Comunicazione, Contributi Critici, Critica femminista, R-Esistenze

Linguaggi e riappropriazione di significati: Noi siamo sporche e non abbiamo porte “sacre”

L’accurato articolo scritto da Francesca Amezzani ha stimolato una interessante discussione e sono arrivati commenti critici che tentiamo qui di riassumere, assieme alle risposte di Francesca che speriamo possano fornire un ulteriore stimolo al confronto. Leggete prima di tutto il suo articolo [Noi siamo PUTTANE: immagini sacre di un linguaggio dimenticato], altrimenti non comprendereste appieno gli interventi che seguiranno.

Una ragazza commentando scrive:

Ho letto l’articolo sulla parola “puttana” e non mi è piaciuto molto. Non mi convince l’idea di una “mistica del femminile”. Mi piace di più quando scrivete di corpi e vagine sporchi, non sacri, ma veri, che appartengono a persone che stanno qui sulla terra. Siamo fatte della stessa carne di cui sono fatti gli uomini, non siamo migliori o peggiori, ma ci toccano i desideri, la sessualità sporca che partecipiamo attivamente, ci tocca la cattiveria, l’umana imperfezione. Se si continua a descrivere le donne come “vittime della storia degli uomini” invece che come “corresponsabili creatrici di idee e fatti culturali, di una storia umana che può solo essere studiata, compresa, e, possibilmente, migliorata. Non recriminata.” non ci piaceranno le conclusioni alle quali arriveremo. Dire che la vagina è sacra non ci risarcisce di niente. La nostra è una vagina umana e questo dovrebbe bastarci. Tornare al medioevo, all’angelicità assegnata alle donne, non ci fa bene. Ci fa molto male. Voi che ne pensate?

Jinny Dalloway scrive:

“La Yoni è legata alla Dea che è dentro ognuna di noi, alla sua Porta Sacra…” Questo è essenzialismo à la Muraro, sia chiaro. Solo detto con la retorica new age.
Il titolo di questo articolo è fuorviante, perché l’autrice non auspica affatto una riappropriazione sovversiva e politica del termine puttana, con tutto il suo carico di “sporcizia” e abiezione, discorso che è stato sempre sostenuto (mi pare) su questo blog. Con tutto il rispetto per l’autrice, alla quale riconosco passione nella ricerca etimologica e in quella di religioni comparate (le etimologie sono molto interessanti davvero), vorrei sottolineare che, da un punto di vista di POLITICA femminista, invocare una femminilità “autentica”, “originale” che risiederebbe nella sacralità genitale un tempo valorizzata, ora dimenticata, è un discorso nostalgico e retrivo, funzionale a scopi culturalmente conservatori. Una cosa è fare storia delle religioni e studi etimologici, che sono cose interessantissime… ma io ne trarrei conclusioni politiche ben diverse. Ideologicamente il discorso di fondo di questo pezzo è di gran lunga più assimilabile al pensiero della differenza e alla mistica del femminile (“la Porta Sacra”?!) che al femminismo critico di ogni ideologia di genere eteronormata e patriarcale. Qui si fa un discorso essenzialista, con l’aggravante della sacralità. Mancano solo i riferimenti alla Dea Madre, alla madre terra, a Gea e a vattelapesca, cioè alla mistica della maternità (la logica conseguenza dell’antica sacralità della vagina), per il resto siamo in pieno muraresimo…

Fabrizia scrive, riferendosi alla vagina:

Né sacra, nè contenitore: nostra, solo nostra. E libere di usarla come ci pare o di non usarla. Sinceramente mi ha un po’ stancato la contrapposizione a tutti i costi; sacerdotessa o donna oggetto, santa o zoccola. No, donne, persone e basta. Che, ad oggi, non mi pare un concetto scontato. Purtroppo.

e poi ancora:

Sia chiaro, anch’io trovo interessante l’articolo scritto. Era chiaro che il riferimento era alle civiltà antiche, come le società gilaniche. E gli studi più approfonditi, su questo tipo di civiltà, li hanno effettuati alcune archeologhe. Non discuto il fascino, la mia osservazione, del tutto personale, è proprio in relazione alla sacralità, alla divinità del femminile. Se (Francesca) mi dice che era per descrivere il paradosso tra la considerazione del femminile nelle civiltà preistoriche e quella patriarcale, (la) seguo. Mi distacco quando parla di riappropriazione del sacro. La mia visione dell’autodeterminazione rifiuta la mistica del femminile, perché trovo che ci faccia allontanare comunque dal discorso sulla persona. Che, ripeto, ad oggi non è scontato, e la violenza di genere, lo stupro, ne sono la riprova. Credo che in questo preciso momento storico, la spiritualità non sia di aiuto, anzi, alla creazione di nuovi linguaggi, di una nuova cultura. Ma, ribadisco, questo è il mio femminismo, la mia visione. Sono certa che vogliamo le stesse cose, ma partendo da due visioni differenti. Grazie comunque, per l’articolo e per l’ulteriore spiegazione. I confronti di questo tipo ci portano sempre avanti.

Francesca, intervenendo su facebook (dove la discussione continua, se volete) scrive:

L’antichità di cui parlavo io non è di certo quelle medievale, ma quella preistorica fatta di società matriarcali dove la donna aveva ben altri ruoli e non era considerata assolutamente un “angelo”, anzi!
Comunque ribadisco ancora che ho scritto questo articolo per sottolineare il paradosso di ció che rappresentavamo ieri rispetto a quello che rappresentiamo oggi.
Non per imporre alle donne di scegliere tra l’essere puttane o dee. Che poi… non ho idea di cosa abbiate in mente voi (parlando di) divinità femminili, ma vi posso assicurare che non erano minimamente simili alla Madonna (visto come ne parlate).
Erano violente, intelligenti, amorevoli, erano madri ma anche assassine, giustiziere e donatrici di vita come di morte.
Erano tutto e rappresentavano ogni sfaccettatura della donna umana. Sia nelle ombre che nella luce.

Ho scritto questo articolo per aprire gli occhi su quella che davvero è stata la nostra “origine”… altro che costola di Adamo!

e poi chiarisce ancora:

Mi par giusto ribadire il motivo che mi ha spinta a scrivere questo articolo, sperando che possiate capire il mio punto di vista.

Ho voluto sottolineare il PARADOSSO che sta tra la concezione della donna attuale e quella del passato.
E con il termine passato, intendo le società preistoriche matriarcali di 40mila/6mila anni fa; non quelle del rinascimento, medioevo, romane o egiziane… dove già vigeva una concezione patriarcale e maschilista.
Eccezion fatta per le culture orientali tutt’ora esistenti e per le religioni pagane che stanno finalmente riffiorando in superficie (coi loro pro e contro).

Sottolineo anche che la concezione che questi popoli avevano e hanno della DEA, non è minimamente assimilabile alla figura a cui noi ci riferiamo oggi: ovvero quella vergine, casta e pura, simil-Madonna.
No, le divinità femminili erano tantissime ed ognuna impersonificava un carattere della DONNA “umana”. Alcune avevano anche più caratteri messi insieme, proprio come siamo noi.
Erano seduttrici e madri, assassine e guaritrici, giustiziere, sagge, crone, vergini, sensuali, dispensatrici di morte e vita, puttane, sante.

Paragonare la nostra femminilità ad una cosa divina, non significa imporle una purezza e una verginità che sono proprie della religione cristiana. Tutt’altro!
Significa ri-scoprire la valenza e il potere insito nelle nostre yoni, per utilizzarlo a nostro beneficio e a beneficio degli altri (se lo vogliamo). Significa ri-appropiarci del nostro ciclo per entrare in sintonia con esso e scoprire quanto influisce sulle nostre vite, senza bloccarlo ma ascoltandolo. Significa guardare agli archetipi che rappresentiamo per saggiare parti di noi che non conoscevamo e trarne insegnamento. Significa mettere in discussione tutto quello (che abbiamo) appreso fin’ora da una società che dà poco spazio alle donne e ai loro bisogni.
Significa questo e tanto altro!

Ma nulla di ció che ho scritto era per me un’imposizione. Ognuno puó trarre ció che vuole dallo scritto e decidere di vivere la sua vita come vuole. Senza dove scegliere tra dea o puttana (perchè tanto siamo già sia l’una che l’altra) ma con la consapevolezza che non siamo un semplice fodero per spade ma una porta sacra (e sacro non sta per puro, cancellate i preconcetti che vi ha inculcato la chiesa).

Spero di aver chiarito alcuni dubbi.

Alessia, dopo aver letto la risposta di Francesca, scrive:

Resto molto perplessa anche a proposito delle repliche di Francesca, l’autrice dell’articolo. Suggerisco una lettura antropologica di questo testo: e per lettura antropologica intendo leggerlo come prodotto di una proiezione nel passato, nel passato senza scrittura, quello di cui restano tracce minime, crani, resti di fuochi e selci scheggiate, di istanze TUTTE ATTUALI, tutte NOSTRE. Avete presente il classico “Orientalismo” di Said, sull’invenzione dell’Oriente da parte dell’Ottocento e Novecento europeo? Stesso meccanismo. Quello che voglio dire è che da sempre sull’Altro, quell’altro senza accesso al potere dell’autorappresentazione, si sono sempre proiettati i desideri e le aspettative proprie di chi invece quest’accesso alla rappresentazione l’aveva. Pensate all’invenzione dell’Infanzia, come epoca di purezza asessuata ed incontaminata. Ancora ne paghiamo lo scotto (vedi la recente uscita di Augias). Pensate all’invenzione del mondo classico ad opera dell’Ottocento di Winckelmann, pensate all’invenzione dell’Oriente, all’invenzione del primitivismo e del matriarcato. E per finire, eccoci, pensate all’invenzione del femminile: la Madre, la Figlia, la Musa, la Sposa, la Puttana.
Non abbiamo bisogno di inventarci nessun Altro e nessun Altrove ideale per fare una quotidiana politica che intervenga a cambiare il presente e il futuro. Assumiamoci la responsabilità di volere noi, noi uomini e donne di oggi, un nuovo modo di stare al mondo e di stare insieme al mondo. Un modo inedito. Credere che sia esistito nel passato o in qualche altrove geografico un’epoca d oro del femminile ci deresponsabilizza, ci confonde, ci anestetizza. Ci fa nutrire aspettative infantili a rischio di delusione e immobilismo. Gli esseri umani non hanno mai conosciuto il paradiso terrestre e non lo conosceranno mai. Ma possono attivarsi qui e ora per quotidiane pratiche di piccoli miglioramenti. Da subito. Guardare avanti, non indietro.

Jinny dopo aver letto la risposta di Francesca scrive:

cara Francesca, ti ringrazio ancora per le interessanti informazioni che fornisci nel tuo articolo. Dalle spiegazioni ulteriori che hai scritto nei commenti credo di aver capito quale sia l’ambiguità politica nel tuo testo, che ha sollevato tante critiche.

Quando scrivi “non siamo un semplice fodero per spade ma una porta sacra” (e anche se specifichi che “sacro non sta per puro, cancellate i preconcetti che vi ha inculcato la chiesa…”) c’è, per me, un grosso problema politico. Tu in realtà – giustamente – vuoi sollecitare una riappropriazione dell’idea di potenza femminile, mentre l’idea di potenza oggi è assegnata simbolicamente al fallo (spada). Questa è un’operazione femminista a livello di immaginario che è stata fatta da moltissime artiste del ‘900 e spesso, come si dice in inglese, è empowering.

Ora, capisco le tue intenzioni, però auspicare che OGGI una donna si senta empowered pensando ai suoi genitali come luogo SACRO (e sì, lo so che sacro può essere anche sporco, è legato al concetto di tabù, ma devi aver letto una manciata di testi di religioni comparate e di antropologia per cogliere appieno ciò)… dicevo, invogliare chi ti legge a sentirsi empowered recuperando un immaginario preistorico, matriarcale e pagano, totalmente avulso dal contesto del BIOCAPITALE in cui viviamo, diventa un’operazione politicamente conservatrice. Perché, anche se apparentemente parlare di Porta Sacra può sembrare esaltante, in realtà ricaccia il femminile nella strettoia di una categoria di genere normata (per di più eteronormata), legata alla natura, al determinismo biologico, alla genitalità.

Tu volevi riscattare la vagina dalla sua vittimizzazione nella cultura patriarcale che ne fa un luogo abietto, e siamo d’accordo su questo. Ma per fare ciò, non funziona esaltarla, invece, come luogo “sacro” (qualsiasi cosa tu intenda con ciò, ha a che fare con la religione e la metafisica).
Poi se una appartiene, che so, a una setta neopagana, faccia pure… Ma io non confonderei questo con il femminismo!

Un ragionamento simile al tuo lo ha fatto una corrente del femminismo che si chiama pensiero della differenza, per non parlare di certo ecofemminismo e del neopaganesimo, e della versione femminista della psicologia junghiana (come in un libro degli anni ’80, Le dee dentro la donna, che il tuo articolo mi ricorda molto). E’ comprensibile come molte donne si sentano confortate, psicologicamente, da un immaginario potente e mitico come questo.

Ad un altro tipo di femminismo, invece, piace assumersi la posizione abietta della puttana con orgoglio, e dire sì, sono una puttana e me ne vanto, nessuna sacralità legata al corpo, solo desiderio incarnato, autodeterminazione… se mi dite che sono puttana perché ho una vagina, ebbene me lo rivendico, con tutte le connotazioni negative e PROFANE, che io ribalto in positive con un atto politico di sfida, di ironia e di strafottenza, senza bisogno di invocare Porte Sacre e Dee dentro di me, che rimandano a una dimensione metafisica. Anzi, io rivendico l’identità di puttana come bitch, cagna, un essere considerato inferiore in quanto animale (altro che la trascendenza divina!), come nel collettivo LesBitches

https://lesbitches.wordpress.com/info/

nello stesso modo profano ci si può rivendicare orgogliosamente anche l’identità di frocia, come fanno i gruppi queer-femministi. Perché per me i confini vanno superati in tutte le categorie binarie, sacro/profano, maschio/femmina, etero/omo, bianco/nero, umano/animale…

A monte di questo ragionamento, io non credo esista una cosa come “la nostra femminilità” di cui tu scrivi. Esiste la varietà dei corpi, ma femminile e maschile sono atti performativi prodotti nella cornice di un dispositivo di potere, il genere sessuale… ma questo è più complicato…

Grazie per lo scambio di idee, e per le interessanti etimologie.

Se avete voglia di partecipare alla discussione scrivete a abbattoimuri@grrlz.net

—>>>E’ arrivato via mail anche un intervento di un uomo: Il mio pene non è un’arma

2 pensieri su “Linguaggi e riappropriazione di significati: Noi siamo sporche e non abbiamo porte “sacre””

  1. Mah, io sporca non mi sento affatto, così come sporco non è nulla di ciò che faccio, nemmeno il sesso.
    Il mio corpo è sacro, così come è sacro quello dell’uomo che amo, e il sesso con lui, con i nostri odori, sapori e umori, è quanto di più pulito ci sia, proprio perché siamo noi, con i nostri corpi, sacri, e il nostro amore.
    Boh, forse dipende dai punti di vista, o forse è che quando metti sentimento nelle cose che fai e nelle passioni che vivi diventano tutte più pure, belle e pulite.
    A me comunque l’altro articolo è piaciuto molto, questo no.
    Se vi sentite sporche e vi piacete così buon per voi, ma non potete parlare per tutte. Esistono anche persone, come me, che sporche non si sentono affatto, e che non si sentono comprese in un gruppo di vagine e corpi sporchi.
    L’umana imperfezione non è qualcosa a cui appoggiarsi secondo me, che tanto è così e non possiamo farci nulla. L’umana imperfezione è solo un punto di partenza, e credo che le persone migliori siano quelle che cercano di migliorarsi ogni giorno, senza accettare passivamente i propri difetti e la propria “sporcizia” e (specialmente!!) la propria cattiveria, quando è presente.

  2. cara Francesca, ti ringrazio ancora per le interessanti informazioni che fornisci nel tuo articolo. Dalle spiegazioni ulteriori che hai scritto nei commenti credo di aver capito quale sia l’ambiguità politica nel tuo testo, che ha sollevato tante critiche.

    Quando scrivi “non siamo un semplice fodero per spade ma una porta sacra” (e anche se specifichi che “sacro non sta per puro, cancellate i preconcetti che vi ha inculcato la chiesa…”) c’è, per me, un grosso problema politico. Tu in realtà – giustamente – vuoi sollecitare una riappropriazione dell’idea di potenza femminile, mentre l’idea di potenza oggi è assegnata simbolicamente al fallo (spada). Questa è un’operazione femminista a livello di immaginario che è stata fatta da moltissime artiste del ‘900 e spesso, come si dice in inglese, è empowering.

    Ora, capisco le tue intenzioni, però auspicare che OGGI una donna si senta empowered pensando ai suoi genitali come luogo SACRO (e sì, lo so che sacro può essere anche sporco, è legato al concetto di tabù, ma devi aver letto una manciata di testi di religioni comparate e di antropologia per cogliere appieno ciò)… dicevo, invogliare chi ti legge a sentirsi empowered recuperando un immaginario preistorico, matriarcale e pagano, totalmente avulso dal contesto del BIOCAPITALE in cui viviamo, diventa un’operazione politicamente conservatrice. Perché, anche se apparentemente parlare di Porta Sacra può sembrare esaltante, in realtà ricaccia il femminile nella strettoia di una categoria di genere normata (per di più eteronormata), legata alla natura, al determinismo biologico, alla genitalità.

    Tu volevi riscattare la vagina dalla sua vittimizzazione nella cultura patriarcale che ne fa un luogo abietto, e siamo d’accordo su questo. Ma per fare ciò, non funziona esaltarla, invece, come luogo “sacro” (qualsiasi cosa tu intenda con ciò, ha a che fare con la religione e la metafisica).
    Poi se una appartiene, che so, a una setta neopagana, faccia pure… Ma io non confonderei questo con il femminismo!

    Un ragionamento simile al tuo lo ha fatto una corrente del femminismo che si chiama pensiero della differenza, per non parlare di certo ecofemminismo e del neopaganesimo, e della versione femminista della psicologia junghiana (come in un libro degli anni ’80, Le dee dentro la donna, che il tuo articolo mi ricorda molto). E’ comprensibile come molte donne si sentano confortate, psicologicamente, da un immaginario potente e mitico come questo.

    Ad un altro tipo di femminismo, invece, piace assumersi la posizione abietta della puttana con orgoglio, e dire sì, sono una puttana e me ne vanto, nessuna sacralità legata al corpo, solo desiderio incarnato, autodeterminazione… se mi dite che sono puttana perché ho una vagina, ebbene me lo rivendico, con tutte le connotazioni negative e PROFANE, che io ribalto in positive con un atto politico di sfida, di ironia e di strafottenza, senza bisogno di invocare Porte Sacre e Dee dentro di me, che rimandano a una dimensione metafisica. Anzi, io rivendico l’identità di puttana come bitch, cagna, un essere considerato inferiore in quanto animale (altro che la trascendenza divina!), come nel collettivo LesBitches

    https://lesbitches.wordpress.com/info/

    nello stesso modo profano ci si può rivendicare orgogliosamente anche l’identità di frocia, come fanno i gruppi queer-femministi. Perché per me i confini vanno superati in tutte le categorie binarie, sacro/profano, maschio/femmina, etero/omo, bianco/nero, umano/animale…

    A monte di questo ragionamento, io non credo esista una cosa come “la nostra femminilità” di cui tu scrivi. Esiste la varietà dei corpi, ma femminile e maschile sono atti performativi prodotti nella cornice di un dispositivo di potere, il genere sessuale… ma questo è più complicato…

    Grazie per lo scambio di idee, e per le interessanti etimologie.
    (E grazie a Eretica per l’ospitalità…)

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