Antisessismo, La posta di Eretica, R-Esistenze

Se muore il mio stupratore non è colpa mia

Sono assente da un po’ perché non sto benissimo. Mentre mi rimetto in sesto tento di restare ancorata alla realtà e nulla più di una vostra storia mi aiuta a farlo. Ne ricevo una che mi ha scosso molto quindi ve la propongo, affinché il passaparola sia efficace e possa aiutare altre.

Lei scrive:

Cara Eretica, vorrei parlarti di cose belle ma non posso. In questo momento leggo messaggi minatori da parte della famiglia dell’uomo che mi ha stuprata e poi si è suicidato. Senza lo stupratore e una condanna io resto sola, in balìa della colpevolizzazione da parte di chi dice che me la sono cercata e di chi mi accusa di aver distrutto la vita di un uomo. Colpa mia lo stupro e colpa mia che lo stupratore non abbia avuto il coraggio di affrontare le sue responsabilità e si sia ucciso. Sono andata a cercare le statistiche dei suicidi e ho notato una cosa che forse sarebbe utile sapere. Le donne lo fanno per pressioni di genere, perché vittime di violenza o delle conseguenze di un trauma che poi causa depressione.

La maggior parte degli uomini, salvo quelli che sono pressati dall’umiliazione del dover pesare economicamente sulla famiglia, ancora per il ruolo di genere che vuole l’uomo unico detentore del controllo economico di mogli e figli, si suicidano dopo aver commesso un crimine contro le donne. Stupratori, pedofili e femminicidi. Uccidono una donna e poi si suicidano. Stuprano e se denunciati, quando non sorretti dal victim blaming che distrugge le vittime, si suicidano. Molestano bambini e quando scoperti si suicidano.

Quando i maschilisti dicono che gli uomini si suicidano di più rispetto alle donne sembrano ignorare il perché compiano quel gesto e ci lanciano addosso l’accusa di essere noi, le donne, le responsabili di tutto. Quindi, ancora, le vittime che non potranno trovare giustizia presso un morto suicida, benché reo di violenze, dovranno subire l’accusa sociale di non aver tenuto la bocca chiusa. Se non avessi parlato lui non si sarebbe suicidato, se non l’avessi denunciato per maltrattamenti non avrebbe commesso un’azione tanto codarda, se non l’avessi smascherato per il molestatore che era lui avrebbe potuto continuare a vivere.

Della vita delle vittime non si preoccupa nessuno e tantomeno ci si preoccupa del peso di queste accuse ingiuste che fanno del martirio di stupratori, pedofili e assassini un’arma per immobilizzarci e impedirci di denunciare. La famiglia del mio stupratore minaccia di denunciarmi per istigazione al suicidio. Sulla mia porta hanno scritto “assassina”. Parenti e amici dello stupratore mi perseguitano sui social al punto che ho dovuto chiudere il profilo e restare sola pur avendo ragione di cercare solidarietà all’esterno.

Non posso chiedere un risarcimento alla famiglia per lo stupro di un loro congiunto oramai cadavere. Potrei forse denunciarli per stalking se ve ne fossero le condizioni. Chi ha raccolto la mia denuncia però mi ha invitato a usare comprensione nel dolore, perché si tratta pur sempre di una perdita. Io, vittima, devo comprendere. Loro possono invece continuare a diffamarmi dicendo che ho mentito o che me la sono cercata.

Tutto ciò mi porta a considerare che non potrò facilmente superare il mio trauma perché non mi è concesso. Anche leggendo le pagine di cronaca per ogni violenza contro una donna vi sono articoli dedicati a chi l’ha realizzata: povero lui, si è tolto la vita, non ha retto il peso della vergogna, non riusciva più a guardare i figli, la sua famiglia era distrutta, i vicini gli avevano tolto il saluto. In poche parole alla vittima si imputa di aver distrutto un uomo per un “piccolo errore umano”. La madre del mio stupratore messaggia che io dovrei finire in carcere per aver ucciso il figliolo. Che lei abbia cresciuto un uomo senza accorgersi del fatto che fosse uno stupratore non se ne parla. Tutta colpa mia, sempre colpa mia.

Non so se per quello che mi sta capitando o per la rabbia che provo nel vedere tante donne colpevolizzate ma mi viene da pensare che il suicidio di queste persone derivi da una questione di moralità pubblica e non di responsabilità personale. Forse perché le violenze contro le donne sono sempre trattate in questo modo e forse perché alla fine sono sempre gli uomini che decidono il modo in cui fare ammenda, sempre che di questo si tratti. Egoisti prima ed egoisti quando crepano.

La stampa tenta innumerevoli modi per suscitare empatia umanizzando il carnefice facendo a pezzi le vite delle vittime. Io non riesco ad empatizzare con nessuno di loro. Se crepassero prima di far soffrire una donna sarebbe forse utile, diversamente è solo un’ulteriore dimostrazione di egoismo. Conservano con il suicidio il potere di farci dire quando, come e perché gli si può contestare un reato e una critica. Vorrei sapere: se non posso accusare il mio stupratore suicida, cosa posso fare per esigere responsabilità da parte della sua famiglia?”

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