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Riappropriarsi delle narrazioni #antiviolenza (basta megafoni istituzionali!)

In queste giornate dense di dettagli macabri su quante donne subiscono violenza io temo che ogni parola possa tradursi nella richiesta di altre leggi in cui mi vietano di andare perfino al cesso da sola.

Mi sento un po’ come mi sentivo quando ero piccola, con l’affetto attorno di una mamma santissima e un papà benevolmente paternalista. Magnifici, nel mantenere il proprio ruolo, ma tanto distanti da me.

E se gli dici che qualcuno ti ha molestata ti dicono che non puoi uscire dopo il tramonto. Se torni a casa da scuola e racconti che un compagno t’ha detto “ciolla” non so perché si decide che la colpa sia della lunghezza della gonna. Se uno ti mette le mani addosso allora ricorre lo strepitìo del “non sai di chi ella è figlia“, perché siamo tutte figlie di qualcuno. Se poi uno fa lo stronzo allora se la vedrà con tuo padre, tuo fratello, tuo zio. Se vai in discoteca e c’è uno che ci prova arriva il tuo amico che gli dice “andiamo e discutiamocela fuori“. Se poi pigli e ti fai mettere le mani addosso impunemente o sei una minore/minorata o sei semplicemente una puttana da archiviare in quanto tale.

Oggi se dici che esiste la molestia ti impongono per legge il coprifuoco. Se un ragazzetto a scuola fa lo stronzo lo denunciano e tu comunque diventi lo zimbello dei media, della gente dei social network e come minimo su di te scrive una grande firma di una grande testata giornalistica e quando tutti sapranno dove abiti e in che scuola vai devi migrare in un altro pianeta. Se c’è uno che ti rompe le ovaie e tu dici che può essere un problema ti impongono un percorso legalitario perché ora ci sono i sostituti dei patriarchi sorveglianti di famiglia, i tutori, quelli addestrati e pagati dallo Stato per continuare a interpretare il ruolo da veri machi della nazione che sorvegliano la verginità delle fanciulle. Se qualcuno ti molesta in strada a dirti che devi allungare le tue gonne e cambiare strada sono alcune femministe che è come ti dicessero quello che gli sbirri dicono sempre: “ah signorì… noi siamo qui a lavorare e lei si diverte la notte… si rivesta un po’ e ci renda più facile il lavoro“. E se tu fai un percorso tutto tuo diventa più difficile e tu comunque sei segnata.

Allora come adesso percepisco sempre di più il fatto che la società ti impone norme e colpe, incluse quelle imposte da quelle stesse donne che se non sei come loro allora ti rompono le scatole in eterno. Era una spinta all’omertà allora, ché certamente nessuno ti invogliava a dire quello che ti succedeva, e lo è adesso. Perché nel momento in cui l’unica reazione alle tue giuste rimostranze e rivendicazioni non è la comprensione dei tuoi percorsi, l’ascolto, l’invito alla partecipazione ma semplicemente l’adesione ad un ulteriore modello normativo, quello antiviolenza istituzionale e di Stato, repressivo, securitario, autoritario, allora è certo che ti viene scippato il diritto a raccontarti.

La narrazione di chi vive qualunque genere di violenza ci appartiene. Non la possono istituzionalizzare né possono scipparcela. Devono smettere tutti quanti di imporci un punto di vista che non è il nostro. Smetterla di rubarci le parole e imporci la religione dell’antiviolenza in cui non sono ammesse complessità e le sfumature delle storie personali.

Vi invito a leggere il comunicato di Coordinamenta con il quale indicono una iniziativa mirata, a Roma, non a caso presso il Ministero di Giustizia. Io l’ho trovato molto condivisibile.

Dice così:

RIFIUTARE LA NORMA E LA LEGALITA’

NESSUNA LEGGE SUI NOSTRI CORPI

SMASCHERARE LE STRUMENTALIZZAZIONI

Oggi assistiamo ad un proliferare di leggi, leggine, ordinanze varie -anche comunali- che hanno la pretesa di normare ogni aspetto della nostra vita

Una miriade di comportamenti fino a ieri leciti sono diventati perseguibili penalmente e amministrativamente. La società neoliberista si arroga il diritto di decretare quello che è bene e quello che è male, quello che è ingiusto e quello che è giusto, in ogni momento e nelle sfere più intime della nostra vita: dallo Stato di diritto siamo trascinate/i in uno Stato etico.

L’inno alla legalità , così in voga di questi tempi, è accompagnato e aggravato dall’uso della tecnologia che, lungi dall’essere al servizio della collettività, ha reso la nostra vita come quella di animali d’allevamento: totalmente CONTROLLATA.

Il culto della supremazia della legge da parte del potere è proporzionato e funzionale al controllo sociale. Ricordiamo che lo Stato protegge chi infrange le loro regole ma è “eticamente” compatibile e simile.

Chi osa rifiutare questo stato di cose, chi si ribella, chi si organizza, chi propone un immaginario altro viene demonizzata/o, perseguitata/o, criminalizzata/o, tacciata/o di terrorismo, parola magica che etichetta qualsiasi dissenso sociale.

Le leggi non sono asettiche e tanto meno neutrali. Sono la sanzione formale di un rapporto di forza. Sono fatte dai più forti e destinate ai più deboli.

Decidono cosa è la “normalità” cercando di reprimere l’irrinunciabile e irriducibile diversità di noi tutte/i.

Il principio di legalità nasce per limitare l’esercizio del potere pubblico ma si è, da subito, rovesciato nel suo contrario: è limite all’esercizio delle libertà personali. Per questo non dobbiamo combattere l’illegalità o inneggiare al rispetto delle regole, ma immaginare come cambiarle!

Noi femministe abbiamo la memoria lunga, sappiamo quanto dolore il feticcio della legalità e della norma ha portato nelle nostre vite, quando una donna finiva in galera per aver abortito o per adulterio o finiva in casa di cura perché definita pazza a causa del suo rifiuto ad accettare le “regole” che il patriarcato aveva costruito per lei,  per il rifiuto a rimanere nel ruolo di cura che le è assegnato E tuttora siamo in libertà vigilata, niente di quel poco che abbiamo conquistato con le nostre lotte è sicuro, niente è definitivo.

Non vogliamo leggi sui nostri corpi e smascheriamo “la lotta” con cui il sistema vorrebbe combattere la violenza contro le donne, perché è una lotta funzionale all’introduzione di  leggi securitarie, razziste, di controllo sociale, di militarizzazione dei territori.

E tutto questo con la preziosa complicità di quelle donne che, attraverso l’uso opportunistico dell’emancipazione, sono artefici e partecipi dell’oppressione su tutte le altre donne.

Per questo è necessario

ROMPERE LE REGOLE DEL PENSIERO UNICO E DOMINANTE

RIFIUTARE IL CONTROLLO

NON CHIEDERE MAI NULLA MA PRENDERE QUELLO CHE CI SPETTA!

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1 pensiero su “Riappropriarsi delle narrazioni #antiviolenza (basta megafoni istituzionali!)”

  1. Effettivamente le leggi, che pure io difendo, sono strumenti attualmente usati malissimo. Non ne tolgono mai e ne aggiungono all’occorrenza sull’onda di qualche fattaccio di cronaca pompato all’inverosimile. Poi ti credo che viene fuori un’incrostazione salina sopra ad uno scoglio invece di un edificio coerente e funzionale. E se l’impianto normativo è più che altro una somma di divieti scoordinati che finisce per coprire tutti gli ambiti della tua possibile azione (leggi: se ha intenzione di fare qualcosa poi scopri che,di qua o di là, da qualche parte è illegale) hai formalmente tutte le strade aperte tranne quelle precluse ma in realtà di strada ne resta una, tortuosa, troppo lunga e scomoda. Sempre dal punto di vista di ciò che è concesso fare, perché intanto ti mangi le mani se pensi a quello che potresti fare dal lato della pura fattibilità (pura ma molto concreta). E rosichi. Poi aggiungi che tutta questa impalcatura non la fanno rispettare neanche bene e concludi che, per chi ha deciso a priori di non rispettare, c’è la possibilità di vivere con una semplicità al tempo odiosa e candida, visto che seguono la retta e non l’arabesco. Magari fanno anche i soldi e, come detto prima, possibile pure che non li prendano. Tu invece sei il bravo cittadino e come ricompensa per ciò ricevi tante di quelle (incoerenti, caotiche, antipratiche) istruzioni da potertici spaccare la schiena solo per quelle.
    E vedi un bel faccione in tv che (magari essendo uno dei “libertari” menefreghisti di cui sopra) ti parla di libertà e sottintende che questo ha a che fare col suo menefreghismo, anzi, in fondo in fondo, fra i due non c’è gran differenza.
    La tua libertà, quella del cittadino e non dello sbruffone, invece dove sta? E’ mai uscita dalla carta della Costituzione? Se l’è mai fatto un giro fra gli umani?
    Deregulation, ci vuole (ma non per Silvio Berlusconi, mi pare ovvio)

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