Antiautoritarismo, Antisessismo, Autodeterminazione, Critica femminista, Precarietà, R-Esistenze, Violenza

La violenza di genere spiegata a chi non vuol sentire

Sud. Ma potrebbe accadere ovunque.

Metti che una ragazza cresce in un contesto patriarcale in cui il padre detta legge e la madre pure, fedeli alle regole e alle convenzioni sociali. Metti che è una ragazza perennemente controllata nella sua scelta di andare, fare, dire, uscire, masturbarsi, fare sesso, andare a scuola. Metti che le amiche non possono andare a casa sua perché per la madre sono tutte puttane. Metti che le fanno prendere la patente ma guai a darle la macchina e a farla uscire sola perché la macchina la porta solo suo fratello. Tra le altre cose al fratello di avere il potere di dominare l’asfalto con una punto celestina un po’ scassata non gliene fotte niente e avendo pure lui subìto l’educazione che lo condannava a certi ruoli di genere infine diserta spesso e volentieri e molla l’auto alla sorella esigendo che si ripresenti ad un orario preciso sennò poi se la prendono con lui.

Metti che ‘sta ragazza tra mille problemi e impedimenti è riuscita a finire la scuola superiore e vuole andare all’università. Vive in un contesto piccolo. La gente mormora. Mamma e papà le dicono che non si può spostare perché sennò la targa di puttana non gliela leva più nessuno. Lei non ha soldi, non sa dove cazzo andare, le amiche non la possono aiutare più di tanto, i parenti agiscono da clan e quelli che non si fanno i fatti propri vengono brutalmente redarguiti dalla beddamatre santissima in difesa dell’onore della figghia.

Infine, dopo legnate, repressione e resistenze estenuanti, alla ragazza in questione restano due scelte:

– sposarsi con il primo che le capita;

– trovarsi lavoro, casa e andare a farsi l’università se ci riesce.

Secondo voi qual è la scelta più probabile che farà? Qual è il ripiego ai sogni frantumati di indipendenza per uscire fuori da un contesto oppressivo in cui non hai speranza di poter emanciparti? Quante sono le donne annichilite da situazioni familiari di questo tipo o anche un po’ migliori ma comunque pessime? Quante sono quelle che finiscono per sposarsi, fare un figlio, separarsi l’anno seguente, per poi tornare a casa, dai genitori, dopo essersi complicate la vita ancora di più? Quante sono quelle che usano come traghetti verso una improbabile autonomia degli uomini magari simili ai padri e alle madri autoritari che dato che comprano poi di certo possiedono e che non vi togliete più di torno per gli anni a venire? Quante sono quelle che arrivano in una relazione da donne non-liberate che appena vedono che non è quella la strada da percorrere prendono bagagli e prole e se ne vanno? Quante sono quelle che incontrano uomini anche buoni, ingenui, che usano come traghetti per la libertà e poi li mollano lo stesso perché non li amano, togliendo loro anche la possibilità di vedere i figli considerati quasi una appendice di questo percorso che considera questi uomini degli elementi accessori?

L’illusione di amare ed essere riamata, la retorica catto/fascista sulla famiglia panacea di tutti i mali, e il ruolo delle donne come sistematrici permanenti dei conflitti familiari, e le suocere e le madri che vengono a spiegarti come ha da comportarsi una brava moglie e madre. E tu però apri gli occhi perché sai che ti stai prendendo ampiamente per il culo, perché hai studiato, la tua vita è arricchita di altre relazioni, perché in tutto ciò c’è il coinvolgimento di tante, troppe persone che ruotano attorno al tuo percorso di liberazione, di cui anche tu devi assumerti la responsabilità, dove non puoi pretendere mai che tu sia liberata da chi è stato educato a farti da aguzzino. Non puoi pretendere neppure che l’ingenuo che ti ama, che tu hai scelto come sostituto di un “padre” che ti piaceva meno, e che ti si piglia in casa per darti una prospettiva poi lo molli lì derubandolo di autostima, sicurezza e possibilità di stare col bambino pretendendo pure che con uno stipendio di 1200 euro mensili garantisca a te, la madre povera, e al figlio una esistenza degna rinunciando ad esistere per conto proprio. Vittime entrambi, senza dubbio.

In tutto ciò io so che sei ferita, che non hai o non vedi alternative e che stai facendo la tua guerra di sopravvivenza, ma quel che ti fa umana, e che dovrebbe renderti più matura, è che devi guardare le cose come stanno e che i principi azzurri non esistono perché non c’è il reame, non c’è nessun castello e perché l’unico castello buono è quello che costruisci tu con le tue forze o insieme con qualcun altr@ ma alla pari senza iniziare relazioni con una dipendenza economica di mezzo.

Ma è la dipendenza economica il problema perché da un lato esci fuori e non trovi lavoro manco a pagarlo. Dall’altro sei annichilita, depressa e spaventata e dopo che la tua famiglia ti ha gridato per anni che finirai per fare solo la puttana ti trovi il mondo fuori precario e incasinato e non trovi un lavoro uno che duri più di un paio di mesi e via, di nuovo, a farti il culo per trovare altro senza che vi siano possibilità di cambiamenti.

Se provi poi ad andare in piazza per chiedere il diritto all’istruzione gratis, casa e reddito, trovi tutori che ti manganellano e che ti impediscono di autogestire il tuo percorso e di prevenire ogni possibile situazione di violenza partendo giusto dalla radice. Perché ogni relazione sana, in questo mondo così ampiamente sessista, puoi costruirla soltanto in condizioni di grande autonomia. Non ci può essere relazione che si presti ad alcun percorso di liberazione se non sei in grado di costruire indipendenza e se nessuno ti dà la possibilità di vincere la precarietà. Ché dopo il padre non può essere il marito e a momenti non dovrebbe essere neppure il padre istituzionale Stato, però lo Stato deve consegnarti diritti e prospettive, strumenti di riscossa e di riscatto sociale. Lo Stato delega di padre in padre, di marito in marito e tu che sei figlia, presto madre e forse moglie, resti a penzolare, impiccata, ai piedi di quel grande albero che ti condanna a scelte tutte obbligate, solo quelle.

Dall’altro lato guardo tuo fratello che tenta di aiutarti come può e lui è condannato a essere il mantenitore, il padre di famiglia, quello che ha la responsabilità sulle spalle di una famiglia che neppure vuole costruirsi. Arriverà a quarant’anni e tuo padre lo chiamerà frocio perché non vuole saperne di sposare la sua precarietà con quella di un’altra e perché non vuole essere schiavo e schiavizzare e sa perfettamente che anche la sua strada è l’autonomia. L’autonomia per se’ e non per la “famiglia”. Quanti doveri ha ereditato, incluso quello di salvare le fanciulle da padri bruti e madri arpie, ruolo che ha sempre rifiutato perché se incontra una che ha bisogno dice “oh bella, sono cazzi tuoi… hai tutta la mia solidarietà ma o si fa un percorso comune di rivolta oppure non accetto deleghe di nessun tipo…“. Perché è una merda anche ereditare il dovere essere principi che salvano fanciulle disperate che non sanno o possono liberarsi da sole. Perché disertare anche in questa direzione è necessario e più che sano. Perché ci obbliga alla rivolta vera, quella contro un nemico comune che massacra tutti/e. Perché non ci restano alibi per crogiolarci nelle schiavitù. Perché questa cultura oppressiva ha massacrato tutto e tutti e solo quelli che restano dentro il ruolo e la funzione imposti sono apprezzati socialmente, mentre gli altri vengono mandati dritti al macero.

L’ultima fidanzata di tuo fratello cercava di conquistare la fiducia della suocera e del suocero e stranamente era talmente poco solidale con te, cognata, prigioniera, che in quanto femmina avresti dovuto essere giusto come lei, futura sposa e madre, senza grilli per la testa, con l’idea di una sottomissione stabile e soddisfacente, che è una cosa che può pure piacere ma di certo non a tutte, non può essere la norma, e tuo fratello ha preso e l’ha mollata, così su due piedi, perché s’è rotto il cazzo, pure lui, di recitare e fare il fidanzato. Perché se questa donna piaceva così tanto ai suoi genitori infine doveva avere qualcosa che poco conciliava con lui e le sue idee.

Disoccupato, pure lui, sennò l’università alla sorella gliel’avrebbe pagata lui. Prima di capire tutto ciò però anche lui è passato a godersi privilegi della stirpe mascolina. S’è visto consegnata l’auto di famiglia, le chiavi di casa prima che ce le avesse la sorella, eppure era più piccolo, ma maschio.

Insomma ‘sta ragazza che prospettive ha? Dove può andare? A chi può rivolgersi? Chi c’è in giro che può darle casa e lavoro senza chiederle di denunciare alla questura per mentalità obsoleta e un po’ di merda tutta la sua famiglia? Per non prodursi in strascichi legali che non vuole? Perché è la sua famiglia e se il ricatto è che o denunci o resti lì dove sei è veramente una cattiva prospettiva. Perché il primo strumento di liberazione dovrebbe essere un reddito e una casa. Un lavoro. La possibilità di scegliere in senso autodeterminato. E poi sarà lei a decidere in che modo vincere la sua battaglia. Lei e solo lei senza imposizione alcuna.

Qualcun@ può darle strumenti concreti di questo tipo? No? Qualcuno può prevenire e fermare alla radice questa catena che si risolverà in faida da qui a qualche anno? Qualcuno ha davvero intenzione di risolvere la violenza oppure no?

Serve una rete di solidarietà attiva che parli questo linguaggio e che orienti le scelte in termini di prevenzione alla violenza su cose concrete che vengono molto prima della certezza della pena perché di certezza della pena al momento ne abbiamo solo una: la pena di una ragazza e tutte le persone che incontrerà da qui in poi che diventerà una emergenza e si riassumerà, forse, in uno dei tanti numeri di delitti ai quali poi l’ultimo dei ministri dirà di voler dedicare un reato ad hoc. Il reato di vigliaccheria istituzionale e di ignoranza di Stato. Il reato di pretesto per attivare meccanismi repressivi mentre la violenza si consuma, ogni giorno, nelle case di tante persone e lavoro, casa e reddito e diritto all’istruzione e alla sanità pubbliche ci vengono sottratti da sotto il culo.

Ci avete tolto tutto. Ci togliete anche il diritto alla rabbia perché tutto va istituzionalizzato e inserito in una cornice sorvegliata da tutori e patriarcati. Ci togliete anche le parole.

Ma continuiamo a vedere le cose con chiarezza, nonostante tutto, nonostante le reazioni violente che tendono alla conservazione. Perché voi sapete che quel che dico è vero. E se non lo sapete ci siete dentro fino al collo, allo schema di produzione della violenza, oppure siete in malafede. Ecco tutto.

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12 pensieri su “La violenza di genere spiegata a chi non vuol sentire”

  1. vittime e carnefici un cazzo.
    devo anche preoccuparmi del peso che i privilegi, ereditati anche solo per essere nato del sesso giusto, hanno sugli uomini?
    certo che il peso di essere il maschio di famiglia è enorme e a volte paralizzante.
    ma non si può certo paragonare a chi il proprio futuro non viene neanche permesso di sognarselo.

    1. se vuoi risolverti la violenza che ti riguarda te ne devi preoccupare, si. perché altrimenti finirai per usare i “privilegiati”, oramai naufraghi tanto quanto te di una cultura infame, come ponte per tentare di tirartene fuori. e a mettere sulla bilancia quanto sei vittima tu e quanto tuo fratello, se arrivate dalla stessa situazione familiare, non serve a nulla a parte che a deresponsabilizzarsi e a trovare alibi per le scelte future. è difficile per tutti. potrebbe dirtelo un mio amico che ne ha passate di ogni per essersi opposto alla cultura di famiglia. e non è gay. ma non è un etero allineato.

  2. Se ci togli il fratello solidale e il riuscire a studiare, praticamente hai raccontato la storia di mia madre, sposatasi col primo che le è capitato per poter lasciare la famiglia e, pochi anni dopo, risoltasi a mettersi col secondo che le è capitato (mio padre) per poter lasciare il marito—passando ovviamente da puttana, disonore non per una ma per due famiglie, ma forse puttana sola e con due figli era più dura che puttana con un uomo e tre figli.

    Vorrei poterti dire: ma dai, questo succedeva quarant’anni fa, ora è molto diverso (e davvero un po’ diverso lo è), se non fosse che non è passato abbastanza tempo dall’ultima volta che, per offendere me, due compaesane (bello, eh?, entrambe madri ma non mogli) hanno tirato fuori la storia di perché sono nato.

    Però devo aggiungere due cose a quello che dici.
    La prima è che non è solo una questione di genere: ho conosciuto molte situazioni in cui la convivenza forzata di genitori e figli, o di fratelli, o altro—e quasi sempre, ovviamente, per motivi economici—è finita, com’era più che prevedibile, in violenza di tanti tipi, non di rado col più debole che viene distrutto. In molti di questi casi sarebbe bastato interrompere la convivenza per evitare decenni di sofferenze inutili.
    E quindi una rete di solidarietà serve disperatamente.

    La seconda cosa è che talvolta—non dico sempre, ma molto più spesso di quanto non sembri—abbiamo troppa paura dei salti nel vuoto.
    Tantissime persone restano a soffrire in situazioni da incubo perché l’alternativa (il salto nel vuoto) è più spaventosa di quel che dovrebbe, perché per qualche motivo la miseria in una famiglia “come si deve” sembra molto meno tremenda della miseria “scelta” come strada di liberazione individuale.

    1. si, è vero… il famoso “megghiu ‘u tintu canusciutu che u novu ca ‘un si accanusci” (meglio le cose cattive già conosciute che le cose nuove che non si conoscono).

      abbraccia tua madre per me e un abbraccio pure a te. 🙂

    2. oppure oltre a tutto quello che hai detto tu , ed è capitato a me, tua figlia ti dice puttana proprio quando dopo anni di sofferenze e privazioni anche economiche riesci a separarti per far fare almeno ai figli più piccoli una vita piu serena

  3. Sono un po’ perplessa sul fatto del compagno/marito vittima del disperato desiderio di libertà di una giovane donna. Perché di sposarsi si decide in due: è possibile che lui, educato a principi simili, cerchi una sostituta della mamma che tenga la casa in ordine, lavi, stiri e cucini, di più c’è giusto il sesso. Oppure no, perché non è necessariamente così, ma ogni caso il marito non è un fantoccio scelto a caso deputato al mantenimento, è una persona dotata di volontà e capacità di scelta.

    1. lo è anche lei. persona dotata di volontà e capacità di scelta. a meno che non la riteniamo incapace di intendere e volere. e tra il considerarla incapace di intendere e volere e responsabile delle sue azioni io scelgo la seconda.
      dopodiché a costruire lo scenario in cui lui è sempre e comunque (sempre e comunque?) un carnefice non so a che ci serve. ci serve?

  4. No, infatti lui non è necessariamente un carnefice, ma neppure necessariamente una vittima. Certo che anche lei è dotata di capacità di scelta, lo davo per scontato.

  5. Lucida analisi che ha un merito: quello di togliere il velo dell’ipocrisia di un Paese che si riempie la bocca con la parola “femminicidio” rischiando di strumentalizzare anche la violenza. Perché la questione della violenza di genere è ben al di là di categorie come quelle di “vittima” o “carnefice”. Ben oltre una legge che possa garantire o reprimere, nella illusione di fare giustizia. La violenza di genere non è che la punta dell’iceberg di una cultura dell’indifferenza in cui l’altro/a è di fatto sempre più messo ai margini.. La violenza di genere è l’esito estremo di una cultura patriarcale che vacilla, come ha sottolineato la Dominijanni, perché ha davanti a se donne nuove la cui identità complessa non ha strumenti per riconoscere. I media si riempiono la bocca e parlano quotidianamente di donne ammazzate, parlano di vittime e di carnefici, di “raptus di follia”, di “baby squillo” con un linguaggio ed un approccio, il loro, che non va a fondo, non scava in quel retroterra culturale di cui tutti e tutte siamo vittime, più o meno consapevoli. E allora anche la violenza diventa un modo per fare spettacolo, per confermare una logica di potere fingendo più o meno subdolamente di attaccarla alle fondamenta.Va bene il 25 novembre, va bene vestire di rosso, va bene proclamarsi contro la violenza (ma chi mai potrebbe dichiarasi a favore?) ma è GIUSTO SAPERE CHE IL PUNTO NON E’ QUESTO. Mai come stavolta, Il dito puntato non è la luna.

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