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Alessandra Moretti, se vuole censurare il web almeno non usi la scusa delle donne

internazionaleDi Angela Azzaro (da Gli Altri)

Non sapevamo con certezza cosa si sarebbero inventate, ma eravamo sicure: i fatti di sessismo delle ultime settimane e la loro strumentalizzazione avrebbero portato a immaginare una legge repressiva. E’ stato sufficiente aspettare un paio di settimane e dal cilindro ne è sbucata fuori una. Domenica sul Corriere della sera si poteva leggere la lettera della deputata Pd, Alessandra Moretti, che illustrava la sua proposta contro l’hatespeech (insulti minacce e istigazione all’odio) in rete indirizzata in particolare contro coloro che offendono le donne.

La legge non viene illustrata nel dettaglio, ma i punti cardine sono chiari: “Occorre – scrive la deputata – che i provider inizino un processo di responsabilizzazione dei contenuti, affinché la rete resti luogo di dibattito libero e democratico e non spazio per dare sfogo alle peggiori frustrazioni e agli istinti più bassi”. In nome della libertà si invoca la censura, ben sapendo che le norme per perseguire su internet esistono già, e si chiede di mostrare i volti di coloro che insultano nel web. Una sorta di gogna pubblica autorizzata e spacciata come atto di civiltà.

È di per sé grave e liberticida pensare che la scommessa sul web si vinca con la repressione, ma è ancora più odioso che questo venga fatto in nome delle donne. Non solo perché si usa ancora una volta la lotta al sessismo per far passare valori sempre più reazionari, ma anche perché tutto il discorso di Moretti mette in un angolo le donne. Le fa apparire come soggetti deboli, bisognose di protezione. La deputata, pur annunciando nella lettera che bisogna smettere di fare le vittime, ottiene il risultato opposto: fa sembrare che donne e web siano incompatibili, che siano due mondi contrapposti. Una falsità. Lei stessa ricorda che oggi le manager hanno conquistato i vertici delle più grande aziende che lavorano on line. Sono le prime, sono bravissime.

Ma questa moda di ribaltare i dati e di farci passare per deboli resta sempre in auge. Lo ha spiegato molto bene su questo giornale Elettra Deiana. La critica al sessismo viene ripiegata su un vittimismo che è un modo per far stare le donne in una posizione di apparente sudditanza. Non importa chi siamo davvero, l’importante è provare a farci tornare al nostro posto, alla “norma”.

È per questo che mi ha colpita la prima pagina dell’Internazionale di questa settimana (in alto la copertina). Il titolo è “Internet, qui le donne non sono benvenute”. Si parte da alcuni casi veritieri, donne perseguitate nel web, per creare la generalizzazione che tutte le donne sono perseguitate e hanno problemi. Una falsità e una strumentalizzazione. Perché i problemi si possono sconfiggere non creando falsi allarmismi ma riconoscendo sia il ruolo che tante donne hanno sul web, sia l’uso che migliaia di donne ne fanno nel mondo. Si deve cioè partire da una complessità che non può più essere proposta in maniera così schematica. Se un uomo viene perseguitato su internet, i casi sono tantissimi, nessuno si sogna di farne una questione maschile. Questo non significa non riconoscere i contenuti sessisti, ma rifiutarsi di diventare immediatamente “categoria”.

La sfida, non ci stancheremo mai di ripeterlo, è culturale e politica. È la sfida che riguarda il rapporto uomo donna, a partire dalla messa in discussione di un femminile e di un maschile stereotipati. La nuova ondata di vittimismo fa esattamente il contrario. Ripropone lo schema degli uomini cattivi e delle donne deboli. Esattamente quello che stiamo cercando di mandare all’aria e che internet ci sta aiutando a fare. Quindi, quando parlate di repressione e non di cultura, come è stato fatto con la legge sul femminicidio (non a caso portata ad esempio anche da Alessandra Moretti) almeno non fatelo in nome delle donne.

—>>>Leggi anche Eretica Alla gogna segue linciaggio: ecco cosa scrivono alla bulla!

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