Antiautoritarismo, Autodeterminazione, Critica femminista, R-Esistenze

Sex workers, tasse e “Stato pappone”

La prostituzione non è un mestiere riconosciuto, le prostitute non hanno alcun diritto, non possono dare garanzie del loro lavoro per qualunque cosa, non possono fruire di diritti o sperare in una pensione, nessuno le ascolta quando tentano di inserirsi in discussioni oramai moraliste e teologiche che tentano innesti di morale per correggere la vita altrui, ma amministrazioni e Stato esigono da loro che paghino grosse multe.

I comuni hanno studiato un sistema di ordinanze pro/decoro urbano e anti/prostituzione, sebbene la prostituzione non costituisca in Italia reato, ché reato è lo sfruttamento, l’induzione e la prostituzione minorile, ed è quel sistema di ordinanze cittadine che colpisce le sex workers, incluse le immigrate già soggette a molte pressioni e destinate ai Cie se prive di permesso di soggiorno,  e per ogni ordinanza si stabiliscono multe salatissime per prostitute e a volte per i clienti.

Cifre pagate perché si contravverrebbe alle regole del decoro, della decenza, e altri pretesti di cui potete leggere QUI. I comuni, d’altro canto, hanno bisogno di soldi e qualunque fonte plausibile diventa una risorsa.

Poi c’è l’Agenzia delle Entrate che recupera crediti presso le sex workers grazie a norme ambigue e sentenze di cassazione che stabiliscono che quel denaro avrebbe provenienza illecita. Ma la prostituzione non è reato, la prostituta non commette reato e dunque quel denaro non è di provenienza illecita, obiettano le sex workers. Il calcolo che il fisco fa non è poi detto sia fedele alle cifre effettivamente guadagnate e senza pezze d’appoggio, ricevute, garanzie, è anche difficile per le sex workers ricorrere.

Bollat* come responsabili di evasione fiscale, costrett* a pagare multe altissime, di decine di migliaia di euro, con punte di centinaia di migliaia di euro per alcune, quelle colpite da questa sciagura dichiarano di voler assolutamente pagare le tasse ma che siano tasse in cambio di diritti e non multe dovute senza che esista alcun genere di riconoscimento.

Al rifiuto da parte di qualche sex worker di pagare Pia Covre, leader del Comitato per i diritti civili delle sex workers, risponde – appunto – che: “la legislazione italiana in materia soffre di qualche ambiguità: la legge Bersani-Visco, infatti, consente di tassare i redditi derivanti da proventi illeciti, ma «la prostituzione non è illegale», sottolinea.

La stessa Pia Covre, d’altronde, spiega che da un verbale che una sex worker si è vista notificare, dal quale risulta che lei dovrebbe pagare centinaia di migliaia di euro, si può vedere che “le hanno affibbiato una partita IVA d’ufficio come Agenzia Matrimoniale” e dice “non avevo mai sentito che i nostri incontri fossero matrimoni a breve termine“.

Quando si parla di sex workers oggetto di attenzione del fisco chiaramente ci si riferisce a sex workers adulte e nel momento in cui rivendicano regolarizzazione e riconoscimento di diritti si vede che sono anche autodeterminate. La loro è una scelta o, come per esempio ha detto Efe Bal [1] al programma di Santoro lo scorso giovedì definendo lo Stato “pappone”, è comunque quello che fanno consapevolmente finché non trovano altro di meglio e remunerativo da fare.

Mantenerle in clandestinità, grazie a chi vuole imporre una morale che decide che tutta la prostituzione sia “violenza” e che le prostitute tutte siano “vittime” e i clienti dei “violenti”, significa obbligarle in una condizione di proibizionismo che ovviamente favorisce lo sfruttamento, incluso quello legalizzato, senza che i/le sex workers abbiano la possibilità di scegliere e avere garanzia dei propri diritti di lavoratori e lavoratrici.

Di fatto, perciò, ipocrisia e moralismo non servono a liberare ma a costringere. Tutto ciò avviene, ovviamente, sulla base di una retorica giustizialista, di chi metterebbe in galera tutti, e/o moralista e pretesca portata avanti da chi vuole legiferare su quello che succede dentro le mutande altrui e non accetta che sia assolutamente possibile che sfruttamento e sex working per scelta siano trattati, ed è cosa dovuta, in modo diverso.

D’altro canto esiste una classe di politici che evita di chiedere parere alle sex workers quando avanza proposte legislative dalle quali si evince, comunque, il desiderio di tornare alle case chiuse o ad un sistema di sfruttamento di Stato che le sex workers non vogliono. Quel che per alcune proposte vale si traduce nel fatto che si vuole che le prostitute, specie se immigrate, siano confinate in luoghi marginali, senza diritti, con l’unico dovere di mollare soldi allo Stato.

QUI  e QUI invece quello che le sex workers in Italia chiedono. Nel rispetto della loro autodeterminazione e con il pieno riconoscimento per quel che sono: soggetti e non oggetti della morale e delle decisioni altrui. Chiedono una legge sul modello neozelandese e una serie di regole che combattano il traffico e lo sfruttamento, in special modo quello di minori, ma che consentano anche alle persone adulte che scelgono quel mestiere di poterlo svolgere con ampia garanzia di diritti.

Un po’ di materiale/articoli per orientarvi nella discussione:

Risorse:

Analisi:

7 pensieri su “Sex workers, tasse e “Stato pappone””

  1. Daccordissimo. Quando la legge stessa resta ambigua l’ipocrisia (nonché la pretesa sulla base dell’interpretazione interessata) è legge.

  2. Giustamente l’articolo 36 comma 34bis della Legge 248/2006, in modifica dell’articolo 14 comma 4 Legge 537/1994, ha introdotto una tassazione generale di tutte le pratiche, anche quelle illecite, ma anche e di conseguenza quelle lecite. Sarebbe un paradosso non considerare tassate le utlime ma non le prime! Ciò è stato avvalorato dalla Cassazione con le Sentenze n. 10578/2011 e 18030/2013. Quindi, anche le prostitute devono aprire la Partita IVA con relativo codice di attività che si dovrebbe identificare nel 96.09.09 “Altre attività di servizi alla persona non comuni altrove”.
    Inoltre, le Ordinanze Sindacali ed i Regolamenti di Polizia Urbana devono essere conformi ai principi generali dell’Ordinamento, secondo i quali la prostituzione su strada non può essere vietata in maniera vasta ed indeterminata. Di conseguenza, i relativi verbali di contravvenzione possono essere impugnati in un ricorso.

  3. Ancora una volta emerge l’ecologia delle professioni sessuali anche attraverso la sovversione, la destabilizzazione di assurdi coacervi anacronistici di leggi moraliste e sessuofobe.
    Qui si emerge proprio quanto sia storto il diritto.
    Tassare proventi di attività illecite ma le professioni sessuale non lo sono.
    Allora cosa sono? Fiscalmente, economicamente, previdenzialmente, esistono? non esistono?
    La stupidità di un diritto grottescamente storto emerge come non mai.

    ipocrisia e morale sono dispositivi per la manipolazione delle persone a scopo di sfruttamento e di distrazione dalla realtà.
    Da questo ciarpame non può che seguire altro ciarpame.

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