Antiautoritarismo, Antisessismo, Comunicazione, Critica femminista, Femministese, R-Esistenze, Violenza

Solidarietà al Centro Antiviolenza Artemisia e note critiche su chi delegittima il dissenso

Da Femminismo a Sud:

Il Centro Antiviolenza Artemisia ha subito un gravissimo atto di violenza. Inqualificabile. Atroce. Piena solidarietà da parte nostra a tutte loro e alle tante donne dei Centri che si trovano a dover fare da scudo alle donne vittime di violenza. Perché di questo si tratta. Sono scudi umani che si frappongono tra donne che chiedono protezione e uomini che vogliono fare loro del male. La violenza subita dal Centro Artemisia ne mostra la fragilità e l’impotenza a fronte dei rischi che si corrono e del fatto che per tutelare chi tutela servano ancora polizie, militari, con marketing istituzionale annesso.

Ribadendo questo e avendo sempre opposto con fermezza ogni argomento per difendere i Centri Antiviolenza da aggressioni rabbiose da parte di uomini che li sceglievano come capriespiatori per estendere ad essi una violenza non “conclusa” con le ex compagne, pur tuttavia non comprendiamo perché nei vari scritti diffusi che parlano di questo siano presenti passaggi come:

Quante volte abbiamo letto che il problema della cultura del femminicidio in Italia è enfatizzato? C’è ancora chi nega l’impatto culturale di linguaggio e immagini violente e umilianti nei confronti delle donne, purtroppo molto utilizzate dai mass media e dalla pubblicità. E c’è ancora chi normalizza il femminicidio, tacciando chi ne parla di “bigottismo” e “moralismo”: due paroline magiche per rimuovere il problema.” (Nadia Somma su Il Fatto Quotidiano)

Non volendo affatto riferirci all’autrice dell’articolo, avendo letto commenti in giro per il web che addirittura riterrebbero quali responsabili morali perfino le stesse femministe che osano opporre una critica politica nei confronti dei Centri Antiviolenza, avendo chiaro che un atto del genere non può essere messo sotto silenzio e che anzi deve ricordare ai Ministri che la priorità, a fronte di balzane proposte su aggravanti, braccialetti elettronici e autoritarismi vari che tolgono alle donne perfino il diritto di scegliere se e quando denunciare o meno, sia quella di restituire ai Centri quella percentuale minima di finanziamenti promessi da anni e mai elargiti, quel che però non vorremmo è che tutto questo diventi totale delegittimazione per ogni critica politica.

La strategia della tensione è una cosa che noi femministe potremmo risparmiarci. Potremmo anche evitare di considerare tesi e opinioni politiche attribuendo ad esse un valore che deriva dalla canonizzazione conseguente ad ogni attacco violento. Io non sono diventata democristiana dopo l’attentato a Moro e di certo non ho smesso di opporre critiche politiche alla DC. Non per questo sono responsabile, in alcun modo, di quello che è successo a Moro. Una donna che subisce violenza non fa di tutte le donne delle vittime e un Centro Antiviolenza che subisce un gravissimo atto di violenza non rende tutte le opinioni diversamente espresse da persone che non la pensano come i Centri Antiviolenza o come Nadia Somma di per se’ sbagliate.

Noi siamo tra quelle, sicuramente non negazioniste, che rilevano che i numeri sui femminicidi, intesi in quanto delitti commessi da uomini che rivendicano il possesso delle loro vittime, siano enfatizzati. Abbiamo rintracciato tra i numeri messi in circolazione vittime di tutt’altro genere solo perché donne, uccise da uomini. Abbiamo rintracciato perfino numeri che comprendevano vittime collaterali, uomini e bambini, che sono altra cosa rispetto al femminicidio in se’. Dire questo è fondamentale se interessa avviare una razionale e lucida analisi dei fatti per immaginare soluzioni preventive che siano utili di caso in caso. E’ l’osservazione credibile dei delitti commessi ai danni delle donne ed è talmente importante che giusto noi, nel tempo, abbiamo proposto che vi fosse la necessità, prima di tutto, di un Osservatorio che restituisse cifre reali e analisi serie.

Quello che oggi noi vediamo è un fenomeno mediaticamente diffuso senza alcun criterio, lo stesso termine femminicidio, oramai svuotato di senso, sfugge alle stesse donne che lo avevano messo in circolo. Persone prive di competenza assumono la questione della violenza sulle donne in una sorta di isteria collettiva autoalimentata che diventa panico morale e non può fare altro che favorire autoritarismi e leggi liberticide.

Dire queste cose non è “normalizzare” così come parlare di moralismo, censura e incapacità di mostrare potenza, creatività, capacità di sovversione culturale invece che chiedere perenne assistenza a tutori anche per liberarsi di una immagine sessista, non può essere censurabile da un attentato grave che di per sè nulla può e deve avere a che fare con il legittimo scambio di diverse opinioni su pratiche evidentemente differenti e su queste materie.

Noi non giudichiamo i Centri Antiviolenza responsabili di questo. Ai Centri anzi bisognerebbe dare maggiormente voce perché tante donne che vi operano, mostrando il pluralismo che le caratterizza, direbbero per prime che non vogliono censure, leggi liberticide e che sono contrarie ad ogni forma di giustizialismo, giusto perché loro sanno che la prevenzione è la scelta giusta da fare e perché la violenza sulle donne è un fenomeno di grande complessità che non può risolversi se non in modo complesso.

La moralizzazione del discorso pubblico sulla violenza avviene piuttosto ad opera di quante/i assumono come propria questa causa e la fanno diventare argomento di bisticcio, tifoseria, campagna elettorale, trattato con integralismo e desiderio di cancellare la opinione e il pensiero critico altrui a colpi di delegittimazioni e scomuniche o perfino di attribuzione di responsabilità morali di attentati commessi da persone violente e criminali a chi non declina l’antiviolenza a senso unico.

Se siamo arrivate al punto in cui non c’è più libertà di critica politica nei confronti dei Centri Antiviolenza o della maniera in cui la questione della violenza sulle donne è trattata in Italia, se dobbiamo considerare Centri e percorsi antiviolenza come santuari di fronte ai quali ogni ragionamento critico deve essere cancellato crediamo sia questo il momento di avvisarvi di un grande pericolo che è quello che riguarda tutte noi.

Ed è il pericolo che si imponga un pensiero unico femminista, un pensiero unico Antiviolenza e un pensiero unico che ragiona sul sessismo e sulle donne, includendo come uniche alcune – soggettive – soluzioni proposte da certune.

La violenza sulle donne è incresciosa e si realizza sulla pelle di tutte le donne. Non ci sono donne che su questo possono dire di avere la verità in tasca. E’ un costante confronto in una dialettica libera tra mille parzialità. Ove una parzialità subisce un attentato grave ciò non significa che le opinioni delle altre parzialità possano con ciò essere delegittimate.

Percorrere questo sentiero rende facile solamente un fatto: la piena realizzazione di una modalità autoritaria che cancella ogni forma di dissenso e ogni possibile pensiero critico. Ed è davvero questo quello che vogliamo?

4 pensieri su “Solidarietà al Centro Antiviolenza Artemisia e note critiche su chi delegittima il dissenso”

  1. Non avevo letto questo post. Non colgo autoritarismi ne’ intolleranza nell’estratto dal mio post. Scrivo di femmincidio e sono tacciata di fare guerre…insomma dovrei stare zitta. Espongo dati che so benissimo che non sono completi, che sono approssimativi, e chiedo, come lo chiedono da anni i centri, che sia istituito un osservatorio nazionale. Altrimenti se fossi certa del verbo d quei dati non lo chiederei. Mi fanno irritare e parecchio i tromboni che leggono duenrighe su un problema e pretendono di averne una conoscenza profonda, e scrivono baggianate. Per costoro le morti sarebbero statisticamente accettabili? Davvero? Poi ci sono le donne che muiono senza che arrivi un provvedimento di allonatanamento perche’ la polizia scambia la violenza per litigio amoroso, o perche’ le leggi che ci sono non vengono applicate. Quelle non sono morti accettabili. O quelle ammazzate perche’ costrette a ricevere in casa chi le minacciava perche’ il padre ha diritto di vedere i figli (e di terrorizzarli come fossero una proprieta). I centri antiviolenza sono vent’anni circa che dicono che l’uccisione delle donne e’ un fatto estremo e la violenza non e’ emergenziale. L’istituzione da sempre si impossessa di alcune lotte politiche per svuotarle dall’interno e riempirle di altri contenuti distorcendone il significato e il senso . Il giochino funziona fino a che glielo si permette. In una societa’ priva di coscienza funziona alla grande. Tu stigmatizzi il Pensiero unico? Io non vedo pensieri unici. Tantomeno all’interno del movimento delle donne. Si dovrebbe stare all’interno della rete dei centri antiviolenza per scoprire quanta divergenza di opinioni ci sia non solo tra centri antiviolenza, ma addirittura all’interno dei centri antiviolenza. Ci sono centri nei confronti dei quali mi sento lontana anni luce, e nel centro di cui faccio parte, lavorano tre operatrici che non guardano al problema della violenza dal punto di vista femminista. Lavoriamo insieme da sette anni. Ci scorniamo ma siamo ancora li a lavorare insieme, la riccheZzza e’ quella. Mi arrabbio, non sempre mi va bene, ma ci provo. E non mi sento di dare lezioni di tolleranza , perche’ mi alleno. Tu sei cosi sicura Eretica di essere una donna così libertaria, tollerante, aperta, non autoritaria? Di essere capace di ascoltare, davvero? Io non so se abbatto sempre i muri, non sono sicura di essere cosi, a volte non lo sono proprio, ma i dubbi me li coltivo. Ma non mi spaventa il conflitto, non voglio eliminare il conflitto, perche’ e’ solo se impariamo a vivere e a stare in conflitto che possiamo rinunciare alla violenza. Temo da sempre chi parla di pace e di pacificazione, mi fa paura chi demonizza il conflitto perche’ in genere, finisce per normalizzare la violenza. E soprattutto senza conflitto non c’e’ relazione.

    1. Cara Nadia, per fortuna che c’era scritto:

      “Non volendo affatto riferirci all’autrice dell’articolo, avendo letto commenti in giro per il web che addirittura riterrebbero quali responsabili morali perfino le stesse femministe”

      🙂

      In quanto alla frase estratta dal tuo articolo:

      Quante volte abbiamo letto che il problema della cultura del femminicidio in Italia è enfatizzato? C’è ancora chi nega l’impatto culturale di linguaggio e immagini violente e umilianti nei confronti delle donne, purtroppo molto utilizzate dai mass media e dalla pubblicità. E c’è ancora chi normalizza il femminicidio, tacciando chi ne parla di “bigottismo” e “moralismo”: due paroline magiche per rimuovere il problema.

      è criticabile perché tu parli della violenza sui centri e fai riferimento a chi non la pensa come te come per dire che da quell’atteggiamento dipenderebbe quanto è successo. tu racconti una semplificazione. le immagini che avrebbero quell’impatto? da frasi come questa viene fuori l’idea che per eliminare la violenza bisogna censurare le immagini. non serve a niente. e te lo dico sapendo perfettamente cosa sia la comunicazione. e quando parli di “bigottismo” o “moralismo” stai parlando di chi (compresa me) giudica moralista e bigotto l’atteggiamento di certe femministe, nei confronti di pose di donne non vestite, di pornografia, di cosa?

      e piazzare questi temi sui quali è necessario ragionare con serenità nel bel mezzo di un articolo che parla di un attentato non è decisamente il modo giusto, a mio avviso, per dare il via ad una discussione che non finisca per criminalizzare chi non la pensa come te. il tuo tono è emergenziale e non lascia spazio alla discussione e alle diversità. quel che si capisce è che chi non la pensa come te è quasi complice di chi fa violenza. questo è un tramite che fa volgere verso il pensiero unico.

      il resto non so da che l’hai dedotto perché non ti si imputa nulla. e per quello che mi riguarda io conosco il problema da 30 anni, ne ho una conoscenza più che profonda e ho titolo per raccontare il mio punto di vista sapendo perfettamente ciò che dico.

      Non sono perfetta. Anzi. Sono umana. Ma so ascoltare e non rimuovo il conflitto, anzi non lo demonizzo.E cerco la relazione. Chi demonizza (e normalizza) il conflitto è chi racconta che se non la pensiamo tutte allo stesso modo allora ciò significa che siamo quasi complici dei violenti. E ovviamente non addebito a te questa banalizzazione.

      Ma con onestà puoi dirmi che le opinioni delle femministe non allineate e che pongono conflitti non vengano demonizzate e che non vi sia ostracismo nei loro confronti?

      ps: io temo chi si schiera a priori come acritica tifoseria (https://abbattoimuri.wordpress.com/2013/10/09/il-sessismo-e-il-moralismo-del-movimento-promadri/) perché i sessismi stanno ovunque, donne incluse e personalmente non li tollero e confliggo con essi chiunque tenti di propinarmeli. e se questo per te significa tutte le cose che dici evidentemente c’è una diversità che difficilmente colmeremo seppur con tutta la intenzione di un confronto. stigmatizzare in negativo quel che non condividi dove ti muovi in una dicotomia così rigida non è di certo la via per valorizzare il conflitto. anzi. quello di cui parli tu non mi sembra conflitto, nel senso positivo del termine. si chiama scontro tra fazioni. in difesa. con l’idea che ci sia qualcosa da cui proteggersi e in nome di questo dunque restare compatte e allineate senza dare fiato ad una dialettica complessa. io con le persone non faccio “pace”. io ci parlo. perché non le demonizzo. ci parlo. come parlo con te. anche per dire che non sono d’accordo. 🙂

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