Antiautoritarismo, Autodeterminazione, Critica femminista, R-Esistenze

La fine del sionismo è una questione femminista

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Da Incroci De-Generi:

Questa traduzione vuole essere di sostegno alla lotta congiunta della rete  INCITE, donne e persone trans di colore contro la violenza, nella denuncia dei crimini commessi dal sionismo contro la popolazione palestinese, crimini che intrecciano  sessismo e razzismo. La lotta contro la violenza di genere, per l’autodeterminazione e la libertà riproduttiva  riguarda sempre e comunque il femminismo e non solo quando tocca donne biologiche bianche, di cultura occidentale e di classe medio-alta.

La fine del sionismo è una questione femminista
di Nada Elia, da  The Electronic Intifada 24 July 2014
traduzione di Agnes Nutter, revisione di Jinny Dalloway

Con l’avvicinarsi della terza settimana di attacco da parte di Israele alla popolazione palestinese di Gaza, si continua a sentir parlare del “numero sproporzionato” di vittime tra le donne e i bambini. Questa espressione richiede una domanda: qual è un numero proporzionato di donne e bambini uccisi in un genocidio?

Come si chiede Maya Mikdashi di Jadaliyya nel suo articolo “Possono gli uomini palestinesi essere vittime?”: se una maggioranza significativa delle persone uccise fossero uomini adulti, i crimini di Israele sarebbero minori?

È necessaria un’analisi differente della violenza di genere, una che riconosca che nessuna “proporzione” è accettabile poiché ogni morte dovrebbe essere pianta, mentre si forniscono i mezzi per una comprensione differente delle manifestazioni di violenza.

Chiamate allo stupro

La rete femminista INCITE! Donne e persone trans di colore contro la violenza ha sempre avuto ben chiaro che la violenza di stato è sia razziale che di genere.

Il sionismo ne è un esempio fondamentale; si tratta di un’ideologia razzista radicata nel privilegiare un gruppo etno-religioso su tutti gli altri.

Quando uno stato vede una popolazione – la sua popolazione indigena espropriata, schiavizzata e occupata – come una “minaccia demografica”, questo punto di vista è fondamentalmente sia razzista che di genere.

Il controllo razzista di una popolazione dipende specificatamente dalla violenza contro le donne. Non è quindi una sorpresa che Mordechai Kedar, un ex ufficiale dell’intelligence israeliana ora docente universitario, questa settimana abbia suggerito ipso facto che “stuprare le mogli e le madri dei combattenti palestinesi” scoraggerebbe gli attacchi dei militanti di Hamas.

Similmente, la parlamentare israeliana Ayelet Shaked non ha tentato di presentare gli omicidi dei bambini palestinesi e delle loro madri come degli sfortunati, sproporzionati “effetti collaterali” – li ha apertamente rivendicati asserendo che le donne palestinesi devono essere uccise anch’esse, in quanto mettono al mondo dei “piccoli serpenti”.

Questo commento riflette una infrastruttura israeliana progettata per sostenere alti tassi di aborti spontanei attraverso il blocco di risorse vitali come l’acqua e i rifornimenti medici, costringendo le donne in travaglio ad attendere ai posti di blocco militari durante il tragitto per l’ospedale, e generalmente creando condizioni inumane e invivibili per le palestinesi.

Questi ultimi attacchi omicida ai/alle palestinesi nella Striscia di Gaza non ha solo tolto la vita a migliaia di palestinesi, ma ha anche aumentato il numero di aborti spontanei, travagli pre-termine e morti in utero.

Le donne israelo-etiopi, molte delle quali ebree, sono state sottoposte a iniezioni contraccettive obbligatorie senza il loro consenso.

La fine del sionismo è una questione di giustizia femminista e riproduttiva

La liberazione delle donne?

Certo, la violenza di genere come strumento per il colonialismo di stanziamento non è una strategia nuova; il colonialismo di stanziamento, il patriarcato e l’ipocrisia delle fonti ufficiali di solito vanno a braccetto.

La Francia del XIX secolo dichiarava di liberare le donne algerine pur appiccando il fuoco a villaggi e città. Storicamente, l’uomo bianco colonizzatore ci avrebbe voluto far credere di star agendo per un impulso disinteressato per salvare le donne scure dagli uomini scuri, anche se il potere coloniale che serviva ha impoverito intere nazioni.

Le donne algerine non stanno sicuramente meglio come risultato del colonialismo francese; di fatto, la loro condizione è peggiorata significativamente.

L’amministrazione George W. Bush si è data da sé una pacca sulla spalla per aver presumibilmente liberato le donne afgane dai Talebani. Tuttavia notiamo come in tutto il corso della storia e non solo in Afghanistan, Iran, Iraq, Algeria o Palestina, le guerre non hanno mai liberato le donne e le persone di colore non conformi al genere

Nuovo marchio di ipocrisia

Oggi, Israele ha sviluppato un nuovo tipo di questa ipocrisia, dichiarandosi più civilizzato dei palestinesi per il suo supposto atteggiamento “gay-friendly” (amichevole verso gli omosessuali, NdT). Il tentativo di Isarele di distrarre dall’aumento delle proprie violazioni dei diritti umani puntando sul proprio presunto primato in materia di diritti gay si chiama pinkwashing.

Ma questo primato, di nuovo, è razzista

Qualsiasi cittadino ebreo di Israele può e deve servire per le forze di occupazione israeliane, ma si tratta di forze omicide che si impegnano nel genocidio della popolazione palestinese.

Che alcuni soldati assassini siano apertamente gay rende l’esercito più virtuoso? Fermatevi a riflettere su chi sia a compiere le maggiori violenze. Chi sta negando ai palestinesi, uomini, donne, bambin*, gay, lesbiche, persone transessuali e uomini etero i loro diritti di base – libertà di movimento, sicurezza, rifugio, cibo, alla casa, alla vita? Ci si deve render conto che la parte colpevole è il “civile” Israele, non l’eteropatriarcato palestinese.

La guerra – il militarismo – è un’attività iper-mascolina che glorifica e ricompensa ogni tipo di violenza, inclusa quella di genere, e che un* soldat* addestrat* alla violenza non può mettere da parte quando torna a casa.

L’intera società israeliana è addestrata nella violenza. E la violenza non riguarda un paio di anfibi che si possono lasciare sulla soglia; la violenza diventa una seconda natura (a meno che non fosse già una natura primaria, un caso ben peggiore) e l’intera comunità che pratica lo stato di guerra è una comunità molto più violenta – e non solo sul fronte.

Lotta congiunta

Questo è ciò di cui siamo oggi testimoni, avendolo visto ancora e ancora ogni volta che Israele produce un escalation di attacchi nei confronti della popolazione palestinese.

Per i palestinesi non ci sono campi di battaglia né “zone di guerra”. Ogni parte della Palestina storica è un campo di battaglia mentre folle di israeliani si riversano per le strade in preda ad una furia distruttrice.

Questa presa di coscienza è sempre stato l’autentico fulcro delle analisi di INCITE!. Siamo consapevoli che in situazioni di colonialismo di stanziamento, le donne indigene, le persone trans e di genere non conforme subiscono le conseguenze peggiori della relazione tra razzismo e sessismo. Stiamo prendendo parte ad una lotta congiunta, dall’India al mondo Arabo fino al Sudest asiatico, all’Africa e alle Americhe, per la dignità e la piena sovranità delle popolazioni indigene.

È questo il motivo per cui INCITE! nel 2010 ha sottoscritto la campagna palestinese per boicottare, disinvestire e sanzionare Israele e conconferma il suo impegno nella lotta dal basso contro la violenza statale sponsorizzata contro l’intero popolo palestinese.

Nada Elia ha fatto parte del Collettivo Direttivo di INCITE! Donne e persone trans di colore contro la violenza alla sottoscrizione della campagna per boicottare, disinvestire e sanzionare Israele, e attualmente fa parte del collettivo che organizza la Campagna USA per il Boicottaggio Accademico e Culturale di Israele.

manifesto di INCITE per la Palestina. Clicca per ingrandire
manifesto di INCITE per la Palestina. Clicca per ingrandire

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