Antiautoritarismo, Autodeterminazione, Comunicazione, Critica femminista, Femministese, R-Esistenze

Le critiche ai culi scoperti e il femminismo moralista

Di culi ed elezioni si discute ovunque. Faccio un tentativo di analisi per commentare le critiche alla mossa ironica di Paola Bacchiddu, all’iniziativa virale “Ce lo chiede l’Europa” (e grazie a Vittoria Elettra per lo slogan), al post di Angela Azzaro, con la parentesi che vale per Elettra Deiana che scriveIronica, spavalda, non conformista, erede delle grandi acquisizioni della modernità, come, tra le molte che si vogliono far cadere nell’oblio, quella che ogni donna è responsabile dell’uso del proprio corpo. Insomma come dovrebbe essere una nuova sinistra se mai dovesse nascere. Niente a che fare con quella troppo spesso lagnosa, bacchettona, supponente che ancora sta là, a difendere il barile vuoto.

Ieri, mentre su twitter e facebook e via mail e sul blog raccoglievamo consensi, foto di adesione alla campagna “il corpo è mio e ci faccio quel che voglio io“, proposte di incontro, urla gioiose e liberatorie, come di chi veniva fuori da un lungo periodo oscurantista, ci siamo rese conto, in tante, di quanto effettivamente fosse necessario creare uno squarcio in quella parete enorme fatta di dogmatismo e moralismo che ci ha imprigionate tutte. Era necessario dal punto di vista culturale e politico. Questo prescinde da Paola e dal suo bikini ma in effetti, come ieri diceva Vittoria Elettra, tutto è iniziato da un bikini. Dare senso politico, problematizzare quel gesto è stato quasi naturale perché siamo femministe, perché le nostre scelte hanno pieno senso politico, pur se quasi mai oggetto di riconoscimento da donne che in questi anni si sono nutrite di  quella religione moralista che ha caratterizzato la difesa del corpo delle donne.

Per chiarire: non sto parlando di nessuna candidata della lista Tsipras ma di un umore che prescinde dalle singole iniziative di alcune e che ha trasformato, nel tempo, una critica alla maniera sessista di trattare i corpi delle donne in una crociata che non per nulla ha incontrato il consenso di gruppi bipartisan, incluse donne molto di destra, per le quali parlare di “rispetto per se stesse” vale a dire non spogliarsi mai, non mostrarsi, non farlo a prescindere perché questo è quello che si richiede alle donne perbene. La discussione sul corpo delle donne, cosa prevista da Valeria Ottonelli, ha spostato a destra i femminismi, alla ricerca ossessiva del culo da censurare, del manifesto da segnalare, del programma televisivo da far chiudere. Sono nate apposite commissioni ad opera di amministrazioni comunali che da un lato emanavano ordinanze pro/decoro per marginalizzare migranti e prostitute e dall’altro censuravano manifesti “sessisti” in nome delle donne. Il web si è trasformato in un luogo a tratti invivibile in cui è impossibile ragionare di pratiche diverse perché se anche mostri in modo autodeterminato un culo, una schiena, un seno, comunque sia ti dicono che proprio no, non lo devi fare, non è abbastanza femminista, anzi, se lo fai saresti maschilista e giù di scomuniche per dettare alle altre il verbo e dirti come devi essere per essere inclusa nel branco.

Queste e altre cose, oppressive, pesanti, culturalmente nefaste, supportate da quelle che hanno scoperto il “femminismo” giusto il 13 febbraio 2011, in epoca antiberlusconiana, con piena legittimazione di chi chiamava “zoccole” le veline, le parlamentari di centro destra, e chiunque avesse un passato da modella di calendari. Supportate da chi ha scoperto il femminismo in questi ultimi anni partecipando alle raccolte di firme, petizioni, segnalazioni su facebook per fare cancellare, chiudere, perire, escludere, demonizzare, criminalizzare qualunque cosa mostrasse un culo, un seno, qualunque cosa non fosse in linea con il loro pensiero. Nessuna consapevolezza sui femminismi. Poca coscienza sulle questioni di genere, non vi dico quanta coscienza sulle questioni di classe. E giù a chiedere autoritarismi, repressione fino a immaginare che parità significhi piazzare un po’ di donne qui e là che chiedono la censura del web, più galera per questo e quest’altro e che ogni due minuti non fanno altro che mostrare una visione del mondo spaccata a metà: da un lato le donne vittime vittimizzate e dall’altro quello degli uomini che possono essere carnefici o protettori.

Come poteva, perciò, piacere ad alcune l’iniziativa portata avanti su questo blog, la nostra nudità, la mossa di Paola Bacchiddu, se siamo immerse fino al collo in quel contesto culturale che espelle chiunque dissenta e pratica quell’espulsione con ostilità, con livore, con risentimento rivolto in termini personali contro chi divulga altre idee? Però non voglio semplificare o evitare di ragionare sulle critiche, anzi.

Mi concentro su due contesti precisi dai quali alcune critiche arrivano. Distinti. Il primo, quello che in qualche modo apprezzo, per quanto non ne condivida le conclusioni, è fatto da compagne che rivendicano il proprio essere puttane, cagne, chiamarsi con tutti i nomi scelti per definire una identità altra rispetto a quella da sante donne imposta. La critica che arriva da queste compagne non riguarda il corpo o la nudità in se’ ma il fatto che ci sia di mezzo un partito, le elezioni, qualcosa con cui non vogliono avere a che fare. Se fai pornoterrorismo con un giro di spettacoli nei centri sociali ha un senso e questa cosa invece no. Come dicevo è una critica che rispetto, la comprendo ma non ne condivido le conclusioni perché qui si sta parlando dello stesso umore culturale. E’ l’umore che qualche settimana fa faceva dire che il pornoterrorismo era una cosa bruttissima e che criticava perfino il bellissimo culo nudo di Simone De Beauvoir, che tra le altre cose facebook mi ha censurato sospendendomi l’account. E’ lo stesso umore che ha messo in croce altre compagne per l’iniziativa del porno delle donne. Lo stesso che racconta come una donna non possa denudarsi mai per soldi, per mestiere, per scelta, perché non si riconosce che quella che si spoglia scelga per davvero.

E qui arriva la seconda parentesi critica. Arriva dal contesto, per certi versi altrettanto religioso, che rinforza lo stigma sulle donne che si spogliano invece che disinnescarlo. Lo fanno perché conviene mantenere le donne in una precisa posizione che è quella delle vittime vittimizzate. Se tu dai l’idea che le donne si spogliano in modo autodeterminato, e che lo fanno assieme a noi anche gli uomini, si mette in discussione e si demolisce una certezza. Il mondo non potrà più essere guardato come fosse diviso secondo logica binaria: di qua le donne, tutte vittime e da salvare, di là gli uomini, carnefici o paternalisti e protettori. Da questo contesto, antiporno, antinudità, radicalmente schierato in senso fortemente abolizionista (della prostituzione), non può esistere donna autodeterminata che scelga di spogliarsi per raccontare un’idea, per mestiere, per provocazione, per mettersi in gioco. Non c’è libertà, dicono, se non compiendo le azioni che noi ti dettiamo. Sei libera di essere come me. Di somigliarmi. E questo è tutto. E se provi a ribellarti a questa oppressione, a dire che non sei vittima, non sei colpevole, non hai bisogno di essere salvata, che sei una donna autodeterminata, allora diventi una strega, colpevole, criminale. Santa o puttana, come sempre.

Vedete, in questi anni abbiamo assistito alla crocifissione pubblica di qualunque donna che non fosse allineata a questo modo di pensare. Delle veline si è detto che non è contro di loro che si parla ma a parte giudicarle vittime, con compassione, talvolta con pessimo maternalismo, definendo un mostro colui il quale le sfrutta e le fa apparire per arricchirsi, in poche hanno provato a mettersi nei loro panni, a ragionare di mestieri, di precarietà, di opportunità, di desideri, di contratti di lavoro, di garanzie professionali, e il fatto è che se vuoi raccontare che le donne dovrebbero poter avere altre opportunità è una storia che riguarda scelte da fare a monte, economiche, per esempio, invece che azioni volte a colpevolizzare, perennemente, tutte quelle che indossano minigonne, abiti scollati, trasparenti, o anche niente, per fare mille mestieri sparsi, inclusi quelli più accessibili a tante, le cameriere, le hostess nei congressi, le presentatrici di prodotti nei supermercati.

In questi anni io ho letto l’orgoglio di quelle che raccontano la precarietà da mille punti di vista, inclusi quelli in cui il corpo diventava, per propria scelta, una merce e alle femministe che hanno imposto veti morali, che colpevolizzano quelle che si spogliano per lavorare, per esempio, vorrei dire che se continuano a insistere raccontando che è più dignitoso andare a lavare le scale piuttosto che fare altro, significa che loro, quelle scale, non le hanno lavate mai. Torno al punto della questione: lo stigma è una cosa pesante da gestire e se una, cento, mille donne, ogni giorno, lo imprimono sulle scelte delle altre, moralizzando i pensieri, educando, formando giovani e grandi, facendo proselitismo tra chi poi diventerà una ulteriore bacchettatrice di culi nudi, non sta facendo un regalo a nessuna.

Infine, e concludo: una discussione sana, una dialettica serena, anche tra differenze, può essere gestita solo a partire dal fatto che va liberata da toni impositivi. Se io mi spoglio, senza imporlo a te, e tu vieni a dirmi che in nome e per conto delle donne non si fa, certo che sei moralista. Mi stai imponendo la tua morale. Non sono io a farlo con te. E se insisti e mi dici che io sbaglio, mi sto facendo del male, mi sto lasciando usare, sono complice del patriarcato e sono posseduta da un demone che orienta le mie scelte, a parte non riconoscermi mai per le mie scelte autodeterminate e non vedere la mia diversità, cosa implicita nei ragionamenti di chiunque, in modo autoritario, pensi che tutte le donne debbano pensarla allo stesso modo perché accomunate dall’utero, quello che fai, esattamente come farebbe qualunque volontaria del movimento per la vita, è ridurmi al ruolo di vittima che va salvata, convertita, ovvero condannarmi alle fiamme dell’infermo perché rivendico di essere altro da te.

Non c’è un solo modo per essere donna. Non c’è un solo modo per essere di sinistra. Il corpo è mio e lo gestisco io. Continuate a inviarmi corpi liberati per l’iniziativa “Ce lo chiede L’Europa”, se volete. La richiesta è rivolta a donne e uomini. A chiunque, di qualunque taglia, forma, aspetto. Corpi autodeterminati, please, per un collettivo body liberation front. Buona giornata! 🙂

10 pensieri su “Le critiche ai culi scoperti e il femminismo moralista”

            1. Sulle tue riflessioni, ho iniziato una bella discussione su FB. http://tinyurl.com/nh9lp6t
              Ovviamente sono d’accordo con la tua tesi e trovare questo riscontro, in una societa’ in cui sempre piu’ donne si trasformano in talebane fondamentaliste, credendo di essere femministe quando in realta sono le prime nemiche del femminismo che si basa sulla libera scelta di ogni donna di esprimere se stessa, mi fa sentire meno sola. 🙂

  1. Sicuramente l’atteggiamento di cui parli tu, moralismo per conto terzi e sempre riferito alle donne (chi mai direbbe a un uomo di coprirsi? Non riesco a immaginarlo), è un bel problema. Credo tuttavia che appioppare patenti di moralismo (non è il tuo caso, ma molti lo stanno facendo) senza distinguere i vari casi sia sbagliato. Esistono donne che non si riconoscono in determinati aspetti della nostra cultura, tra cui quella di considerare la donna una piacente ancella che, prima di diventare beddamatrisantissima, può svolgere un ruolo decorativo e limitatissimo in brutti programmi televisivi accanto a uomini che parlano. Io ho scelto di spegnere la tv. Qualcuna ritiene invece che sia giusto parlarne, suscitare un dibattito, stimolare discussioni: non c’è niente di male in tutto ciò è non bisogna averne paura, men che mai stigmatizzare le persone in questione come represse o invidiose. Non vogliono mettere burqa a nessuno né moralizzare i costumi personali di alcuna, ma solo interrogarsi sul tipo di cultura che produce sempre gli stessi stereotipi. Poi c’è chi invece invoca censure e sciocchezze varie, e lì ha senso parlare di moralismo e paternalismo. Però si farebbe torto all’intelligenza di molte persone se non si operasse una distinzione.

  2. Credo che il culo della Bacchiddu e il pornoattivismo siano due facce della stessa medaglia, il risultato di una degenerazione della comunicazione in cui la forma ha preso il sopravvento sulla sostanza, il corpo ha sostituito la parola. Si usa il proprio corpo illudendosi di far passare meglio un messaggio, chi per marketing e chi per altre più nobili cause, ma un corpo esibito resta, agli occhi dei più, un corpo esibito. Se ne parla perché di questi tempi così vanno le cose ma passato il breve momento di gloria il contributo alla causa sarà stato minimo.
    Sarò suora a mia insaputa ma io credo fortemente nel potere della parola e alla forma preferisco sempre e comunque la sostanza.

    1. Il dualismo (o una cosa o l’altra) non e’ la risposta. L’essere umano e’ complesso e possiede un cervello che permette di esprimersi in molte forme. Il linguaggio del corpo e la sua estetica (sol’anche per capire quanto una persona ci tiene alla propria forma) fanno capire molte cose, che si possono condividere oppure no, ma pur sempre un completamento del linguaggio intellettuale.
      Sempre meglio abbondare che deficere. 🙂

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.