabolo “mondo musulmano”, designiamo un’insieme di paesi di lingue e culture molto differenti e che occupano diversi continenti. Parlare di “mondo musulmano” e di “donna e Islam” sembra rispondere ad un’evidenza ed avere una risonanza degna dei preconcetti e pregiudizi sull’islam e i musulmani.

In barba alla diversità ed alla complessità sociologiche delle società a maggioranza musulmana, ma anche ai fattori socio-economici e storici, molti considerano che l’islam sarebbe la causa fondamentale del “sottosviluppo”, de “l’arcaismo” e del “ritardo” del “mondo musulmano”.

Prova più evidente ne sarebbe lo “statuto” ineguale della donna musulmana (ovviamente al singolare, perché le musulmane si assomigliano tutte), presunto testimone dell’oscurantismo regnante in queste società.

Il presente lavoro è in rottura con l’orientalismo e il razzismo che caratterizzano al giorno d’oggi i dibattiti e le controversie sulle donne e l’islam. Si tratta qui di farla finita con gli approcci basati sull’opposizione binaria e di mostrare al contempo la complessità del soggetto, passando per la sua decostruzione e affermando l’importanza di un fondamentale posizionamento di partenza: la necessità di decolonizzare e deessenzializzare tutte le letture del femminismo e dell’islam. Così facendo, l’idea non è quella di rispondere agli interrogativi imposti dal femminismo dominante, quanto piuttosto di entrare nell’universo delle femministe musulmane e vedere in che modo esse stesse pongono la questione dell’uguaglianza, secondo proprie modalità, termini e problematiche.

Allo stesso modo, non si tratta di dire come il pensiero islamico e le/i musulmani/e si posizionino su delle questioni che (im)pone la doxa femminista, ma piuttosto di mostrare come si pensano, si articolano e si sviluppano una riflessione e un impegno attorno alla questione della parità dei sessi in un quadro religioso musulmano e nei contesti in cui l’islam è un punto di riferimento.

Questo libro, primo nel suo genere in Francia, che raccoglie articoli ed interviste di intellettuali, ricercatrici e militanti impegnate nella difesa dei diritti delle donne nell’ambito della religione musulmana, vuole essere un’affermazione: sì, un femminismo islamico esiste e non è una novità recente!

I testi che seguono, come le loro autrici, tradotte quasi tutte per la prima volta in francese, hanno posto le fondamenta della corrente di pensiero e di azione femminista musulmana. In questo senso, questo libro può essere considerato come un’introduzione al femminismo islamico-musulmano, così come un supporto di riflessione e d’analisi, che propone un’apertura verso nuove prospettive riguardo alla maniera di concepire il legame tra donne, femminismo e islam.

Mentre in lingua inglese esiste una bibliografia relativamente importante, in francese la produzione è ancora molto scarsa e il campo accademico resta altrettanto poco disposto ad una riflessione aperta sul soggetto rappresentato dal mondo femminista, le cui relative nozioni spesso non vanno al di là di quelle di senso comune.

Il femminismo islamico è controverso. Da una parte è contestato da coloro tra le femministe che considerano la religione, in particolar modo l’islam, come antinomica all’emancipazione delle donne. Tutte le religioni sarebbero patriarcali, la religione musulmana sopra ogni altra, e la lotta per la parità dei sessi passerebbe necessariamente per una messa a distanza della dimensione religiosa.

Dall’altra un certo numero di musulmani/e considerano che si tratti di un’occidentalizzazione dell’islam e concepiscono il pensiero musulmano come un quadro completo, ostile ad ogni dinamica di rinnovamento e rilettura. Il femminismo musulmano si scontra quindi ad un medesimo essenzialismo: quello che definisce l’islam come una realtà statica, fondamentalmente dogmatica, intrinsecamente sessista, e il femminismo come modello unico, avatar di una modernità occidentale normativa.

Questo lavoro si propone di andare a fondo delle suddette questioni proponendo delle letture alternative alla doxa femminista, che rifiuta ogni possibilità d’articolazione della lotta per la parità dei sessi alla lotta per la difesa della religione musulmana; e al conservatorismo musulmano, che funge da ostacolo per una concezione dinamica e rinnovata del pensiero musulmano, così come alla riappropriazione del sapere e dell’autorità religiosa da parte delle donne. Le ricercatrici militanti cui abbiamo dato la parola hanno tutte in comune la difesa dell’islam e del fatto che anche il loro impegno per i diritti delle donne sia islamico. Esse considerano che l’uguaglianza sia uno dei fondamenti della religione musulmana e che il messaggio della Rivelazione coranica sia garante dei diritti delle donne. É così a partire da e per l’islam che concepiscono il loro impegno femminista e, per mezzo di questo posizionamento, ridefiniscono, reinventano e si riappropriano del femminismo, cominciando con il decolonizzarlo e con il considerarlo come un’universale.

Questo libro si situa all’incrocio tra la tradizione femminista critica, portata avanti soprattutto dal femminismo anticoloniale e dal Black feminism, e il pensiero riformista musulmano contemporaneo. Questo libro si indirizza ad un pubblico allargato e non è destinato solo ai ricercatori/ alle ricercatrici. Questo libro si vuole uno strumento di riflessione per tutti coloro, musulmane/i e non musulmane/i, che desiderino elaborare una riflessione e delle analisi in rottura con l’etnocentrismo, l’essenzialismo e il conservatorismo che caratterizzano il modo di affrontare il legame tra donne, femminismo e islam oggi.

All’incrocio tra femminismo e islam

Senza limitare il senso del femminismo islamico alle sue espressioni accademiche recenti, come queste sono emerse negli ultimi vent’anni, possiamo considerare che delle rivendicazioni a carattere femminista, cioè di contestazione della dominazione maschile in ambito musulmano, esistano da molto tempo. Possiamo far risalire all’epoca della Rivelazione coranica le proteste e la rimessa in questione delle donne quanto al proprio ruolo ed al proprio spazio nella società musulmana nascente. ‘Aïcha, figlia di Abou Bakr as-Siddiq il primo Califfo, e sposa del Profeta dell’islam, nonché molte altre donne dell’epoca profetica, hanno chiaramente contestato l’attitudine machista di certi uomini e le ingiustizie subite dalle donne.

Uno degli più significativi è stata la domanda posta da Um Salama, sposa del Profeta Muhammed, quanto al fatto che il Corano si indirizza esplicitamente agli uomini e la sua richiesta che la Rivelazione si indirizzi anche direttamente alle donne, soprattutto in quel che concerne la ricompensa e il riconoscimento delle loro opere pie. La risposta della Rivelazione, attraverso due versetti, renderà legittima la richiesta di Um Salama – e di tutte quelle che esprimono la propria preoccupazione che la parità dei sessi sia esplicita nel Corano – e la terrà in conto. Allo stesso modo, la società della Medina era molto meno patriarcale ed era conosciuta per lo spazio che riservava alle donne; diversi ahadith* riportano che al momento dell’installazione dei musulmani alla Medina, il Profeta Muhammed aveva approvato ed appoggiato il cambiamento dei costumi e della mentalità relativi alle donne, che differenziava le genti di al-Ansar dalla tribù al-Quiraich alla Mecca. Più tardi, dopo la morte del Profeta, numerose donne rimetteranno in questione le tradizioni sessiste attribuite a quest’ultimo e denunceranno la volontà degli uomini di rimettere in questione le acquisizioni della Rivelazione riguardo ai diritti delle donne. Per quel che riguarda la sua formulazione moderna, possiamo ben considerare che ci sia stato un femminismo endogeno alle società musulmane, prima di tutto come movimento intellettuale riformista musulmano emerso alla fine del diciannovesimo secolo, poi sotto la forma dei movimenti sociali nel contesto delle lotte nazionaliste e anticoloniali dell’ inizio del ventesimo secolo. La questione dei diritti delle donne nell’Islam è stata posta dai pensatori riformisti musulmani, tra i quali in prima linea Muhammed ‘Abduh, discepolo di Jamal al-din al-Afghani. Quest’ultimo e, un po’ più tardi, Muhammed  Iqbal hanno introdotto una riflessione fondamentale riguardo all’apprendimento dinamico del pensiero musulmano, soprattutto attraverso l’uso dello strumento giuridico dello ijtihad* che permette di (ri)pensare l’islam nel suo contesto.

Questa Nahda, il rinascimento musulmano, portava un discorso nuovo che invitava al ritorno alle fonti delle scritture, Corano e Sunna*, e che implicava una denuncia della sacralizzazione delle opinioni dei sapienti antichi. Si trattava di invitare i musulmani a tornare direttamente alle Fonti*, per attingere agli insegnamenti fondamentali della religione musulmana, passando per una differenziazione tra al-Fiqh, giurisprudenza e diritto islamico elaborate nel corso della storia e as-Shari’a, letteralmente “la via”, che corrisponde ai principi superiori determinati da Dio ed espressi nel Corano.

I riformisti musulmani hanno invitato a fare una differenza essenziale tra le leggi e la giurisprudenza elaborate dagli essere umani, determinate da un contesto storico-sociale, e le Leggi di Dio che s’impongono e non possono essere rimesse in causa. Questa postura fondamentale ha permesso la lettura critica, la storicizzazione e la contestualizzazione della giurisprudenza musulmana e dei Tafasirs*, commentari ed esegesi del Corano, cosa che ha aperto la strada alla critica dell’impregnazione patriarcale che rivestono un certo numero  di deliberazioni giuridiche e di commentari del Corano, così come ad una comprensione dinamica della giurisprudenza islamica.

In favore del riformismo musulmano, per quanto influenzato dalle idee occidentali, il femminismo, così come si è espresso nelle società musulmane, non è subentrato al ed ancora meno ha seguito il femminismo europeo. Esso è invece nato nello stesso momento e si è espresso a partire da una postura anticoloniale e nazionalista.

Il caso dell’Egitto è ben conosciuto: i lavori di Margot Badran in particolare hanno messo in evidenza la porosità dei confini tra militanza laica e religiosa, in un contesto in cui la dimensione religiosa costituisce un punto di riferimento fondamentale nella società. Da parte loro alcune figure nazionaliste e femministe identificate come “laiche” hanno accordato molta importanza al referente islamico nella difesa dei diritti delle donne.

Già a quest’epoca, l’idea che l’islam non fosse una religione patriarcale ma che promuovesse al contrario la parità dei sessi era difesa dalle femministe arabe, che facevano uso della riflessione sviluppata dai riformisti musulmani. Più tardi, nel corso degli anni settanta, le società a maggioranza musulmana vedono apparire delle figure femminili, spesso vicine alla militanza islamica, che sviluppano nuove pratiche ed un discorso sulle donne che situa il referente religioso in primo piano nella difesa di un’identità femminile musulmana. In funzione del diffondersi dell’islam politico, compaiono discorsi che cercano di promuovere una modernità islamica che includa un certo numero di rivendicazioni a carattere femminista.

Due fenomeni segneranno l’evoluzione del discorso sulle donne nell’Islam e le pratiche militanti musulmane: da una parte l’aumento del livello d’istruzione delle donne in Medio Oriente (sempre più donne, infatti, hanno accesso all’università), dall’altra la natura del discorso islamista che rimette in questione l’islam di potere, la sua capacità di rendere accessibile il discorso religioso ed a rendere legittimo un sapere alternativo sviluppato da pensatori il cui profilo differisce dalla traiettoria classica delle scuole islamiche.

Come dice a buon diritto Zainah Anwar nell’articolo presentato in questo libro, le musulmane istruite, diplomate all’università, non sono più soddisfatte dal discorso islamico tradizionale e sollevano degli interrogativi all’ortodossia religiosa. La volgarizzazione del sapere attraverso i discorsi degli islamici e la sua espressione in altri termini rispetto a quelli delle scuole islamiche tradizionali, hanno reso possibile una forma di riappropriazione del sapere religioso da parte delle donne. Questa situazione non farà che accentuarsi negli anni ottanta e novanta, per esempio in Turchia dove, come mostrano i lavori di Nilüfer Göle, emergono quelle che lei chiama modern mahram, delle figure musulmane che mettono insieme pratiche ortodosse dell’islam e modernità dichiarata. Si produce allora il passaggio da un discorso femminile di difesa dell’islam ad un discorso femminista all’interno dell’islam. Più le donne diventano istruite, si appropriano del sapere religioso e i discorsi islamici alternativi sono resi più accessibili in favore delle correnti islamiste, più il femminismo islamico si sviluppa come discorso intellettuale e sotto forma di pratiche militanti da parte di donne islamizzate. E così nel Maghreb, in particolare in Marocco, Egitto, Siria, Arabia Saudita, Turchia, Iran, soprattutto attraverso il periodico Zanan cui attribuiamo l’origine del concetto di femminismo islamico, così come in Malesia, passando per il Pakistan e l’India, emergono nuovo dinamiche, che vanno dalle rivendicazioni femminili musulmane ai discorsi e alle pratiche più femministe. In Europa e negli Stati Uniti, possiamo osservare da parte di donne re-islamizzate, spesso impegnate in movimenti musulmani, l’emergere di una coscienza femminista islamica in un contesto in cui l’islam è fortemente stigmatizzato e razzializzato. Questa coscienza può variare da una difesa dell’identità femminile musulmana a delle rivendicazioni più femministe.

Nel recente contesto delle “rivoluzioni arabe” certi osservatori hanno considerato che questi movimenti di protesta popolare, attraverso la rimessa in questione dell’autoritarismo, hanno anche dato l’impulso ad un interrogativo rispetto all’islam di potere ed all’ortodossia musulmana. La presenza massiccia di donne tra le fila dei manifestanti e la centralità della loro implicazione nei processi rivoluzionari rimettono le questioni di genere al centro dei movimenti sociali e popolari.

Sarà necessario seguire le ripercussioni reali dell’attivismo e dell’impegno di massa delle donne nelle rivolte arabe, sia sul piano delle mentalità e del pensiero musulmano, sia in ambito legislativo. Per il momento, sembrerebbe che questa implicazione delle donne non abbia avuto conseguenza sul piano della rappresentanza politica.

Il femminismo islamico contemporaneo

É vero che gli spazi in cui l’associazione dei termini femminismo e islam, così come l’elaborazione teorica di quello che è comunemente chiamato femminismo islamico o musulmano che sono stati affrontati sinora, si situano innanzitutto nell’ambito intellettuale ed accademico, tutto sommato elitario e riservato ad un pubblico competente.

Sono state in primo luogo delle intellettuali, delle ricercatrici in scienze sociali, spesso di cultura musulmana, così come delle militanti femministe musulmane, a cominciare con il designare i movimenti di rivendicazione delle donne musulmane per la parità dei sessi, all’interno del quadro religioso musulmano, come l’espressione di un femminismo islamico.

Le stesse interessate non si sono sempre designate come tali e molte di loro non si riconoscono in questa denominazione che a partire da tempi molto recenti e sempre in modo abbastanza critico.

Nonostante questo, le donne che hanno contribuito a rendere accessibile il concetto di femminismo islamico così come è apparso dagli inizi degli anni novanta, sono per la maggior parte impegnate nelle reti intellettuali e militanti, che cercano di mettere insieme la riflessione sulle questioni di genere nell’Islam ad un impegno sociale per il miglioramento del proprio statuto e più in generale contro le discriminazioni che subiscono le donne musulmane.

Così come ha preso forma in questi ultimi vent’anni, il femminismo islamico designa il movimento transnazionale che si iscrive nella continuità del pensiero riformista musulmano emerso alla fine del diciannovesimo secolo e che invita ad un ritorno alle fonti dell’islam (Corano e Sunna), al fine di sbarazzarsi delle letture e delle interpretazioni sessiste che tradiscono il fondo di liberazione del messaggio della Rivelazione coranica, e all’uso dello strumento giuridico dell’ijthad, che permette di concepire l’islam in relazione all’evoluzione del suo contesto. Le femministe musulmane considerano che l’islam originale non promuova alcun tipo di patriarcato, ma che promuova al contrario la parità dei sessi. Attraverso l’uso delle scienze sociali, si richiamano ad una lettura e ad una rilettura delle fonti dell’islam per estrarne i principi di parità e giustizia e per allontanarne le interpretazioni elaborate a partire da una griglia di lettura machista e patriarcale, di cui è ereditario soprattutto il fiqh. Per loro si tratta di una riappropriazione del sapere e dell’autorità religiosa da parte delle e per le donne, e molte di loro si armano di una doppia formazione per far emergere un pensiero ed una concezione nuove delle donne e dell’Islam: la padronanza delle scienze islamiche e gli strumenti delle scienze sociali.

Attraverso un tale incontro tra ambito femminista e ambito islamico, il femminismo musulmano introduce così nei due ambiti degli interrogativi fondamentali. In quello femminista rimette in questione la dominazione del modello occidentale, coloniale e neocoloniale, impostosi come l’unica via di liberazione e d’emancipazione, così come l’idea che il femminismo sarebbe antinomico rispetto alla dimensione religiosa e imporrebbe una messa a distanza di quest’ultima.

In ambito islamico, interroga tutto l’aspetto della giurisprudenza islamica elaborato a partire da un punto di vista maschile e sessista e denuncia la marginalizzazione del ruolo e del posto delle donne nella storiografia musulmana classica, così come l’appropriazione del sapere e dell’autorità religiosa da parte degli uomini a dispetto delle donne.

La connotazione occidentale e coloniale del termine femminismo, d’altra parte, conduce spesso a disprezzare questa denominazione e a privilegiare un termine che sembra più vicino alla cultura musulmana: riformismo al femminile. Sul piano intellettuale, il movimento femminista musulmano contemporaneo è stato all’origine di un gran numero di produzioni accademiche e di un certo numero di congressi e colloqui internazionali, che hanno permesso di riunire i suoi pensatori e le sue pensatrici e di coordinare le iniziative connotate da una visione comune.

La lingua operativa è così soprattutto l’inglese e le produzioni scritte restano ancora poco accessibili ad un pubblico allargato. Globalmente sul piano intellettuale il femminismo islamico ha concentrato il suo lavoro sui seguenti tre ambiti:

1) Una revisione del fiqh, giurisprudenza islamica, ed una rilettura del tafsir*, esegesi e commentario coranico, con lo scopo di estrarne le letture e le interpretazioni maschili e sessiste e di metterne in luce, a partire da una lettura delle Fonti, i principi fondamentali di giustizia e uguaglianza. Pionieri in questo ambito sono stati i lavori di Ziba Mir-Hosseini, di Azizah al-Hibri ed anche di Asma Lamrabet con il GIERFI, in collaborazione con la Rabita Mohammadia delle ‘Ulémas*  marocchine, che illustrano una riappropriazione del sapere religioso da parte delle donne, in particolare attraverso il lavoro di collaborazione con alcuni studiosi musulmani.

Le rivendicazioni vanno da una semplice revisione del fiqh e dall’invito ad utilizzare lo strumento dell’ijtihad, ad una rifondazione degli usul al-fiqh*, principi fondamentali che orientano l’elaborazione del diritto e della giurisprudenza, integrando gli strumenti delle scienze sociali nel lavoro sui Testi. Possiamo evocare, tra le altre, la rete Wise che ha lanciato il Global Women’s Shura Council ed anche l’iniziativa recente che costituisce il lancio in Qatar, nel contesto dei movimenti di protesta arabi, del Research Center for Islamic Legislations and Ethics nel mese di gennaio del 2012, ancor di più dal momento che la tematica di genere è stata considerata e presentata come centrale in questo progetto.

2) La produzione di un sapere nuovo attraverso la (ri)scrittura della storia delle donne musulmane e della riabilitazione del loro spazio e del loro ruolo nella storiografia musulmana, così come un lavoro di revisione della storia islamica da un punto di vista femminile e femminista. Attraverso i racconti storici musulmani, si tratta di far emergere le voci e le soggettività femminili con lo scopo di mettere l’accento sulla loro marginalizzazione e d’insistere sulla necessità della loro integrazione alla storia passata e presente, così come all’elaborazione del pensiero e della produzione giuridica musulmana. Si tratta anche di far emergere delle intellettuali, pensatrici, sagge e storiche dell’islam e di costituire un sapere religioso e scientifico prodotto sulle donne da loro stesse.

Per quel che concerne questo lavoro sui testi storici e sulla memoria delle donne attraverso la storia musulmana, bisogna citare, tra gli altri, i lavori d’Omaima Abou-Bakr che presenta in questa libro un articolo sulla produzione e le sue poste in gioco.

3) L’elaborazione di un pensiero femminile e femminista musulmano globale che sarebbe centrato sul principio del Tawhid, monoteismo musulmano, come fondatore della parità tra gli esseri umani e sulla riflessione sul senso profondo della shari’a percepita come Via e non come Legge.

Il femminismo islamico ha dato impulso ad una riflessione sulla questione dell’uguaglianza sociale e spirituale, interrogando il pensiero islamico nel suo insieme rispetto alla sua fedeltà al principio di giustizia e di uguaglianza nell’Islam. Una riflessione al riguardo dei maqasid as-sharii’a*, principi alle fondamenta della spiritualità e della giurisprudenza islamiche, così come delle usul al-fiqh, in linea con il pensiero riformista musulmano contemporaneo, è stata spinta  dalla dinamica femminista musulmana.

Prendendo così come griglia di lettura la parità dei sessi e in maniera più generale i principi di giustizia e uguaglianza, i pensatori e le pensatrici introducono una nuova visione all’interno del pensiero musulmano ortodosso e ne propongono una riforma radicale.

Sul piano di quello che potremmo chiamare un attivismo nazionale e transnazionale, il movimento femminista musulmano ha concentrato il suo lavoro sulla questione della revisione degli statuti personali ispirati dalla “Legge islamica” in numerosi paesi musulmani e sull’informazione e la formazione delle donne musulmane riguardo ai loro diritti nell’Islam, come fa, per esempio, in Malesia l’organizzazione Sisters in Islam.

La rete Women Living Under Muslim Laws, così come la rete Musawah che dal 2009 promuove l’uguaglianza e la giustizia nella famiglia musulmana, lavorano ad una riforma delle leggi sugli statuti personali nei paesi musulmani.

Nelle società occidentali, si tratta di una militanza musulmana impegnata sia nelle difesa dei diritti delle donne musulmane contro le discriminazioni di cui sono vittime, sia di un lavoro d’informazione sui diritti delle donne nell’Islam, come nel caso dell’organizzazione Karamah – Muslim Women Lawyers for Human Rights, con sede negli Stati Uniti.

Il movimento femminista musulmano ha lavorato anche alla costituzione di un’élite femminile competente nel padroneggiare le scienze islamiche e in grado di partecipare all’elaborazione giuridica musulmana e alla consolidazione delle organizzazioni e dei gruppi di donne musulmane attive, sia nelle reti musulmane e islamiche sia in maniera indipendente.

Possiamo dire che delle personalità come la defunta Konca Kuris in Turchia, Nadia Yassine del movimento “Giustizia e spiritualità” in Marocco, che afferma apertamente che “la giurisprudenza musulmana è machista”, le Egiziane Suhayla Zayn al Abidin Hammad e Heba Raouf Ezzat, così come la saudita Manal ash-Sharif, che ha lanciato il movimento di abolizione del divieto di guida per le donne nel suo paese, sono, ciascuna a suo modo, delle figure di questo attivismo femminile e femminista musulmano a livello nazionale e transnazionale. I loro discorsi apertamente critici riguardo alla visione tradizionale delle donne nell’Islam, partecipano alla ridefinizione dell’identità femminile musulmana e all’interrogazione dell’ortodossia sulle questioni di genere.

Anche se la produzione accademica resta riservata ad un pubblico ristretto, il pensiero femminista musulmano si è reso largamente accessibile e numerosi movimenti femminili e femministe si sono appropriate delle sue idee. Lo stesso termine femminista è sempre meno rifiutato nelle sfere musulmane e sempre più ridefinito. Il femminismo musulmano ha anche messo in luce una certa porosità dei confini tra militanza “laica” e islamista, nella misura in cui la sua elaborazione non si appoggia sulle ricerche e sui lavori strettamente religiosi, ma si nutre al contrario delle scienze sociali per formulare il proprio pensiero e le proprie idee. Possiamo dire che il movimento stia dando adito ad una nuova dinamica, che funge da ponte tra una riflessione e degli scritti prodotti in ambito islamico e dei lavori elaborati al di fuori di questo ambito da degli/delle intellettuali “laici”.

Questo movimento introduce quindi una terza via che riunisce riflessioni, attori e attrici che un tempo s’ignoravano o si criticavano radicalmente.

Sui femminismi islamici: la centralità del rapporto ai Testi

La questione dello statuto delle fonti dell’islam, il Corano e la Sunna, e più in generale quella del rapporto ai testi sacri, stanno al cuore delle divergenze che oppongono tra loro le femministe islamiche. Dalla più tradizionale alla più liberale, si delineano tre diverse posture.

La prima, che qualificheremo come riformista tradizionale, è la più diffusa negli ambienti islamizzati ed è maggioritaria nelle ‘ulémas musulmane dalle visioni più egalitariste. Questa posizione consiste nel dire che lo statuto delle donne è chiaramente espresso dalle fonti religiose, che affermano come gli uomini e le donne siano spiritualmente uguali, ma che le loro particolarità biologiche li spingano ad assumere dei ruoli differenti e ad avere dei diritti e dei doveri non uguali, ma equivalenti. Questa postura descrive i rapporti sociali tra i sessi in termini di funzioni e di ruoli sessuali, la donna essendo concepita nel ruolo di figlia, di sposa e di madre, sempre all’interno del quadro familiare, ma sempre riaffermando il carattere dinamico ed evolutivo della giurisprudenza musulmana e facendo promozione dell’ijtihad.

Essa ha prodotto un discorso e degli scritti che costituiscono un primo passo nella volontà di promuovere la parità dei sessi nell’Islam. Di questa generazione di pensatori possiamo tenere a mente un testo fondatore, apparso negli anni novanta: Tahrir al-mar’a fi ‘asr al-rissala (La Liberazione della donna al tempo della Rivelazione) di ‘Abdel-Halim Abou Chouqqa.

In quest’opera maggiore, così come negli scritti di numerosi pensatori e pensatrici musulmani/e contemporanei/e, possiamo identificare chiaramente la preoccupazione, attraverso il ritorno alle fonti originali dell’islam, di far emergere dei principi fondamentalmente di egalitarismo.

La seconda postura, che qualificheremo come riformista radicale, si considera ereditiera del pensiero riformista, ma invita ad una riforma di fondo che integri le scienze sociali all’elaborazione della giurisprudenza islamica sulle questioni di genere. Questa seconda postura è legata alle fonti religiose e alla loro sacralità quanto la prima, ma spinge la riflessione fino agli interrogativi sulle fonti del fiqh, le usul al-fiqh, e non più solamente sul diritto stesso. Così facendo, cerca di dare una definizione più complessa dei principi superiori che orientano l’elaborazione della giurisprudenza,  maqasid ash-shari’a. In questo caso la questione dello statuto delle donne è concepita in maniera radicalmente diversa dal pensiero religioso classico: non si tratta più di diritti e doveri, né di ruoli o di funzioni sociali del sesso, ma di esseri, di soggetti di sesso femminile e maschile fondamentalmente uguali al di là dei contesti culturali e sociali. Qui si formula una rimessa in questione dell’impregnazione patriarcale e sessita della costituzione stessa della giurisprudenza musulmana e una critica a monte delle griglie di lettura culturali e contestuali, attraverso cui è stata pensata la concezione islamica dei rapporti sociali tra i sessi.

La terza postura, che può essere qualificata come riformista liberale, è quella più frequente tra le femministe di cultura musulmana: cioè delle donne musulmane femministe socializzate in un quadro religioso musulmano, ma che non ne rivendicano necessariamente una pratica tale quella definita dall’ortodossia, pur considerandosi di cultura e/o di religione musulmana. Questa postura è più o meno legata ai testi religiosi, molto più al Corano che alla Sunna. Essa concepisce l’islam come un insieme di principi filosofici ed etici, che non necessitano obbligatoriamente di una giurisprudenza, ma che vengono vissuti e formulati in maniera soggettiva al di là delle prescrizioni legali e formali. Le sostenitrici di questa postura concepiscono i rapporti sociali tra i sessi come delle costruzioni sociali e la concezione musulmana tradizionale come una deformazione patriarcale della fondamentale parità dei sessi. Soprattutto attraverso l’utilizzo dell’antropologia, la genesi della differenza e della gerarchizzazione tra i sessi trasmesse dal sistema religioso patriarcale sono qui rimesse in questione.

Critica politica e religiosa della doxa femminista

Rivendicando una riconoscenza della pluralità dei modi di emancipazione femminile, le femministe islamiche si situano nel solco della critica femminista postcoloniale e del Black feminism. Questa critica femminista postcoloniale, guidata dal legame concettuale tra razzismo, imperialismo e colonialismo, ha vigorosamente intaccato la pretesa del femminismo coloniale di determinare le modalità d’emancipazione delle donne del Sud. La sua figura di spicco, Chandra Mohanty, ha rimesso in questione il supposto universalismo di una categoria di “donna”, che sarebbe caratterizzata da una coscienza comune che andrebbe al di là delle realtà sociali e culturali.

A partire da questa critica, Mohanty rimette in questione le modalità di lotta suggerite dalle femministe occidentali ed insiste sul fatto che le priorità fissate dal femminismo dominante non si possono trasporre a tutte le lotte delle donne. Allo stesso modo, per delle femministe nere come Valérie Amos e Pratibha Parmar, il potere della sorellanza (The power of sisterhood) si ferma laddove lo stesso movimento femminista è tramite di razzismo e nel momento in cui le diverse condizioni di vita delle donne impongono delle rivendicazioni differenti. La compenetrazione tra l’antirazzismo e l’antisessismo è così una postura maggiore, che riunisce femminismo afroamericano, anticoloniale e musulmano.

Alla critica politica del femminismo dominante si aggiunge una critica religiosa, che rimette in questione il presupposto secondo il quale ogni processo di liberazione e d’emancipazione passerebbe per una messa a distanza della dimensione religiosa. Le femministe musulmane rivendicano una militanza che trova la sua fonte nella spiritualità musulmana e che fa dell’islam una griglia di lettura per promuovere l’uguaglianza.

Appoggiandosi soprattutto sulla nozione fondamentale di Tawhid (unicità Divina), esse affermano l’uguaglianza di tutti e tutte di fronte al Creatore e insistono sulla gravità della dominazione in quanto appropriazione di un’autorità e di un potere che appartengono solo a Dio.

Così, se la lotta per l’emancipazione delle donne in Occidente è stata caratterizzata da una desacralizzazione delle norme religiose, cioè una liberalizzazione sessuale che è passata da uno svelamento del corpo, le femministe musulmane propongono una liberazione che stabilisce tutto un altro rapporto al corpo e alla sessualità, un rapporto segnato da delle norme, da una sacralizzazione dell’intimo e da una difesa del quadro familiare eterosessuale.

Tutte le donne che hanno partecipato a questo libro hanno contribuito alla riflessione e all’azione femminista musulmana, chi attraverso degli scritti, chi delle produzioni accademiche e chi attraverso  l’impegno nelle organizzazioni e reti nazionali e transnazionali delle donne musulmane (GIERFI, Sisters in Islam, Musawah, Wise, etc.).

Il libro si compone di tre parti. La prima propone tre articoli che hanno contribuito a concettualizzare e rendere accessibile il femminismo islamico. Ciascuno di questi testi ne propone una definizione e ne definisce le poste in gioco. La seconda parte è dedicata alla messa in contesto di questo pensiero in differenti spazi geografici, culturali e politici. Per quel che riguarda l’ultima parte, è composta da due interviste che rintracciano l’itinerario personale, intellettuale e militante di due donne musulmane la cui traiettoria e il cui impegno sono degli esempi concreti di elaborazione e di messa in pratica del femminismo musulmano.

Lessico

Fatwa (plurale fatawa): un’ opinione giuridica non vincolante pronunciata da un mufti – specialista in giurisprudenza musulmana – in risposta ad un problema giuridico

Fiqh (al-fiqh): letteralmente la comprensione. Designa il diritto e la giurisprudenza islamici. É lo svolgimento della giurisprudenza da cui conseguono le regole della legge islamica.

Hadith (plurale ahadith): letteralmente ciò che viene detto, dichiarato. Un hadith è una tradizione profetica trasmessa attraverso una successione di narratori a partira dalla quale il Profeta e la sua Sunna sono conosciuti. L’ hadith (al-hadith) designa la compilazione degli ahadith.

Ijtihad: letteralmente sforzo. Designa il processo relativo allo sforzo messo in atto da un giurista musulmano qualificato – mujtahid – per dedurre delle leggi alla luce delle fonti religiose, nel momento in cui le leggi in questione non siano esplicite. Più generalmente è lo sforzo intellettuale di riflessione mirato a pensare l’islam nel suo contesto.

Islah: letteralmente conciliazione, riforma. Al-islah al-dini designa la riforma del pensiero musulmano.

Oumma: designa la comunità musulmana.

Maqasid as-shar’ia: designa gli obiettivi superiori ed universali sui quali si fonda la ash-shar’ia.

Shar’ia (ash-shar’ia): letteralmente la via, il cammino verso la fonte. Spesso definito a torto come la legge islamica, il termine designa più in generale la concezione e l’apprendimento islamico della via, dell’esistenza e della morte, ed include così sia i valori morali ed etici che lo stesso processo della giurisprudenza. Da un punto di vista giuridico si tratta anche della sommatoria delle categorizzazioni di tutte le azioni umane (ciò che è obbligatorio fard o wajeb; raccomandato mustahab; permesso halal o mubah; riprovevole makruh; vietato haram) ed il corpo dei principi generali della legge islamica estratti dalle fonti fondamentali, Corano e Sunna, e dalle altre fonti, principali (al-jima’ e al-qiyas) e secondarie (al-istihsan, al-istislah, al-istishab, al’urf).

Fonti: designa qui soprattutto le due fonti fondamentali dell’islam, il Corano e la Sunna.

Sunna: letteralmente la maniera, il modo di vivere. Designa la tradizone profetica, seconda fonte fondamentale dell’islam dopo il Corano: è l’esempio del Profeta dell’islam, quello che ha detto, fatto, approvato o disapprovato, così com’è riportato nel hadith.

Tafisr (plurale tafasir): commento ed esegesi del Corano.

Tajdid: letteralmente rinnovamento. Tajdid al-din designa il rinnovamento del pensiero musulmano.

‘Ulemas (singolare ‘Alim): letteralmente colui che sa, persona dotata di sapere, un sapiente. Designa al più spesso i giuristi e gli specialisti in scienza islamiche o i diplomati in un ambito delle scienze islamiche.

Usul al-fiqh: Usul significa letteralmente le origini, le fondamenta. Designa le fondamenta della giurisprudenza e del diritto islamici, i principi e la metodologia a partire dai quali le regole del diritto e della giurisprudenza sono dedotte ed estratte dalle fonti.

Leggi anche:

“Decolonizzare il femminismo, depatriarcalizzare l’Islam”: un’intervista con Zahra Ali

5 pensieri su “Femminismo Islamico: introduzione di Zahra Ali”

  1. Molto interessante. Mi chiedo se ci sia anche una sola voce OGGI (visto che il libro è del 2012) che non sia in linea con questo: “le femministe musulmane propongono una liberazione che stabilisce tutto un altro rapporto al corpo e alla sessualità, un rapporto segnato da delle norme, da una sacralizzazione dell’intimo e da una difesa del quadro familiare eterosessuale”, soprattutto per quanto riguarda famiglia, sessualità e generi.

    Cioè mi chiedo se sia possibile una voce del genere all’interno della spiritualità islamica o se i testi non sono comunque in alcun modo interpretabili in modo che famiglia ed eterosessualità non siano più necessarie.

    Per es. mi sembrava di intravedere qualcosa di simile nei “soggetti” delle “femministe radicali” (cito: “non si tratta più di diritti e doveri, né di ruoli o di funzioni sociali del sesso, ma di esseri, di soggetti di sesso femminile e maschile fondamentalmente uguali al di là dei contesti culturali e sociali”)…

    ………..So che ci sono altri articoli molto interessanti sul tema su Abbattoimuri e andrò a leggermeli prima di proseguire le ricerche in questo senso…

  2. onestamente dopo poche righe ho dovuto smettere di leggere . perché ho bisogno di un antiacido a scopo preventivo .. non si parla di donne nel cristianesimo? ruolo della donna nel cristianesimo? ma questa è pure ricercatrice? ma per favore .. ma parli del suo e del resto di cui è evidente NON SA UN CAVOLO taccia ..
    intanto
    a) la visione della donna veicolata dalla chiesa è stata ampiamente dibattuta . .altro che non sviscerata
    b) non se ne parla oggi per il semplice motivo che la società occidentale è secolarizzata e se si parla di donne e islam è perché non solo nell’islam si inizia oggi quel che è stato fatto ieri per il pensiero cristiano ma soprattutto perché l’islam è teocrazia ancora oggi, il cristianesimo lo è stato e non lo è più, anche se magari qualcuno lo rimpiange
    c) il femminismo italiano delle origini vedeva contrapposte ed alleate donne cristiane e socialiste .. esisteva una precisa corrente femminista cattolica che si poneva differentemente nella sua visione della donna e del corpo e della sessualità .. pur non accettando maschilismo, subalternità etc etc ..
    ps preso l’antiacido continuerò a leggere dato che considero a priori la lettura interessante anche per capire cosa bolle in pentola nel mondo islamico e come vivono le donne la loro condizione e cosa desiderano

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